Urge rivoluzione responsabile
Il nostro Paese si è indebolito culturalmente, in modo sensibile, sia per il declino di Scuola e Università, come per l’abbassamento della funzione educatrice delle famiglie, ove i genitori sono più portati verso i divertimenti che non l’osservanza dei doveri, per far crescere i figlioli come buoni cittadini.
Questi tre elementi – Scuola, Università e Famiglia – hanno creato il degrado cui prima si accennava, che non è recuperabile perché lo sostiene il sistema dei media sociali, i quali hanno fatto precipitare verso il basso le cose scritte, viste e sentite.
Dobbiamo sottolineare, anche a fine anno, questo elemento strutturale del nostro Popolo perché ci accorgiamo con grande disappunto che gran parte dei giovani non riesce a immaginare il proprio futuro per cui alcuni di essi, trentenni o quarantenni, non sanno cosa faranno da grandi. Il che non depone bene per il futuro del nostro Paese.
Naturalmente, quanto prospettato non riguarda l’intera popolazione, ma solo quella giovanile che rappresenta il futuro. Non si può trascurare il fatto che quasi un terzo degli italiani è pensionato, quindi fuori dal lavoro attivo, un terzo ci deve entrare e solo un terzo lavora.
Si tratta di una proporzione squilibrata perché non è possibile che venti milioni di italiani, impegnati più o meno nel loro lavoro, debbano sostenere gli altri quaranta milioni.
Vi è un lato peggiore della situazione che rappresentiamo e cioè che ai giovani non si insegnano quelle virtù morali che sono alla base del buon funzionamento di un Popolo e che ne costituiscono il presupposto della crescita.
Non si insegna, per esempio, che bisogna escludere dal proprio futuro le convenienze e includere le competenze. Ogni essere umano deve tentare di diventare libero: lo diventa se è libero nella testa ma a condizione che sia libero nella tasca.
Infatti, chi è soggetto a vincoli o non è in condizione di guadagnare quanto gli serva per vivere (anche per la propria famiglia) non può considerarsi libero,
Inoltre la libertà economica se suffragata da competenze consente di scegliersi il lavoro.
È inutile girarci intorno: nel mercato della domanda e dell’offerta di lavoro vince chi è competente, non sempre il datore di lavoro, per la semplice ragione che chi lo è mette sul tavolo le sue credenziali e quindi può anche chiedere condizioni più favorevoli per se stesso.
La questione che prospettiamo è semplice da indicare e difficile da realizzare perché, in questo secondo caso, occorrono energia, grande volontà, spirito di sacrificio, rinuncia a una parte di divertimenti e svaghi.
Infatti, per far crescere le proprie competenze bisogna studiare, studiare, studiare. Cioè bisogna destinare una parte delle proprie ore all’apprendimento generale, all’apprendimento professionale, all’apprendimento competitivo conseguente a una buona organizzazione.
Dispiace che i media sociali non facciano menzione di tutto questo perché essi hanno una grande capacità di attrarre il giovani e i meno giovani, per cui vengono meno al loro dovere sociale nonostante si chiamano “sociali”.
Dunque, competenze e non convenienze. Quali convenienze? Tutte quelle che si possono trovare per soddisfare il proprio egoismo calpestando le regole etiche, il proprio dovere e il rispetto per i terzi.
Già, è proprio il rispetto che manca in molta parte delle persone, cosicché si possono affrontare tante circostanze pensando a se stessi e non agli altri.
Dispiace dover dire queste cose, ma non è per pessimismo che le scriviamo, anzi il tentativo è quello di stimolare il pensiero per cercare di farlo andare verso obiettivi che siano di interesse generale e non particolare.
La questione viene ribadita: ognuno di noi dovrebbe agire per interesse di tutti e questo deve sempre prevalere su quello individuale. Non ci dovrebbero essere dubbi su questa scelta. Ma quanti se la pongono? Quanti pensano direttamente al proprio interesse senza guardare a quello degli altri? E tuttavia non disperiamo perché nei secoli l’umanità si è saputa evolvere, ha saputo trovare soluzioni a problemi esistenziali, e sopravvivere.