La mafia “appostata” e la società silente - QdS

La mafia “appostata” e la società silente

La mafia “appostata” e la società silente

Roberto Greco  |
venerdì 15 Marzo 2024

La Commissione Antimafia dell’Ars ha presentato il rapporto che fotografa lo stato della criminalità organizzata in Sicilia. Il presidente Cracolici: “C’è un calo della tensione che si è tradotto in indifferenza. Si denunciano meno le estorsioni”

PALERMO – “La mafia c’è ma c’è anche lo Stato. C’è meno ‘società’ che, negli anni, è diventata più silente e meno attiva, con una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento d’indifferenza. Si denunciano meno le estorsioni rispetto agli anni scorsi e le associazioni antiracket sono meno incisive, limitandosi spesso all’assistenza legale della vittima di estorsione senza che ciò si traduca in un’attività di prevenzione e sensibilizzazione contro il racket” ha dichiarato il presidente della Commissione regionale Antimafia, Antonello Cracolici, in apertura della conferenza che si è tenuta ieri nella Sala Stampa di Palazzo dei Normanni anticipando i contenuti del report in presentazione. Presenti i vice presidenti Bernadette Grasso e Ismaele La Vardera, il segretario Roberta Schillaci e i commissari Marco Intravaia e Jose Marano. “In questo primo anno di attività – ha dichiarato Cracolici – l’obiettivo primario è stato quello di capire. Capire quale fosse la realtà mafiosa presente sul territorio ma anche quale fosse lo stato dell’antimafia, soprattutto da parte della società civile”.

Una mafia capace di infiltrarsi nell’economia legale

Dal report emerge che siamo in presenza di una mafia che, seppur priva, ormai da molti anni, di un’organizzazione verticistica, è costantemente tesa nel tentativo di ricostituire i suoi organi di vertice e capace di infiltrarsi sempre più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere, complice un calo generale della tensione antimafia nell’opinione pubblica e una scarsa incidenza delle associazioni antiracket che ha permesso negli ultimi anni nuove forme di raccolta del pizzo.

Costanti i reiterati tentativi di Cosa nostra di riorganizzarsi

Anche se, da un lato, gli sforzi costanti e le operazioni ripetute nel tempo da parte delle forze di polizia hanno portato alla cattura dei vertici centrali e locali dell’organizzazione mafiosa e alla disarticolazione della commissione centrale e delle commissioni provinciali, sono costanti i reiterati tentativi di Cosa Nostra di riorganizzarsi, in particolare tramite il pronto reinserimento e la promozione degli affiliati che, dopo aver scontato la propria pena, ritornano ad essere operativi sul territorio. È questo uno dei tratti salienti emersi dalla prima mappatura eseguita della commissione regionale Antimafia in Sicilia che ha ricostruito lo stato attuale di Cosa Nostra e che in questi mesi ha introdotto un elemento di novità nelle sue audizioni nelle province della regione, offrendo un momento di ascolto e interlocuzione anche con 302 amministratori locali dei 391 comuni dell’Isola.

Da questa intensa attività sono emersi alcuni dati preoccupanti come lo “sfilacciamento del tessuto sociale” che “sull’onda emotiva successiva alle stragi di mafia, si era schierato contro lo strapotere delle mafie” e il fatto che “alla recrudescenza del fenomeno estorsivo, sia connessa una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, sia in termini di denunce che in termini di reazione, con numerosi casi in cui, al contrario, è l’imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta ‘messa a posto’”.

Il racket si è trasformato

Il racket si è trasformato nel pagamento generalizzato di piccole somme che, a fronte di minori entrate, hanno garantito una certa remissività da parte degli operatori economici tradottasi in una collaborazione quasi spontanea degli estorti che, ovviamente, sono ben lontani dal pensare di denunciare. A questo si aggiunge che nuove forme di raccolta del pizzo oggi avvengono attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti, trasformando così un atto criminoso in un’operazione legale. Si tratta di una mafia che ha oramai adottato una sorta di maschera che le permette di non apparire come tale, di presentarsi con un volto pulito, anzi ripulito, e che si giova di uno stabile modello di ‘pax mafiosa’ che le permette di avere un basso livello di conflittualità interna.

