La Corte e il diritto alla reputazione - QdS

La Corte e il diritto alla reputazione

La Corte e il diritto alla reputazione

Giovanni Cattarino  |
martedì 23 Aprile 2024

Il diritto alla reputazione nel processo penale: un magistrato accusato di corruzione e la questione della prescrizione

A seguito della denuncia di un imprenditore, un magistrato era stato indagato dalla Procura con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. Il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione della “notitia criminis” per intervenuta prescrizione al Gip il quale l’aveva disposta, senza darne peraltro notizia all’interessato. A norma dell’articolo 411-bis, secondo comma, del Codice di procedura penale infatti, soltanto l’avviso della richiesta di archiviazione per “tenuità del fatto” va comunicato all’indagato, oltre che alla persona offesa.

Il magistrato, venuto successivamente a conoscenza dell’archiviazione, aveva proposto reclamo invocando il suo diritto a rinunciare alla prescrizione per essere processato, fiducioso nell’assoluzione. Il Tribunale adito, rilevato che l’indagato avrebbe potuto esercitare tale diritto solo se l’art. 411-bis succitato avesse contemplato l’obbligo per il pubblico ministero di comunicare all’indagato la richiesta di archiviazione per intervenuta prescrizione, dandogli così la possibilità di opporvisi, aveva quindi chiesto alla Corte costituzionale di aggiungere all’art. 411-bis c.p.p. questo caso di avviso all’indagato.

A detta del Tribunale rimettente il diritto anche di chi è soltanto indagato di rinunciare alla prescrizione e di pretendere il processo deriverebbe dall’art. 3 Costituzione, in quanto tale diritto è stato da tempo riconosciuto all’imputato; dall’art. 24, secondo comma Costituzione che ricomprende nel diritto di difesa il diritto di ottenere una pronuncia sul merito delle accuse e dall’articolo 111, secondo e terzo comma Cost, che richiede il contraddittorio tra l’accusa e l’indagato.

Esiste davvero un diritto al processo?

La Corte (sentenza n. 275 del 1990) lo ha riconosciuto all’imputato che può rinunciare alla prescrizione al fine di ottenere un giudizio di merito sui fatti dei quali è accusato. Lo stesso imputato può rinunciare all’amnistia e pretendere il giudizio (sentenza n. 175 del 1971). Entrambe le decisioni riguardavano pertanto processi già instaurati.

Nella sentenza n. 41 del 2024, la Corte costituzionale afferma che tale diritto non si estende alla fase delle indagini preliminari, prodromica all’esercizio dell’azione penale. Tanto l’iscrizione nel registro delle “notizie di reato” che il provvedimento di archiviazione sono, dice la Corte, “atti neutri”, dai quali non possono farsi discendere effetti lesivi della reputazione dell’interessato. È pur vero che un danno reputazionale potrebbe conseguire anche alla sola divulgazione dell’iscrizione nel registro degli indagati. Tuttavia i rimedi vanno ricercati tra i mezzi ordinari: querele per diffamazione e tutela aquiliana se l’indagato viene rappresentato come colpevole; la costituzione non impone che gli sia garantito un giudizio già in questa fase. Il processo è risorsa scarsa e costosa ed è ragionevole che spetti al pubblico ministero e al GIP valutare se sussistono elementi idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Pertanto non vi è un diritto dell’indagato a rinunciare alla prescrizione e quindi non vi è un obbligo costituzionale di informarlo dell’archiviazione per prescrizione.

Purché, tuttavia, richiesta e successivo provvedimento di archiviazione conservino quel carattere “neutro” e non contengano, oltre al prescritto accertamento dell’intervenuta prescrizione, diffuse valutazioni sull’esistenza del fatto-reato e sulla colpevolezza dell’indagato: quelle sì lederebbero il suo diritto a non essere raffigurato colpevole senza una sentenza di condanna. In tal caso, senza pretendere che egli rinunci alla prescrizione per ottenere un giudizio che lo scagioni, vanno rinvenuti nell’ordinamento dei rimedi che permettano di ripristinare il contenuto proprio del provvedimento di archiviazione: la mera presa d’atto che il tempo trascorso ha reso inutile il proseguimento delle indagini.

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