Miur, UniCt e UniBa: le coste della Sicilia sud-orientale potrebbero vivere nei prossimi decenni una progressiva sommersione per effetto del cambiamento climatico. Ecco le zone maggiormente coinvolte.
Le coste della Sicilia sud-orientale potrebbero vivere nei prossimi decenni una progressiva sommersione per effetto del cambiamento climatico con una possibile perdita di circa 10 chilometri quadrati di superficie nel 2100.
Sono i risultati di uno studio finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia nell’ambito del progetto Pianeta Dinamico svolto in collaborazione con le università “Aldo Moro” di Bari e di Catania e la Radboud Universiteit in Olanda.
Lo
studio è stato recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale
Remote Sensing dal titolo “Relative Sea-Level Rise Scenario for
2100 along the Coast of South Eastern Sicily (Italy) by InSAR Data, Satellite
Images and High-Resolution Topography”.
«Sappiamo
che dal 1880 in poi il livello marino ha iniziato ad aumentare di 14-17 cm, ma
negli ultimi anni sta accelerando e sale alla velocità di oltre 30 centimetri
per secolo» spiega il prof. Giovanni
Scicchitano, associato di Geomorfologia del Dipartimento di Scienze della
Terra e Geoambientali dell’Università di Bari.
Negli
ultimi anni il riscaldamento climatico globale sta causando la fusione dei
ghiacci continentali e l’espansione termica degli oceani, come riportato
nell’ultimo rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change) che
illustra le relazioni tra gas serra, aumento delle temperature globali e
aumento del livello marino e questo si ripercuote anche sulle coste della
Sicilia.
«In particolare, se non verranno ridotte le emissioni di gas serra, il livello del mare potrebbe innalzarsi anche di un metro e 10 centimetri nel 2100 e di vari metri nei due-tre secoli successivi, con conseguente impatto sulle coste – continua il prof. Scicchitano -. Ma quelle basse e subsidenti, cioè dove la superficie terreste si muove verso il basso per cause naturali o antropiche, possono accelerare il processo di invasione marina. Per queste ragioni abbiamo realizzato uno studio sugli scenari attesi lungo le coste della Sicilia orientale per il 2050 e 2100».
L’area
è ben conosciuta dal team di ricercatori già dai tempi del terremoto di Santa
Lucia del 1990. In particolar modo sono stati effettuati studi
multidisciplinari che hanno permesso di ricostruire accuratamente i movimenti
del suolo in occasione di terremoti e il livello del mare, con particolare
attenzione a quelle avvenute negli ultimi 10 mila anni, così come la tipologia
e la forza dei principali eventi meteomarini estremi quali tempeste, uragani
mediterranei e tsunami.
«Abbiamo
calcolato le proiezioni di aumento di livello marino per differenti scenari
climatici, sulla base di vari parametri tra cui l’espansione termica del mare,
la fusione dei ghiacci continentali, la concentrazione di gas serra in
atmosfera e infine dei movimenti verticali del suolo – aggiunge Marco Anzidei, primo ricercatore
dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Roma -. Questo ci ha
permesso di realizzare mappe ad alta risoluzione di aree che saranno
potenzialmente allagate nel 2050 e nel 2100, seguendo le metodologie sviluppate
nei progetti SAVEMEDCOASTS
e SAVEMEDCOASTS2 coordinati dall’INGV e finanziati dalla Unione
Europea che stanno fornendo nuove informazioni sugli scenari attesi nei prossimi
anni nel Mediterraneo».
«Nello studio delle coste della Sicilia orientale abbiamo usato varie tecniche analitiche per definire tutte le componenti in gioco nel sollevamento relativo del livello del mare e abbiamo utilizzato dati satellitari per calcolare la velocità di subsidenza, dati mareografici per l’andamento del livello marino e modelli digitali ad alta risoluzione della superficie del suolo lungo la fascia costiera, calibrati con campagne di rilievo topografico di alta precisione – continua il ricercatore dell’Ingv -. Nel calcolo abbiamo considerato gli effetti della tettonica regionale e della subsidenza con tecniche spaziali che includono reti di stazioni Gps permanenti dell’Ingv e dati dei satelliti interferometrici Sentinel che ci hanno permesso di valutare gli scenari in sei zone costiere. Queste includono la parte meridionale della piana di Catania, i porti di Augusta e Siracusa, la foce dell’Asinaro, Vendicari e Marzamemi».
«I
risultati ottenuti hanno, oltre ad una grande rilevanza metodologica, una
particolare importanza in termini di valutazione della vulnerabilità e del
rischio delle aree costiere della Sicilia sud-orientale – spiega il prof. Carmelo Monaco, ordinario di Geologia strutturale
del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università
di Catania -. Nel nostro lavoro abbiamo scelto queste 6 aree perché sono di
particolare importanza per il territorio regionale: la piana di Catania ad
intensa vocazione agricola, i porti di Augusta e Siracusa, di particolare
rilevanza commerciale ed industriale, e Vendicari e Marzamemi, particolarmente
rilevanti dal punto di vista ambientale e turistico».
«Per
la piana di Catania i risultati indicano
che nell’area compresa tra i fiumi Simeto e San Leonardo la perdita di
territorio al 2100 sarebbe considerevole, con il mare che invaderebbe la zona
depressa per diverse centinaia di metri – continua il prof. Monaco -. Nel porto di Augusta alcune aeree industriali
potrebbero essere coinvolte, mentre il porto
di Siracusa è l’area che più soffrirebbe di un potenziale innalzamento del
livello del mare al 2100: secondo le nostre proiezioni l’area della foce del fiume Ciane potrebbe essere
invasa dal mare per una estensione fino ad 1 km nell’entroterra rispetto
l’attuale linea di riva. Le Saline del
fiume Ciane, attualmente area protetta e che negli ultimi anni hanno già
subito un arretramento misurato da dati satellitari di circa 70 metri,
verrebbero totalmente sommerse. Sorte simile potrebbe toccare alla Riserva naturale orientata di Vendicari,
le cui aree umide potrebbero sparire lasciando sparse isole relitte».
«A
questi scenari va aggiunto che, come stimato da vari studi pubblicati negli
ultimi anni, in condizioni di riscaldamento globale anche le tempeste
potrebbero avere effetti più forti su queste aree costiere – aggiunge il prof.
Scicchitano -. È un altro fenomeno che stiamo verificando e analizzando. In un
recente studio che abbiamo condotto in collaborazione con l’Università di
Catania e l’Area marina protetta del Plemmirio di Siracusa, che esporremo al
prossimo congresso dell’European Geosciences Union, abbiamo verificato che gli
uragani mediterranei, conosciuti come medicane, che negli ultimi anni hanno
colpito le coste della Sicilia sud-orientale (come Quendresa nel 2014 e Zorbas
nel 2018), hanno prodotto effetti più intensi rispetto a quelli generati dalle
normali tempeste stagionali avvenute negli ultimi 10 anni».
«In
quest’ottica, in condizioni di livello marino più alto, gli effetti di eventi
meteomarini estremi verrebbero amplificati – concludono i ricercatori -. Questo
implica sicuramente la necessità di continuare le nostre ricerche anche in
altre aree costiere, ma soprattutto diviene necessario aumentare la
consapevolezza della popolazione sugli effetti attesi mentre la comunità
nazionale ed internazionale dovrebbe dare maggiore attenzione al fenomeno
dell’aumento del livello del mare causato dai cambiamenti climatici in corso».