Dalla mappatura effettuata dalla commissione, che ha ricostruito i tratti salienti e il modus operandi di Cosa Nostra in Sicilia, risulta un’organizzazione che presenta elementi di omogeneità, ma anche profonde differenze nella sua articolazione nelle nove province dell’Isola, specie per quanto riguarda i suoi ambiti di interesse e i rapporti con altre organizzazioni criminali. È quanto accade, ad esempio, in quei territori dove convivono Cosa Nostra e Stidda, come dimostrato dalla recentissima operazione di contrasto che le forze dell’ordine hanno messo a segno a Caltanissetta, l’operazione Ianus, e che ha portato all’arresto di 55 sodali dell’organizzazione, o dall’operazione “Villagio Santa Rosalia”, condotta dall’Arma dei Carabinieri nel mese di giugno scorso, operazioni che hanno dimostrato come proprio per competere con organizzazioni criminali straniere la mafie autoctone dimenticano i vecchi dissapori, uniscono le proprie forze e si presentano compatte sul territorio per controllarlo.

In chiusura della conferenza stampa Roberta Schillaci ha dichiarato che, a suo giudizio, “pur avendo il sentore della presenza dello Stato, spesso manca una reale attività di coordinamento del suo intervento. Pensiamo, ad esempio, alla scuola che, seppur presente, non ha attorno a sé gli strumenti e le strutture necessarie per l’erogazione dei servizi anche basilari e questo compromette l’impatto positivo dello Stato in quei quartieri in cui, invece, sarebbe necessario e prodromico per il cambiamento”.

“L’anello debole è la rassegnazione”

“Il grande anello debole dell’azione di contrasto al malaffare, purtroppo, sembra essere proprio la società civile, silente e rassegnata. Credo sia questo l’elemento più drammatico emerso oggi dalla Relazione della Commissione Antimafia Ars”, commenta Jose Marano del M5S, componente della Commissione Antimafia, a margine della conferenza stampa. “L’assenza di indignazione – prosegue – rappresenta un campanello d’allarme perché significa che mancano i presupposti per il cambiamento. Se non lo contrasti, il sistema corrotto continua a prosperare e persino l’azione politica e istituzionale a tutti i livelli risulta meno efficace se non c’è la convinta partecipazione dei cittadini”.

“L’altro elemento che non può passare inosservato è quello relativo al traffico di droga – aggiunge ancora la deputata – che in Sicilia assume dimensioni allarmanti nella misura in cui la domanda di consumo, come ha sottolineato il presidente Cracolici, aumenta in maniera trasversale e riguarda tutte le fasce d’età e tutte le fasce sociali. Un fatto che ci riporta ancora una volta a una società che, rispetto al passato, fa più fatica a ribellarsi. La politica e le istituzioni sono quindi chiamate a un compito di grande responsabilità: prendere i cittadini per mano e accompagnarli nell’unica direzione possibile che è quella della legalità”.

Droga unica fonte di reddito per interi quartieri disagiati

Altro allarme preoccupante che emerge dal lavoro della Commissione è quello relativo al traffico degli stupefacenti, con ingenti risorse immesse anche nel sistema legale. Oggi le varie droghe, disponibili a prezzi di accesso sempre più bassi, si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta la regione. Fenomeni sconosciuti fino a qualche anno fa, come il crack, per il loro basso costo hanno conquistato nuove fette di mercato, soprattutto tra i giovanissimi di classi sociali trasversali. Proprio nel caso dello spaccio del crack emerge un dato che fa comprendere come il controllo del territorio e il c.d. welfare mafioso tenga conto della necessità di sopravvivenza della fasce più fragili.

Si è riscontrato che, mentre l’organizzazione mafiosa controlla l’approvvigionamento delle grandi quantità, il mercato della trasformazione degli stupefacenti è affidato il più delle volte a gruppi familiari che, pur non essendo parte delle stesse organizzazioni mafiose, gestiscono la distribuzione al dettaglio. Un dato che ci riporta agli anni ’60 e ’70, nel periodo della vendita delle sigarette di contrabbando prima e dell’eroina poi, in cui i “subappalti” permettevano una significativa ridistribuzione del reddito e quindi un forte legame tra la criminalità e intere famiglie che, seppur non organiche, costituivano l’ampia rete criminale sul territorio e che esprimevano nei confronti dell’organizzazione una sorta di gratitudine. Questo dimostra che oggi lo spaccio è spesso l’unica vera fonte di reddito per interi quartieri segnati dal degrado e proprio per questo sono numerosi gli episodi di violenza e criminalità che si registrano, sia per la ripartizione delle piazze di spaccio sia per i reati commessi da chi consuma droga, con conseguente aumento di fenomeni come quello delle “baby gang” oltre a preoccupanti episodi di prostituzione anche minorile finalizzati al poter avere denaro per l’acquisto del crack.

