I suicidi costituiscono il 51% dei casi di morte registrati in carcere nel corso dell’anno, anche questa percentuale mai così alta dall’inizio del secolo
“Con questo ultimo tragico caso, siamo a 77 suicidi nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno, il numero più alto di sempre (solo nel 2009 a fine anno i suicidi superarono le 70 unità, fermandosi però a 72). I suicidi costituiscono il 51% dei casi di morte registrati in carcere nel corso dell’anno, anche questa percentuale mai così alta dall’inizio del secolo. Ogni caso è caso a sé, con la storia di quella persona e della sua disperazione, ma il dato generale è impressionante ed è indice di una generale mancanza di speranza nelle nostre carceri”. Così il portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà, Stefano Anastasìa, dopo aver appreso la notizia del suicidio in carcere a Torino di un detenuto italiano di 56 anni.
“Salvo poche, ammirevoli, esperienze di sostegno e accompagnamento al reinserimento sociale la grande maggioranza dei detenuti e delle detenute vive la carcerazione come un periodo più o meno lungo di abbandono e di disperazione – sottolinea – Paradossalmente, l’emergenza pandemica dava più stimoli a sopravvivere, facendo sentire i detenuti, seppure chiusi in carcere, parte della società esterna, anch’essa alle prese con la prevenzione e la cura del virus. Ma oggi il carcere è tornato a essere un luogo di isolamento e di disperazione, e il numero di suicidi ne è una drammatica testimonianza. Se non vogliamo rassegnarci a questa tragedia o scaricarne la responsabilità sugli operatori penitenziari e sanitari in trincea – conclude Anastasìa – bisogna ridurre il carcere a extrema ratio e aprirlo alle attività e al mondo esterno, per restituire ai detenuti la speranza in un futuro degno di essere vissuto”.