Forum con il sottosegretario del Governo con delega all’Editoria: una lunga intervista in cui vengono illustrati i progetti dell’Esecutivo per la riorganizzazione del settore. Dal contributo pubblico diretto alla necessità di garantire il pluralismo dell’informazione
Senatore Crimi, da giugno di quest’anno lei ricopre il ruolo di sottosegretario del Governo Conte con delega all’Editoria: una bella gatta da pelare?
“Beh, se partiamo dall’assunto che ‘Editoria’ si coniuga con ‘Informazione’ e considerata la delicatezza del ruolo di quest’ultima e l’importanza di farla bene e con coscienza, basti pensare alla derivazione latina del verbo ‘informare’, che traduce ‘dare forma alla mente’, sicuramente lo è”.
Molti sono rimasti impressionati da alcune sue recenti dichiarazioni, che qualcuno ha considerato dirompenti. Però, in effetti, il voler mettere un po’ di ordine nel settore è un proposito encomiabile e che si richiama a un principio sacrosanto. Ovviamente, l’importante è il “come” si mette ordine, ma ciò non toglie che l’intento sia lodevole…
“Con due grandi gruppi che in questo momento stanno dominando il mercato e il 30 per cento delle risorse (pari a circa 200 milioni di euro) convogliato verso non più di quattro o cinque testate, l’intenzione è più che meritevole. In questi anni gli editori hanno ricevuto molti quattrini, dal 2003 più di 3 miliardi di euro. Con simili cifre e in un lasso di tempo così ampio chiunque si sarebbe aspettato investimenti che non ci sono stati o, se realizzati, in misura sicuramente limitata, quanto meno in rapporto agli aiuti ricevuti”.
Lei ha affermato di voler abolire i contributi all’editoria. Ma, a parte la contribuzione diretta, legata alle copie vendute o alla stabilizzazione e regolarizzazione contrattuale dei dipendenti, che comunque è stata oggetto di rivisitazioni in questi anni, di fatto non sono stati soppressi?
“No, ne esistono ancora”.
Si riferisce al rimborso telefonico?
“Anche a quello postale, effettivamente in un primo momento eliminato ma poi reinserito: in pratica, è uscito dalla porta e rientrato dalla finestra. Tra contributo postale e telefonico parliamo di una novantina di milioni di euro, non certo bruscolini per il bilancio statale”.
Un’altra grossa fetta di aiuti all’editoria, forse la maggiore, arriva dai prepensionamenti…
“Certamente. Che, però, rimangono fermi lì. Nel senso che oggi quella normativa sta consentendo di accompagnare in uscita parecchi lavoratori dipendenti. Dunque si tratta di importi non modificabili, almeno in questo momento. Se togliamo la contribuzione diretta, è ovvio che in qualche modo dobbiamo aiutare il settore industriale ad ammortizzare questo impatto”.
In pratica l’obiettivo è una sostanziale redistribuzione delle risorse?
“Esatto. Prima di tutto il taglio della contribuzione avverrà progressivamente, in due tranche e non in una, quindi non dall’oggi al domani. E già questo dovrebbe essere tranquillizzante e di grande aiuto. Poi i 90 milioni derivanti dalla somma tra rimborsi postali e telefonici potrebbero essere destinati prevalentemente a quella parte del settore industriale che ha risentito egualmente della crisi ma che è rimasta fuori dagli aiuti. Sto pensando, prima di tutto, alle edicole che, come ho recentemente dichiarato, devono essere guidate a trasformarsi in una rete di servizi remunerati. Ma penso anche all’ambizione di voler incentivare la voglia di informarsi, acquistando abbonamenti a giornali o ad altri mezzi di comunicazione, magari diminuendone il costo. Penso, ancora, a una piattaforma digitale (definita di recente dal sottosegretario Crimi ‘una sorta di Netflix dell’editoria’, nda) che permetta di leggere tutti i giornali. L’intento è spostare le risorse dall’editore al lettore. Con l’obiettivo di condurre in porto una riforma globale del settore che, sebbene non prevista esplicitamente dal Contratto di governo, non significa che non abbiamo intenzione di porre in essere. Necessariamente, deve però avvenire con gradualità, essere condivisa e, come ho sottolineato quest’estate durante un’audizione in Commissione Cultura a Montecitorio, vedrà coinvolti tutti i protagonisti e gli addetti ai lavori. Senza togliere nulla, sia chiaro, all’importante concetto di pluralismo dell’informazione”.
