Si parla molto, e forse a sproposito, di avanzata del
centrosinistra nell’isola dopo questo turno elettorale amministrativo.
Quello che sembra apparire, ma siamo ancora al primo turno, centrosinistra
è di fatto una tenuta pentastellata.
I 5stelle non sono desaparecidos come al nord del Paese ma tengono la linea
Maginot costruita sul reddito di cittadinanza che vede la Sicilia seconda solo
alla Campania. Il Regno delle due Sicilie di Cittadinanza.
Non potrebbe essere altrimenti in un’isola in cui l’indice
di povertà corre molto più del Pil, nonostante le fantastiche promesse da tigre
asiatica dell’assessore all’Economia del governo regionale.
Musumeci perdendo Caltagirone, che insieme ad Ambelia, era
diventato il suo feudo politico, è colui che esce simbologicamente più
ammaccato da questo test elettorale.
Il leader di Forza Italia, Micciché, dichiara, con la pronta
sagacia che gli si deve riconoscere, che gli esperimenti modello Draghi o
Giuditta, non avendo dato gli esiti sperati, sono conclusi.
Quello che non sembra concluso è il cortocircuito tra il
governo regionale e la maggioranza di centrodestra.
Tutti si dichiarano soddisfatti come al solito, perfino
Italia Viva nonostante abbia perso buona parte delle sue truppe.
Ritornano vecchi, quasi vetusto, leoni come Francesco Aiello
a Vittoria o Tatà Sanzarello, praticamente
plebiscitario, a Mistretta.
Si rafforza Centopassi di Fava, cosa che creerà qualche
problema di scelta ai giallorossi.
Il blocco sociale pauperista dei 5stelle sembra nettamente
più forte del Pd in Sicilia.
Che potrebbe essere l’unica piazza da affidare a Conte nel
suo delicato rapporto di scambio con il Pd nazionale, visto che altre chance
non possono dargli.
Una volta il blocco sociale assistenziale in Sicilia era
formato dai forestali. Oggi dai percettori di reddito di povertà. Dalle
campagne alle periferie urbane.
È sulla incapienza di reddito e sull’emigrazione dei pochi
laureati o laureandi che si deve progettare il futuro di questa terra?
La linea della palma avanza. Prima era la mafia ora è la povertà.
Giovanni Pizzo