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Il nuovo Mercato di Ballarò a Palermo, un luogo dei sensi

Luigi Patitucci

Il nuovo Mercato di Ballarò a Palermo, un luogo dei sensi

mercoledì 10 Novembre 2021

Scenario esaltante per la condivisione di una narrazione carica di vitalità e di bellezza

Viviamo in luoghi emittenti, propulsivi, qui in Sicilia, luoghi capaci di catalizzare minuto per minuto ogni nostro pensiero, ogni nostra azione, distillandone feroce ed insopportabile bellezza. Lo scenario delle nostre esistenze, in ragione della matrice identitaria che caratterizza la cultura siciliana, possiede una (naturale) dimensione internazionale, che non mostra alcun cedimento nei confronti del supermercato del preconfezionato, messo in atto dai gruppi di interesse, dalle multinazionali, che mirano alla omologazione ed all’appiattimento della nostra detonante cifra espressiva. Tentativi che hanno il respiro afasico e la miccia corta, tale è l’energia potenziale che abbisogna di poter essere continuamente messa in circolo, giocata, con enorme, immensa partecipazione, singolare e collettiva.

Perché siamo unici.
E duplici, e plurimi e, qualche volta abbiamo persino bisogno di de-pensarci, di non fare uso della ragione, anche soltanto per qualche momento, momenti in cui desideriamo voler condividere con gli altri accadimenti che non avevamo affatto previsto, questioni che pensavamo fossero estranee al nostro modus vivendi, fuori dalla nostra portata. E, con grande sorpresa, abbiamo modo di poter scoprire, con meraviglia e stupore, ed incredulità, che ci siamo dentro anche noi a quelle storie, che facciamo parte di una narrazione cui pensavamo, ingenuamente, di non appartenere.

E’ questa la rivelazione che ci viene dal collidere, in maniera inconsapevole e meravigliosa con gli altri. Evento che ci appare come una magia, una magia capace di poterci far scoprire quanto possa essere importante conoscere, per immersione progressiva, ogni questione di prossimità.

Ed è quello che ci aspettiamo possa essere indotto dal sapiente lavoro di tutti quegli uomini che, in qualche misura, appartengono alle discipline proprie della cultura del progetto, da coloro che realizzano gli scenari ove vengono giocate le nostre esistenze, designer che sono creatori di segni ambientali, che oggi più che mai, in ragione dell’avvicendarsi ciclico di crisi di tipo economico-finanziario, ambientale, sanitario, ricevono l’inattesa occasione per poter determinare le frequenze proprie del nostro scenario di vita. Per poter realizzare, dentro tale scenario, sia esso pubblico o privato, le migliori frequenze atte a poter ricevere il nostro potenziale creativo, sforzandosi di poter generare un Climax ideale per i nostri habitat.

Con il nuovo progetto di riqualificazione ambientale del Mercato di Ballarò a Palermo, il team che ruota attorno alla figura carismatica e risonante di Renzo Lecardane, responsabile scientifico del progetto, elaborato in sinergia tra diversi soggetti, tra cui figura il Dipartimento di Architettura, ove egli esercita l’attività di professore associato di Composizione Architettonica.

Cantiere_ottobre 2021
Consiglio in Strada
Copertura policroma
Dettaglio struttura 3Dprint_1
Dettaglio struttura 3Dprint_2
Modello verticale
Planimetria progetto Piazza del Carmine
Stralcio assonometria progetto
Vista Piazza del Carmine prima e dopo
Vista Piazza Oratorio Sant’Alberto prima e dopo

Tale Intervento, elaborato dal gruppo di ricerca LabCity Architecture grazie ad una convenzione tra il Dipartimento di Architettura dell’Università di Palermo e l’IACP, ha previsto il ridisegno dello spazio pubblico della Piazza del Carmine e di una grande copertura policroma del Mercato Ballarò. La piccola copertura in ferro e i box dei mercatali, sono stati invece progettati esclusivamente dall’Ufficio Tecnico dello IACP, committente il Comune di Palermo.

