Dallo scorso 6 luglio le comunicazioni legate a multe, accertamenti e altri avvisi vanno inviate al domicilio elettronico, “automatico” per professionisti e imprese già tenuti ad avere una casella Pec. Le Pa sono obbligate a verificarne l’esistenza prima di effettuare l’invio cartaceo, a pena di sanzioni per i dirigenti
ROMA – Non solo il postino non suonerà più due volte, per parafrasare il titolo del film di Bob Rafelson del 1981 con protagonisti gli indimenticabili Jessica Lange e Jack Nicholson, ma presto smetterà di suonare il campanello di casa nostra per consegnarci una raccomandata in cui ci è notificato di aver ricevuto una comunicazione da un ente pubblico e quindi lo squillo del postino diventerà solo un ricordo. Dallo scorso 6 luglio le comunicazioni legate a multe, accertamenti, cartelle esattoriali e altro da parte della Pubblica amministrazione saranno inviati non più tramite la tradizionale raccomandata cartacea ma sulla propria Pec.
Questa decisione è resa possibile, proprio da quella data, dall’entrata in vigore dell’Indice nazionale dei domicili digitali (Inad), il database in cui è possibile registrare il proprio account Pec per la ricezione delle sopraddette comunicazioni e sul quale, in automatico, sono già state rese disponibili le Inad di quanti, per attività professionale, la possiedono. L’Inad risulta quindi essere il depositario del domicilio digitale del cittadino. Chi non attiverà un domicilio digitale non subirà conseguenze almeno fino al 30 novembre 2023, quando possedere una Pec sarà un obbligo per tutti i cittadini e, fino a quel momento, le comunicazioni verranno consegnate come al solito al proprio indirizzo fisico. Quindi per la Pa, ma anche per i gestori di pubblici servizi e le società a controllo pubblico sarà obbligatorio verificare l’esistenza di un indirizzo Pec prima di effettuare l’invio cartaceo.
A tal proposito, e per fugare una serie di dubbi, il QdS ha posto alcune domande all’AgID, l’Agenzia per l’Italia Digitale, istituita dalla Legge 134/2012, deputata alla realizzazione degli obiettivi dell’agenda digitale italiana, in coerenza con l’agenda digitale europea, assicurando il coordinamento informatico dell’amministrazione dello Stato e di quelle regionali e locali. Riassumiamo le risposte nei box qui di seguito.
Iscrizione all’Inad ad oggi facoltativa per i cittadini
È un obbligo l’iscrizione al domicilio digitale? Anzitutto, occorre fare una distinzione, tra imprese e professionisti iscritti a un albo, da una parte, e cittadini, dall’altra. Il primo gruppo infatti ha già, da tempo, l’obbligo di avere una casella di posta elettronica certificata e, dal 6 luglio, in automatico (in virtù dell’allineamento tra Ini-Pec e Agid) si è visto “attivare” un domicilio digitale. Resta ferma però la possibilità di chiederne la cancellazione per motivi di privacy.
Per i cittadini, invece, – spiega al QdS l’Agid – “l’iscrizione a Inad, l’Indice nazionale dei domicili digitali, è facoltativa. Si tratta, infatti, di un’opportunità per comunicare con la Pa in modo semplice, tempestivo e soprattutto digitale. Utilizzando la Pec iscritta in Inad le notifiche arrivano in tempo reale, senza ritardi o problemi relativi al mancato recapito, in qualunque posto ci si trovi. Inoltre, si realizzano notevoli risparmi legati al minore utilizzo della carta e alla riduzione dei costi di stampa e altri costi collegati. I cittadini che non possiedono un indirizzo di Posta elettronica certificata, o che non vogliono iscriversi a Inad, continueranno a ricevere le comunicazioni da parte della Pa con le tradizionali modalità cartacee”.
Giù i costi di notifica
L’altro aspetto è quello dei costi relativi all’emissione della raccomandata cartacea e, in questo caso “le spese di notifica degli atti amministrativi e giudiziari sono definiti per legge o con decreto ministeriale. Con riferimento agli enti locali il decreto MEF 14 aprile 2023 ha definito i costi di notifica in base al tipo di atto e allo strumento utilizzato. Per fare un esempio, in questo caso il costo della notifica a mezzo Pec è stato fissato a 2 €, mentre quello a mezzo raccomandata a/r a €7,83”.
