Ambiente. Violata la normativa di tutela delle Riserve.
Due progetti. Gli interventi contestati sono il sentiero della discesa a mare verso la “Grotta delle colombe” e una rete metallica che ha causato la totale eliminazione delle vegetazione esistente.
L’area protetta. Secondo la legge, nella riserva bisogna “conservare la macchia mediterranea”: una tutela che viene disattesa quando si realizzano opere inadeguate.
ACIREALE (CT) – Giù le mani dalla Timpa di Acireale. La riserva naturale rischia infatti di essere snaturata, con danno per migliaia di specie animali e vegetali, nonché per la falesia, la cui erosione, lenta ma continua, è accelerata paradossalmente dall’intervento dell’uomo.
La denuncia arriva da Legambiente, secondo cui, i lavori previsti dal progetto del Comune di Acireale “Interventi integrati finalizzati alla rimozione delle cause di degrado ed erosione dei tratti di costa in corrispondenza delle frazioni di S. Caterina, S. M. La Scala e Pozzillo”, rischiano di sconvolgere non solo l’equilibrio faunistico di superficie della Riserva, ma anche i fondali antistanti, considerati di notevole bellezza e di elevato interesse naturalistico. L’associazione ambientalista, da circa due anni ha puntato il dito contro questi interventi, presentando numerosi esposti anche alla magistratura. L’ultimo in ordine temporale è stato indirizzato all’Unione europea, in quanto i lavori appaltati dal Comune, ricadono, oltre che nella zona A (di massima protezione) della riserva naturale regionale “La Timpa”, all’interno del Sito di importanza Comunitaria (Sic) Ita070004 “Timpa di Acireale” e, secondo quanto denunciato, avrebbero determinato gravissimi fenomeni di deterioramento ambientale derivanti soprattutto dalla distruzione della vegetazione naturale e dal danneggiamento di formazioni geologiche, la cui tutela è il fine istitutivo della riserva.
Il primo progetto sarebbe finalizzato a realizzare un sentiero che consenta la discesa a mare dalla frazione di Santa Caterina, nonostante l’area sia fortemente instabile, e alla sua messa in sicurezza attraverso il posizionamento di reti metalliche, e a proteggere, sempre attraverso il posizionamento di reti, la balneazione in una struttura privata situata in corrispondenza della “Grotta delle Colombe”, peculiare formazione geologica in cui sono presenti spettacolari basalti colonnari, unici nella riserva e rari nel bacino del mediterraneo.
Il secondo progetto, in località Santa Caterina, in un’area contigua a quella del primo, è stato motivato per “difendere” il corrispondente tratto falesia, privo, però, di qualunque manufatto e non interessato neppure dallo stesso sentiero. Per consentire la posa e l’ancoraggio delle reti metalliche la vegetazione è stata totalmente eliminata. Sui lavori sino ad oggi realizzati è in corso un’indagine della magistratura avviata a seguito di precedenti esposti, ma il timore è che, senza un intervento risolutivo della giustizia e dell’Ue, anche altre opere saranno autorizzate e lo scempio della Timpa sarà totale.
“Siamo venuti a conoscenza di alcune modifiche alle autorizzazioni originarie al progetto – afferma Roberto De Pietro di Legambiente -. Tali modifiche alle prescrizioni originarie hanno consentito di realizzare in cemento rivestito (mantenendo i muri di contenimento preesistenti in cemento) il sentiero in località Santa Caterina, sebbene originariamente esso fosse previsto in pietra lavica con l’eliminazione del cemento preesistente e senza l’uso di nuovo cemento. Le autorizzazioni – continua – hanno inoltre consentito di realizzare dei gabbioni in rete metallica riempiti con pietrame lavico. Questi, non sono stati tuttavia autorizzati dalla Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Catania che, con nota prot. 5952/08 del 23/07/2008, si è infatti limitata ad autorizzare solo “il mantenimento del substrato di conglomerato cementizio ove esistente e la formazione del substrato ove assente. I lavori a terra, inoltre – continua De Pietro – risultano in violazione della normativa di tutela della riserva naturale”.
In particolare, il decreto istitutivo della riserva individua tra le specifiche finalità dell’area protetta “la conservazione ed il ripristino della macchia mediterranea nonché la conservazione dei valori paesaggistici della zona”. Interventi attuati, dunque, in aperto contrasto con queste finalità e con le specifiche disposizioni regolamentari della riserva naturale previste dal Decreto dell’Assessorato Regionale Territorio e Ambiente del 23 aprile 1999 “Istituzione della riserva naturale orientata La Timpa, ricadente nel territorio del comune di Acireale”.
Mitigare l’impatto ambientale nel rispetto delle regole
L’articolo 2, lettera n) del punto 2.1 del Regolamento recante le modalità d’uso e divieti vigenti nella riserva orientata La Timpa, infatti, vieta la distruzione della vegetazione naturale; mentre il secondo comma dell’art. 10 “Misure speciali”, prevede che “In caso di accentuati ed evidenti fenomeni di instabilità dei versanti o di parti di essi è consentito prevedere interventi di consolidamento tendenti ad eliminare situazioni di reale ed immediato pericolo per l’incolumità pubblica, previo nulla osta dell’Assessorato regionale Territorio e Ambiente, sentito il Consiglio Regionale per la Protezione del Patrimonio Naturale. […] Non saranno presi in considerazione progetti generali riguardanti consolidamento di interi versanti. Gli interventi dovranno, in ogni caso, essere compatibili con le finalità istitutive della riserva e per essi dovranno prevedersi le apposite misure per la mitigazione dell’impatto ambientale”.
Secondo quanto denunciato da Legambiente, invece, gli interventi realizzati non sarebbero finalizzati ad eliminare situazioni di reale ed immediato pericolo per l’incolumità pubblica in quanto sono stati concepiti per rendere fruibile un tratto di costa non raggiunto da visitatori; “l’eventuale riattivazione dell’antico sentiero (relativa al primo progetto) – sottolineano dall’associazione – andava piuttosto prevista, dopo attenta valutazione, nell’ambito del piano di sistemazione della riserva (ancora non redatto). Inoltre, il Consiglio Regionale per la Protezione del Patrimonio Naturale non è stato sentito né relativamente al primo né al secondo progetto di sistemazione. Infine, la presentazione di progetti diversi per aree contigue nei fatti si è configurata come una procedura che ha consentito di aggirare il divieto previsto dal regolamento di realizzare interventi su interi versanti”.