Il regista di tale operazione di ridisegno urbano, Renzo Lecardane, ci informa sulle direttrici di intervento prefigurate: “L’ipotesi progettuale ha mirato a definire una pièce urbaine proprio a partire dal suo contesto e dai suoi margini urbani. Il complesso storico monumentale della Chiesa del Carmine e dell’Oratorio di Sant’Alberto rappresentano le quinte urbane di due piazze che accolgono al centro il grande Mercato coperto e lateralmente la copertura più piccola attraverso un lavoro di ricucitura e riuso di ciò che esiste. Il progetto nel suo complesso ambisce a definire nuovi luoghi di aggregazione per la comunità. Mi auguro soltanto che tutto sia realizzato al più presto così come è stato progettato, e che non vi siano modifiche in corso d’opera. Il nostro contributo scientifico si è esaurito alla fine del 2018 con la consegna del dossier così come previsto dalla convenzione Darch-Iacp”.

Parecchi anni addietro, circa un decennio, mi trovai in qualità di responsabile scientifico del Laboratorio di Design denominato WOZ, una sovrastruttura nomade di profilo internazionale ideata da Domenico Cogliandro, architetto ed editore della casa editrice Biblioteca del Cenide (ove ho svolto per qualche tempo l’attività di direttore editoriale della collana sul design chiamata Design Park), a dover collidere con le problematiche estenuanti provenienti dal quartiere di Ballarò. Luogo fisico ove quell’anno ci si trovava a dover intervenire, nel tempo di una settimana, con la elaborazione e la realizzazione, per quanto possibile, di tutta una serie di interventi inerenti il miglioramento della qualità della vita in una sorta di micropoli. Ciò, dopo aver già compiuto analoghe esperienze nei siti di Riace, Ustica, Maletto, e nelle due sponde dello Stretto di Messina. Problematiche, come dicevo, tanto estenuanti quanto risonanti e pregne di una forte carica attrattiva, da altissimi profili di coinvolgimento e di seduzione.
A tutti i livelli.
Problematiche, beninteso, preziose per tutti noi, che lì ci trovavamo in qualità designer, dunque nel ruolo di creatori di segni ambientali, che subito si tramutavano in inestimabili, quanto feroci, elementi di riferimento, in insostituibili, preziosi, parametri di progetto.

Cito questa mia esperienza, allo scopo di ricordare a me stesso ed a chi legge, la scorta di problematiche complesse, emerse in virtù di quella operazione messa in atto da WOZ, ma allo stesso tempo questione che diviene ordinaria, ogni qual volta si debba intervenire in un ambito territoriale come quello contraddistinto dai profili di difficoltà d’esercizio inerenti le esigenze, le necessità, i desideri di chi vive o si relaziona con tali scenari, o con contesti analoghi a quelli presenti a Ballarò.

Nello specifico, nel nuovo Mercato di Ballarò, vi è una struttura, quella del mercato coperto, che viene ripescata dalla memoria del tempo, dalla constatazione della esistenza di un mercato coperto per la vendita del pesce in Piazza del Carmine intorno agli anni ’20, poi dismesso intorno al 1970, perché ritenuto ormai obsoleto, che funziona da elemento di propulsione dell’intera proposta di progetto. Esso avrà una superficie pari a circa 650 metri quadri, realizzato in ferro, di forma esagonale irregolare e con la presenza di una corte quadrata centrale aperta, allo scopo di poter dissolvere meglio gli odori sgradevoli provenienti dalla ostensione e lavorazione delle merci. Sarà dunque in ferro, imbullonato, perché uno degli aspetti importanti, ed ormai irrinunciabile, di questa nuova costruzione è proprio quello della temporaneità.

“Era necessario che la nuova copertura fosse smontabile – racconta Lecardane – temporaneo nella sua costruzione ma permanente nell’uso. In una prima ipotesi avevamo proposto una copertura metallica con controsoffitto in legno, con la possibilità di collocare in copertura dei pannelli fotovoltaici a film sottile (thin film) dello spessore di pochi millimetri. Si trattava di un sistema altamente innovativo avrebbe consumato zero ed addirittura restituito energia da poter spendere in altre economie. Ma la Sovrintendenza ci ha chiesto di coprirlo con delle tende colorate, perché la normativa attuale non prevede ad oggi l’uso del fotovoltaico in qualsiasi sua forma, seppur innovativa e non invasiva, nel centro storico di Palermo”.

Ad opera del gruppo Lab City che, rilanciando ancora sulla questione della operazione di attualizzazione delle proposizioni da mettere in campo, in accordo con le mutate esigenze provenienti dalla utenza urbana, non condivide l’idea della replicazione di un falso storico, ma si dirige nella direzione atta a produrre una nuova struttura di significativo rilievo nella sua fisionomia formale.