Serve un intervento per riequilibrare il peso degli investimenti pubblicitari
Il conto economico di un’azienda editoriale, però, si basa anche sulla pubblicità: le testate locali sono escluse da quella nazionale e quella regionale è piuttosto residuale. Insomma, realtà anche consolidate come questa testata, che comunque ha numeri diffusionali importanti, devono reggersi solo sulle copie vendute…
“Sono assolutamente d’accordo e anche in quest’ambito dobbiamo intervenire per una più equa redistribuzione delle risorse disponibili. Quando ho tirato fuori l’argomento, però, è successo il finimondo e, guarda caso, è partito un imponente attacco mediatico. Anche nel contesto degli investimenti pubblicitari si sono consolidate posizioni dominanti”.
Il tema, però, non riguarda soltanto i grandi gruppi. C’è pure quello, altrettanto importante, del continuo “travaso” di spazi pubblicitari dalla carta stampa e Internet verso la televisione e la radio. In questo momento le proporzioni sono di un terzo alla carta e due terzi a radio e televisione. Come pensa si possa intervenire?
“Anche questa tematica non è nuova e non è stata introdotta né dal Movimento 5 stelle né dal Governo Conte, essendo oggetto di discussione e di dibattito da almeno trent’anni, ma non riguarda un imprenditore piuttosto che un altro. Indubbiamente un riequilibrio della pubblicità tra televisione, radio e carta stampata è necessario e non penso che sia scandaloso ipotizzare un tetto agli spazi in tv che consenta di aiutare, dal lato degli introiti, i giornali. C’è poi il tema di una parte del Decreto varato dal mio predecessore, Luca Lotti, rimasto inattuato che prevede un contributo di solidarietà dello 0,1 per cento sui redditi delle concessionarie di pubblicità. Un provvedimento che ho intenzione di condurre in porto”.
Formare all’informazione le generazioni più giovani
In Italia, però, c’è un problema di fondo tutt’altro che secondario: la gente legge poco a prescindere…
“Indubbiamente anche questa è una realtà, per modificare la quale occorre partire dalla scuola. In Commissione Cultura e in stretta collaborazione con il ministero della Pubblica istruzione, stiamo lavorando seguendo questa traiettoria. Utilizzando un calembour, ho in mente una sorta di ‘formazione all’informazione’. Espressione tramite la quale non intendo, però, solo la semplice lettura in classe del quotidiano o del periodico, attività comunque importante. Cultura dell’informazione, oggi, significa educare i ragazzi e i giovani a saper interpretare gli input che arrivano dalla società e gli stimoli mediatici che giungono altresì per il tramite della rete. Dunque anche attraverso social network, siti, blog e tutti gli altri strumenti che ci sono, non solo da giornali o periodici. Bisogna educare i nostri figli a sapere interpretare queste ‘spinte’ informative. Dobbiamo fornire loro gli strumenti per saper distinguere, per esempio, le notizie vere da quelle false, le cosiddette fake news. E questo indipendentemente dal fatto che la comunicazione provenga da un giornale, un periodico di carta o da Internet. Dobbiamo insegnare loro non soltanto a leggere un’informazione ma anche a saperla comprendere, magari comparandola fra uno strumento e l’altro, al fine di fare un confronto e formarsi, sull’argomento, un’idea propria. Dopotutto, dicevo prima, ‘informare’ traduce in una parola il concetto di ‘dare forma alla mente’. In questo la formazione scolastica svolge un ruolo fondamentale. E, per fortuna, ad aiutarci ci sono indirizzi come il Liceo classico o scientifico”.