Leggende d’ogni sorta avvolgono la nostra montagna
Il nostro vulcano, patrimonio dell’Unesco dal 2013 è il più alto ed attivo d’Europa con i suoi 3.340 mt (ma la sua altezza varia nel tempo in base alle eruzioni che ne modificano, di poco, continuamente l’altitudine).
Dato il suo incantevole e mistico scenario si è sempre prestato a custodire arcane leggende e fantastici miti, dagli arabi ai greci, dalle fate agli elfi, dai folletti alla fata Morgana e Merlino e persino re Artù. Leggende d’ogni sorta avvolgono la nostra montagna e si perdono nella notte dei tempi. Quando noi siciliani facciamo riferimento al nostro mirabile e amatissimo vulcano, il sostantivo, come d’incanto, diventa femminile.
Per noi non è il vulcano ma “‘a muntagna!”, madre amorevole e matrigna di ogni siciliano che si rispetti. Si tratta di una presenza benevola, che simboleggia l’irruenza del nostro popolo, ma anche la sua capacità di contenersi. Sta lì, sbuffa e sputa fuoco, ma poi non nuoce veramente a nessuno, il suo continuo ribollio è come il sangue caldo nelle nostre vene di gente del sud, buona e chiassosa e ci pervade sin dalla nascita di un immancabile fatalismo. Tra le più antiche leggende quella che più darebbe senso al genere femminile di cui lo abbiamo insignito, è quella riguardante la ninfa Etna.
Etna, figlia di Urano, dio delle volte celesti e Gea, dea della terra, era splendida, la perfetta congiunzione divina tra il cielo e la terra, tra il nucleo magmatico e le volte celesti. La nostra familiare ninfa, si narra avesse una tormentata quanto segreta relazione col dio Efesto, meglio noto in Sicilia come Adranos, e che dal loro amore nacquero due gemelli, che la ninfa dovette partorire nascosta nelle viscere della terra a causa della natura illecita della loro relazione. Cosi furono due volte partoriti e dal ventre della madre e dal ventre della terra, dando vita al vulcano e contrassegnandolo di una vivace ed assidua attività.
O anche si narra che i figli di Gea, i giganti, suoi fratellastri, vollero ribellarsi a Zeus, ma quando uno di questi, Tifeo, fu pronto a sferrare il colpo di grazia al dio, Etna gli fece scudo col suo corpo avendo la meglio e con impeto e coraggio sottomise il gigante, imprigionandolo nel ventre della terra.
Sarebbe tutt’oggi l’ira di Tifeo (mezzo uomo, mezzo animale, con testa d’asino e ali di pipistrello e mille serpenti sulle spalle) a far sbuffare e sputare fuoco all’Etna. Il gigante, da sotto le viscere della terra, oltre a generare eruzioni, reggerebbe sulla mano destra Capo Peloro, Pachino sulla sinistra, sulle gambe Marsala e l’Etna sulla testa ed ogni qual volta cerchi di divincolarsi per liberarsi, sia la causa dei terremoti.
L’Etna non solo assume piena identità femminile ma anche la qualità di essere buona ed amorevole, si ritiene infatti che Etna sia una trasposizione di Agatòs (dal greco “buono”) e dal dialetto Aitna, e poi Aitina, diminitivo dialettale di Agata che non a caso è la Santa patrona della città che sorge alle sue pendici, Catania.