Inutilizzabili i due di Palermo da 19.000 e 52.000 tonnellate: la Regione vuole venderli. Camillo Oddo (Pd): “Necessario aprire tavolo di confronto che coinvolga tutte le parti”
Accade a Palermo, ma Trapani è in allerta. Ci sono di mezzo i due porti. C’è di mezzo la decisione della Regione di vendere i bacini di carenaggio da 52.000 e 19.000 tonnellate del capoluogo siciliano. Perché “continuano ad imbarcare acqua”. Perché sarebbe “anti-economico ripararli”. Ed ancora, perché “c’è il rischio concreto di un loro affondamento”, che porta ad “una perdurante carenza di sicurezza” ed al “permanere di una diffusa pericolosità per l’incolumità di cose e persone”. E che si aggiunge a “gravi criticità di natura ambientale, con pregiudizio delle attività portuali”.
C’è scritto questo e tanto altro nelle relazioni che sono finite sul tavolo della Giunta regionale. Da qui la scelta di trovare una soluzione definitiva. Tre assessorati in prima fila, Infrastrutture, Attività Produttive e Bilancio. E con l’Autorità Portuale di Sistema pronta ad occuparsi, per conto della Regione, “di tutte le procedure amministrative, finanziarie e tecniche finalizzate alla vendita”. Tra le carte anche quelle del Nucleo di Valutazione e Verifica degli Investimenti Pubblici che non poteva essere più chiaro: “Demolizione o vendita per demolizione”. Da qui una procura speciale all’Autorità Portuale per raggiungere l’obiettivo: via dal porto due strutture ormai ingombranti e pericolose. Nessun’altra alternativa: l’interesse della Marina Militare per il bacino da 19 mila tonnellate sfumato; il recupero inutile ed in contrasto con la strategia di rilancio delle attività portuali, in particolare con l’incremento dei flussi turistici. Le navi da crociera hanno avuto – ed avrebbero – notevoli difficoltà di manovra all’interno del porto a causa della presenza dei due bacini.
Strategica dunque la vendita ad evidenza pubblica, con una manifestazione d’interesse già in campo. Ufficiale. Quella della società maltese “Sea And Earth Operations Ltd”. Con tanto di proposta d’acquisto: 350 mila euro per il bacino da 19 mila e 800.000 euro per quello da 52 mila tonnellate”. Proposta che comprende anche i costi di spostamento dei due bacini, come ha voluto sottolineare il managing director – come dire, il consigliere delegato – Lawrence Zahara, che ha indicato come referente locale Giuseppe Angilello.
Accade a Palermo. E a Trapani? Il bacino è di 4 mila tonnellate. Recuperato ma anche vandalizzato, perché non è stato dato in gestione. A differenza di quelli palermitani ha ancora una dimensione portuale, confermata, fino a qualche mese fa, dall’Assessorato alle Attività Produttive prima del passaggio di consegne con quello alle Infrastrutture. “Sono già in corso – sottolineava l’Assessore Mimmo Turano – le procedure di gara per l’affidamento delle operazioni di manutenzione, al fine di rendere operativa l’infrastruttura, con positivi risvolti per il territorio”. Rimane dunque un interesse economico per la città, che può contare su un’antica tradizione legata alla cantieristica navale. Ma rimane anche il problema irrisolto dell’area antistante dell’ex Cantiere Navale Trapanese. E’ stata assegnata alla società “Marinedì”. Ma non c’è alcun collegamento tra bacino ed ex CNT, con il rischio di depotenziarli entrambi. In più, il bacino è della Regione, mentre l’area è demanio statale. L’opzione indicata, in precedenza, da Turano, prevedeva un accordo ed una sorta di bando unico di concessione. Non ha però mai trovato riscontro tra gli operatori portuali e nella politica trapanese. Tuttavia, non è neanche emersa un’altra soluzione. C’è sempre stata, invece, la preoccupazione di una possibile vendita da parte della Regione, che non può ristrutturare e procedere ad una manutenzione dietro l’altra.
Sulla vicenda s’è fatto sentire il Pd, con l’ex vicepresidente dell’Ars Camillo Oddo: “E’ necessario aprire un tavolo di confronto che coinvolga tutte le parti interessate. Il bacino deve essere valorizzato, ma va inserito in una strategia più complessiva di rilancio del porto di Trapani. Istituzioni ed imprenditoria portuale hanno il diritto-dovere di disegnare, cosa che stanno facendo rispetto ad altre questioni aperte, nuove prospettive di sviluppo per il settore della cantieristica navale, superando incongruenze ed ostacoli di percorso”.