In caso di obbligo “violato” previste sanzioni per le Pa
Ma cosa succede se è inviata una Raccomandata tradizionale al possessore di PEC? Sono previste sanzioni per l’ente? Chi ne risponde? Sempre l’AgID ci informa che “vi sono casi – come per le notifiche tributarie – in cui l’ordinamento prevede modalità di notifica diverse. Al di fuori di tali casi, per le amministrazioni che pur essendovi obbligate non notificano al domicilio digitale eletto su Inad è prevista l’applicazione dell’art. 18bis del Cad”, il Codice dell’amministrazione digitale, che prevede che “Le violazioni accertate dall’AgID rilevano ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comportano responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165” colmando di fatto una lacuna normativa del CAD che non aveva previsto alcuna disciplina specifica nel caso di inosservanze gravi all’attuazione della trasformazione digitale.
Oggi, quando si riceve una raccomandata cartacea, in caso di assenza del destinatario, la stessa può essere ritirata da un familiare convivente, pratica che non sembra essere invece possibile con la PEC perché “su Inad l’indirizzo Pec viene associato al singolo cittadino, che indica la propria casella di posta certificata personale”.
Le sanzioni previste in caso di violazione degli obblighi di “transizione digitale”
La violazione degli obblighi della transizione digitale è prevista dall’art. art.18 bis del Codice dell’amministrazione digitale (Cad), il Dlgs n.82/2005 aggiornato recentemente dalla Legge 41/2023. In partciolare, al comma 1, viene precisato che “l’Agid esercita poteri di vigilanza, verifica, controllo e monitoraggio sul rispetto delle disposizioni del presente Codice e di ogni altra norma in materia di innovazione tecnologica e digitalizzazione della Pubblica amministrazione, ivi comprese quelle contenute nelle Linee guida e nel Piano triennale per l’informatica nella pubblica amministrazione, e procede, d’ufficio ovvero su segnalazione del difensore civico digitale, all’accertamento delle relative violazioni da parte dei soggetti di cui all’articolo 2, comma 2” (Pa, gestori di servizi pubblici e società a controllo pubblico, ndr).
Qualora vengano riscontrate violazioni, l’Agid procede “ alla contestazione nei confronti del trasgressore, assegnandogli un termine perentorio per inviare scritti difensivi e documentazione e per chiedere di essere sentito”. In caso di accertamento di violazioni, queste rilevano “ai fini della misurazione e della valutazione della performance individuale dei dirigenti responsabili e comportano responsabilità dirigenziale e disciplinare ai sensi degli articoli 21 e 55 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165”.
Previste anche sanzioni in forma specifica
Infatti, “in caso di mancata ottemperanza alla richiesta di dati, documenti o informazioni di cui al comma 1, ultimo periodo, ovvero di trasmissione di informazioni o dati parziali o non veritieri, nonché di violazione degli obblighi previsti dagli articoli 5, 7, comma 3, 41, commi 2 e 2-bis, 43, comma 1-bis, 50, comma 3-ter, 50-ter, comma 5, 64, comma 3-bis, 64-bis del presente Codice, dall’articolo 65, comma 1, del decreto legislativo 13 dicembre 2017, n. 217 e dall’articolo 33-septies, comma 4, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ove il soggetto di cui all’articolo 2, comma 2, non ottemperi all’obbligo di conformare la condotta nel termine di cui al comma 3, l’AgID irroga la sanzione amministrativa pecuniaria nel minimo di euro 10.000 e nel massimo di euro 100.000”.
“I proventi delle sanzioni – si legge ancora nella norma – sono versati in apposito capitolo di entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnati allo stato di previsione della spesa del Ministero dell’economia e delle finanze a favore per il 50 per cento dell’AgID e per la restante parte al Fondo di cui all’articolo 239 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77”.
Ancora, “ontestualmente all’irrogazione della sanzione nei casi di violazione delle norme specificamente indicate al comma 5, nonché di violazione degli obblighi di cui all’articolo 13-bis, comma 4, l’AgID segnala la violazione alla struttura della Presidenza del Consiglio dei ministri competente per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale che, ricevuta la segnalazione, diffida ulteriormente il soggetto responsabile a conformare la propria condotta agli obblighi previsti dalla disciplina vigente entro un congruo termine perentorio, proporzionato al tipo e alla gravità della violazione, avvisandolo che, in caso di inottemperanza, potranno essere esercitati i poteri sostitutivi del Presidente del Consiglio dei ministri o del Ministro delegato. Decorso inutilmente il termine, il Presidente del Consiglio dei ministri o il Ministro delegato per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale, valutata la gravità della violazione, può nominare un commissario ad acta incaricato di provvedere in sostituzione. Al commissario non spettano compensi, indennità o rimborsi. Nel caso di inerzia o ritardi riguardanti amministrazioni locali, si procede all’esercizio del potere sostitutivo di cui agli articoli 117, quinto comma, e 120, secondo comma, della Costituzione, ai sensi dell’articolo 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131”.