Abbiamo ritenuto che Palermo meritasse un progetto contemporaneo e non la mera ricostruzione di una copertura in ferro che è stata smontata da più di trent’anni – precisa Lecardane -. Così la nuova ipotesi è stata accettata. Abbiamo proposto una nuova copertura leggera che stesse nella Piazza del Carmine a definire due spazi pubblici: da una parte il sagrato della Chiesa del Carmine e dall’altro lo spazio di fronte all’Oratorio di Sant’Alberto. Abbiamo contribuito al progetto di ricerca-azione dello spazio pubblico e al ridisegno della pavimentazione e al progetto del nuovo mercato coperto che ci sarà al centro della piazza. Lo Iacp, nella sua precedente versione, aveva immaginato una grande copertura di forma rettangolare proprio davanti alla facciata della Chiesa del Carmine. Quel progetto era stato rimandato indietro proprio dalla Sovrintendenza che aveva rilevato l’impossibilità di un’agile uscita della statua della Madonna del Carmine in occasione della processione annuale”.

Si è sviluppato, così facendo, un pregevole intervento, in un luogo che, in accordo con le sue innumerevoli traiettorie d’espressione preesistenti, viene designato, e disegnato, per poter accogliere quello che io sono solito definire come un Paesaggio Risonante, colorato, innovativo e contemporaneo.

Un progetto complesso questo, che interessa un luogo fortemente storicizzato da preesistenze di incalcolabile valore storico-monumentale, da modalità d’uso e di replicazione continuata di azioni scenico-dinamiche consolidatesi nel tempo, problematiche legate alla sovrapposizione di attività umane (commerciali, amministrative, residenziali, turistiche, di servizio, di manutenzioni giornaliere, di viabilità e sosta temporanea o lunga, etcc…) che si serve delle traiettorie di solvimento messe in atto dalla disciplina del Public Design, oggi riconosciuta in ambito internazionale, quale insostituibile traiettoria, per poter meglio interpretare e tradurre, quelle che sono le dinamiche complesse dello scenario urbano, e farle convivere con le reali, concrete, ed a volte feroci, esigenze di tutta la comunità urbana di una città metropolitana.

Come ho scritto tante volte, a mio avviso, il miglior strumento, per il trasferimento in ambito applicativo, dunque nella realtà fisica delle azioni dinamiche della nostra quotidianità, sommatoria costituente del nostro complesso modus vivendi, pare essere meglio rappresentato da un Design Lab Permanente sui processi inerenti le problematiche connesse alla nostra esistenza in uno scenario urbanizzato, piccolo o grande che sia. E Renzo Lecardane, con questa sua modalità di intervento sembra aver accolto la lezione proveniente dalle modalità messe in campo, da qualche decennio, a diverse latitudini dalla disciplina del Design, avvezza per questioni genetiche ad adoperarsi nella produzione di azioni concrete nella vita reale. E sono le sue parole a darmene conferma, sentite:

Abbiamo lavorato nel quartiere dell’Albergheria grazie ad un’esposizione allestita nei locali di Sant’Antonino, ed è stata un’esperienza internazionale che ha tracciato un quadro di conoscenza del quartiere che ci ha permesso, così, di fare delle proposte per Palermo città europea”.

Qui si riferisce ad un lavoro svolto per Manifesta 12, che egli ha coordinato, insieme ad un team di giovani architetti e laureandi, che ha poi rappresentato la base della ricerca, necessaria allo sviluppo dell’intervento in questione.