Dall’analisi del territorio risulta evidente che, sul fronte della prevenzione, per contrastare la dispersione scolastica e la criminalità minorile, sia necessario intraprendere azioni forti e risolutive e, proprio per questo, la commissione Antimafia si è mossa su più fronti per sradicare Cosa Nostra da quei contesti in cui è endemica, attivando prima un protocollo con le autorità ecclesiastiche attraverso la Cesi, per essere maggiormente presente sul territorio, e poi collaborando al programma “Liberi di scegliere” elaborato dal magistrato Di Bella e che ha permesso alla Dda di Catania di aiutare alcune donne ad allontanarsi, insieme ai propri figli minori, da un contesto familiare mafioso.

Il vice presidente La Vardera ha ribadito che “è stato fatto, sia dalla Commissione Antimafia sia dal Gruppo Interparlamentare che abbiamo strutturato, un grande lavoro per monitorare il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti, con particolare riferimento alla diffusione del crack che oggi è una piaga di tutto l’Isola. Continueremo a vigilare affinché il Ddl che abbiamo presentato possa essere approvato al fine di dotare la nostra società degli strumenti adatti alla prevenzione e al supporto di quanti oggi sono vittime”.

Il difficile percorso per il riuso dei beni sottratti alla criminalità

La Sicilia è la regione con il più alto numero di beni sottratti alle mafie e il tema della loro gestione ha creato criticità che hanno costretto molti Comuni dell’Isola a fronteggiare diverse emergenze come il mancato sgombero di immobili confiscati o la loro occupazione abusiva attraverso l’intimidazione, le condizioni fatiscenti dei beni assegnati, o la scelta di amministratori giudiziari non competenti nel determinato ramo merceologico dell’azienda sequestrata che hanno portato a criticità tali da far emergere l’opportunità per i comuni di costituirsi in consorzi per la gestione degli stessi beni.
Questa, per la commissione parlamentare Antimafia, è “un’ipotesi che permetterebbe anche di allentare eventuali pressioni ambientali del singolo amministratore locale, specie nelle piccole realtà che spesso si prestano a essere facile bersaglio del condizionamento e della pressione mafiosa” che cerca di rivendicare il bene che gli è stato sottratto.

“Nello specifico, per quanto riguarda le imprese confiscate – si legge nella relazione dell’Antimafia a conclusione delle audizioni nelle nove province dell’isola – le audizioni restituiscono uno spaccato drammatico di estrema difficoltà del sistema a rialzarsi e rientrare nel circuito legale tanto che oltre il 90% delle aziende confiscate viene messo in liquidazione. La commissione ritiene che la Regione possa e debba dare un concreto supporto garantendo anche, attraverso l’Irfis, un accesso al credito agevolato che dia una prospettiva di riscatto sociale ai lavoratori impiegati che credono in un’economia sana”.

La Commissione ha anche raccolto l’allarme sociale lanciato dai Sindaci siciliani. Il fenomeno dello spaccio di sostanze stupefacenti, spesso crack, è diffusissimo su tutto il territorio regionale ma a questo si aggiunge il fatto che, soprattutto in alcune province, come nell’Agrigentino e nel Siracusano ma praticamente in tutta la Sicilia vi sia una diffusa circolazione di armi, utilizzate come status symbol da ampie fasce della popolazione, cosa che ha favorito il compimento di omicidi, anche plurimi.

Un altro tema spesso denunciato dai primi cittadini è quello legato alla sicurezza urbana e alla tutela dell’ordine pubblico, messo a dura prova dalla carenza cronica di personale qualificato e di agenti municipali e dall’assenza di sistemi di videosorveglianza che richiedono costi di installazione e manutenzione fuori dalla portata delle casse di molti dei comuni siciliani.

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