Infine, l’Agid “con proprio regolamento, disciplina le procedure di contestazione, accertamento, segnalazione e irrogazione delle sanzioni per le violazioni di cui alla presente disposizione. All’attuazione della presente disposizione si provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie già previste a legislazione vigente”.
Lo stato della transizione digitale: nel 2022 spesi 7 miliardi dalla Pa
Ma qual è lo stato attuale della transizione digitale, nel suo complesso, nella macchina burocratico-amministrativa delle strutture periferiche dello Stato? Secondo l’Annual Report di FPA del 2022, i risultati conseguiti sino a oggi sono incoraggianti. A fine 2022 le identità digitali Spid sono arrivate a oltre 33 milioni mentre le carte d’identità elettroniche (Cie) a 32,7 milioni.
Anche gli ultimi dati diffusi da AgID evidenziano una crescita degli investimenti effettuati dalla Pubblica Amministrazione in ambito digitale, “in particolare – ci viene indicato da AgID – nel 2022 la PA ha speso più di 7 miliardi di euro in ICT (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione, ndr), registrando un aumento del 5,8% rispetto al 2021, cifra che continuerà a crescere nel prossimo triennio, anche grazie ai fondi del Pnrr. A livello tecnologico, quindi, le istituzioni stanno continuando ad avanzare lungo il percorso di trasformazione digitale, migliorando piattaforme, infrastrutture, servizi, dati, sicurezza informatica, governance e interoperabilità. Parallelamente ci sono investimenti anche sul fronte delle competenze, non solo dei dipendenti pubblici – nella formazione, aggiornamento, selezione e acquisizione di personale qualificato – ma di tutti i cittadini, per ridurre il divario culturale e digitale nella popolazione, aumentando il grado di dimestichezza con le nuove tecnologie e, soprattutto, il grado di consapevolezza informatica, un tema che nei prossimi anni diventerà sempre più cruciale”.
Proprio sulla base delle ultime statistiche, anche grazie alle importanti risorse stanziate dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), nel corso degli ultimi 18 mesi il percorso di transizione digitale avviato nel nostro Paese ha intrapreso una forte accelerazione. Proprio in quest’ultimo periodo sono stati promossi interventi profondi, in grado di agire sulle diverse componenti chiave del nostro sistema economico, dalla connettività per cittadini e imprese alla digitalizzazione del sistema sanitario, passando per una Pubblica Amministrazione finalmente moderna e alleata dei cittadini e del sistema produttivo. Il Pnrr pone cinque obiettivi ambiziosi ma fondamentali da raggiungere entro il 2026: diffondere l’identità digitale, assicurando che venga usata da almeno il 70% della popolazione; colmare il gap di competenze digitali, con almeno il 70% della popolazione che sia “digitalmente abile”; portare circa il 75% delle PA ad utilizzare servizi in cloud; erogare almeno l’80% dei servizi pubblici essenziali online (sono 26 i servizi codificati che i Comuni italiani possono mettere a disposizione dei cittadini, come ottenere informazioni, scaricare documenti, trasmettere moduli compilati) e raggiungere il 100% delle famiglie e delle imprese con reti a banda ultra-larga.
È evidente che la transizione digitale rappresenta una delle priorità più rilevanti e a essa sono riservate oltre il 20% delle risorse disponibili, per un ammontare di circa 50 miliardi di euro. In particolare, la completa digitalizzazione della PA, attraverso il miglioramento dell’esperienza dei cittadini e della qualità dei servizi offerti, è individuata come la premessa di ogni ulteriore intervento. È inevitabile che le statistiche territoriali mostrino ampi e ancora preoccupanti squilibri. In altre parole, non bisogna farsi prendere dai facili entusiasmi perché la strada da percorrere resta lunga e impervia.
L’Indice di Maturità Digitale, disponibile sul sito web entidigitali.it, racconta infatti una storia articolata e complessa, che alterna punte di eccellenza a situazioni di ritardo cronico. Nell’isola, la classifica dei comuni italiani per maturità digitale vede Palermo e Catania rispettivamente al 37° e al 79° posto mentre le altre città dell’isola si collocano in una parte ben più bassa con Messina al 141°, Trapani al 210°, Ragusa e Caltanissetta al 279°, Siracusa al 315°, Agrigento al 595° e maglia nera per Enna, che si attesta al 1178° posto della classifica nazionale.