Il gruppo di ricerca LabCity Architecture, fondato e coordinato dal 2013 dal Prof. Arch. Renzo Lecardane, presso il Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo (DARCH-UNIPA), è un’unità di ricerca orientata allo studio del rapporto tra ricerca e innovazione in architettura, che riunisce dottori di ricerca, giovani laureati e laureandi che risiedono a Palermo ed in altre città europee. Il LabCity si occupa dei processi di sperimentazione nella città contemporanea attraverso il progetto di architettura, focalizzandosi sui temi dell’infrastruttura e della cultura come importanti catalizzatori di riattivazione urbana. Le ricerche si estendono inoltre nell’immaginario della scena architettonica internazionale, attraverso esplorazioni di progetti temporanei che vengono sovente elaborati con il coinvolgimento di associazioni ed attori istituzionali che operano sul territorio. La sovrastruttura – mi riferisco adesso alla squadra messa in campo per la redazione della proposta di progetto – che egli ha dunque configurato per la elaborazione della proposta d’intervento su Ballarò, si proponeva di poter risolvere le più urgenti questioni riguardanti lo sviluppo e la ridefinizione del contesto cittadino, di un’intera area ad alto indice di appetibilità ed insieme di grande degrado, mediante l’uso delle metodologie afferenti alle discipline proprie del Public Design, che comprendono l’applicazione di principi e metodologie di discipline altamente specialistiche, inerenti l’Urban Design, l’Interior Design, il Landscape Design, il Product Design, il Graphic e Visual Design, e della comunicazione in genere.

Una tale sovrastruttura, come ebbi a scrivere nelle mie numerose ricerche sulla disciplina del Public Design (“Public Design game. Design Therapy for a lollipop community”, Luigi Patitucci, Malcor D, 2016, NdA), sembra essere l’unica in grado di poter accogliere, in un percorso di progetto, l’acquisizione dei dati provenienti dalla implementazione dei parametri della temporaneità, della provvisorietà, della impermanenza, della sostenibilità, nel suo approccio di metodo.

“Il progetto è complesso, non è fatto di un mercato soltanto, è stato il frutto della ricerca-azione alla quale abbiamo creduto in molti. Una doppia tensione ha guidato questa ricerca sul campo, attraverso continue operazioni di distanziamento e di interazione con le istituzioni locali, le associazioni, gli abitanti e i mercatali”, mi dice Lecardane.

Le nostre città, i nostri contesti territoriali, ci appaiano come imbrigliati, impantanati, in una condizione di angoscia diffusa, spazi che dovrebbero accogliere elementi attivi di energia vitale giocata dalla sua utenza, appaiono invece come ambiti cui è stato negato l’essenziale, e necessario, spazio di rappresentanza e di esercizio della vita. L’intervento condotto sul Mercato di Ballarò, prefigura un approccio di metodo che possiede una vocazione ‘militante’ in relazione al ruolo svolto dall’Università, proponendo nuovi scenari ed accattivanti letture del contesto urbano, sedimentando ed acquisendo significati atti alla elaborazione di un “prodotto collettivo, in cui la sperimentazione del processo e l’innovazione del progetto di architettura si intrecciano a più riprese per ricordarci che è possibile immaginare una città migliore rispettosa del passato e impaziente del suo futuro”(Lecardane).

E’ dunque soltanto attraverso la messa in atto di una struttura pluridisciplinare, propria della natura del Design che, come dicevo, nella sua fisionomia cromosomica, vive e si alimenta, mediante l’esercizio della ricerca, della sperimentazione e delle sue applicazioni alla realtà concreta del vivere quotidiano, costituita da tutta una equipe di figure altamente specialistiche, che oggi si può rispondere alle complesse problematiche che emergono da un organismo vivente altamente complesso, quale è la città metropolitana.

Insediare il luogo dei sensi, come è stato fatto in maniera ineccepibile dal gruppo coordinato da Renzo Lecardane, un luogo certamente dalle forti connotazioni simboliche, parte di un Paesaggio Risonante, come dicevo, che nella cifra della transitorietà possa trovare le migliori traiettorie d’espressione di desideri ed esigenze collettive ed individuali, che possa sostituirsi in maniera irreversibile al luogo della rappresentazione normata e funzionale della città capitalista, è certamente operazione esemplare. In un paesaggio dell’indifferenza e dell’anonimato, generato dalle becere economie messe in atto dal sistema capitalista, che ha prodotto una progressiva eliminazione dello scenario caratteristico dei luoghi, a favore di una Estetica della Sicurezza, fatta tutta da spazi d’interdizione, di spazi resi a forza sfuggenti, pungenti, o addirittura stressanti, atti a favorire la ciclicità dei flussi di fruizione dello spazio pubblico, unicamente nella traiettoria d’esercizio di una funzionalità che ha lo scopo di sostenere le attività finanziarie e commerciali dei nostri ambiti territoriali, la riappropriazione fisica dei nostri spazi pubblici, ha una forte valenza simbolica e politica.

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