Campanelli d’allarme: tosse persistente e catarro. Spesso i pazienti si rivolgono troppo tardi al medico. Broncopneumopatia cronica ostruttiva (Bco): nell’Isola coinvolge 200 mila soggetti
PALERMO – I fumatori aumentano, le malattie seguono di conseguenza: un siciliano su quattro fuma abitualmente, è risaputo, e il rischio di malattie polmonari si fa sempre più grave. È di pochi giorni fa una stima sui dati della broncopneumopatia cronica ostruttiva, diffusi dall’azienda svizzera Novartis, che evidenziano come l’8-10 per cento dei siciliani adulti sia a rischio di questa malattia ai polmoni.
I 200 mila siciliani che potrebbero esserne affetti, anche senza saperlo, sono soggetti che presentano alcuni sintomi come tosse, catarro e mancanza di respiro. Niente di collegato con influenze stagionali o bronchiti classiche: la Bpco, infatti, è molto più grave. È una combinazione tra enfisema polmonare e bronchite cronica: l’ostruzione del flusso d’aria nei polmoni dai bronchi che ne deriva non è mai completamente reversibile.
Anche l’inquinamento atmosferico e l’esposizione al fumo passivo sono fattori di rischio e, secondo degli studi, oggi la Bpco colpisce 80 milioni di persone a livello globale e si ritiene che possa diventare la terza causa di morte nel mondo nel 2030. Fino al 20 per cento dei fumatori abituali può contrarre la malattia, anche se alcuni non ne mostrano mai i sintomi.
“Al nostro centro – ha spiegato in occasione della diffusione di questi dati Giuseppe Di Maria, professore ordinario di Malattie respiratorie e direttore dell’Uo di Pneumologia al Policlinico dell’Università di Catania – afferiscono circa 1.500 pazienti l’anno, spesso gravi, molti dei quali hanno insufficienza respiratoria e sono in trattamento cronico con ossigenoterapia. I primi campanelli d’allarme della Bpco sono costituiti da tosse persistente e catarro, ma purtroppo molti pazienti si rivolgono tardi al proprio medico, quando ai suddetti sintomi si aggiunge la mancanza di fiato”.
Il problema più grave di questa malattia è, tuttavia, che spesso è scoperta troppo tardi per poter intervenire e l’ostruzione diventa così difficilmente reversibile. “Per consentire un trattamento precoce – ha affermato inoltre Di Maria –, la presenza di Bpco dovrebbe pertanto essere cercata attivamente attraverso un semplice esame spirometrico in tutte le persone che fumano da molti anni, in quelle che presentano sintomi cronici o ricorrenti, come tosse e catarro per più di tre mesi l’anno e da almeno due anni, e in coloro i quali riferiscono episodi ricorrenti di bronchite nei mesi invernali”.
La spirometria diventa così un’arma per scoprire e, quindi, combattere in tempo la malattia. Si tratta dell’uso dello spirometro per la misurazione volumetrica dell’aria respiratoria nelle diverse fasi della respirazione. Solitamente è usata anche per l’asma, enfisema polmonare e tubercolosi, che sono decisamente più noti e quindi affrontati con maggiore consapevolezza rispetto alla Bpco.
Malgrado solo i 2/5 dei malati sopravvivano oltre i dieci anni dall’inizio della malattia, sono state individuate varie cure, con medicinali e anche fisioterapia respiratoria. Il problema dei fattori di rischio resta: sono l’inquinamento atmosferico e il fumo che dovrebbero essere limitati. Se per l’inquinamento atmosferico il singolo può poco, se non usare di più i mezzi pubblici (se ci sono) e le biciclette, per le sigarette si potrebbe fare di più. “Smettere di fumare – spiegava a marzo al QdS Giuseppe Camilleri, presidente della sede Lilt di Enna – è come smettere di drogarsi. Ma lo Stato si ostina a non chiamare droga la sigaretta, a causa dei grandi interessi che vi ruotano attorno”.