Lo rivela il rapporto Education at Glance 2024 stilato dall’Ocse
ROMA – Il paradosso delle donne in Italia, uno dei tanti: abbiamo i risultati migliori a scuola ma riceviamo i peggiori salari al lavoro. Lo ha rivelato il rapporto Education at Glance 2024 stilato dall’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico pubblicata nei giorni scorsi.
Ragazze e donne ottengono migliori risultati scolastici degli uomini ma hanno maggiore difficoltà nel mondo del lavoro, oltre a una retribuzione sensibilmente più bassa. Secondo il report infatti, si starebbe addirittura ampliando il divario fra i voti delle donne tra i 25 e i 34 anni e quelli dei loro coetanei, tanto che il 54% delle giovani donne sono più propense a conseguire una laurea rispetto ai colleghi.
In tutti i paesi membri dell’Ocse, le donne di età compresa tra i 25 e i 34 anni hanno la stessa o maggiore probabilità rispetto ai loro coetanei maschi di ottenere una laurea (54% a 41%). Tuttavia, quando si entra nel mondo del lavoro, il dato si capovolge: nella stessa fascia di età le donne hanno meno probabilità di trovare un impiego rispetto ai maschi.
In Italia è occupato solo il 36% delle giovani donne senza diploma
Un divario che, secondo il report, è generalmente più ampio per coloro che hanno un livello di istruzione inferiore a quello secondario superiore e più ristretto per coloro che hanno conseguito una laurea. In Italia è occupato solo il 36% delle giovani donne che non ha un diploma di maturità, mentre per i maschi si arriva al 72%, in linea con gli altri Paesi.
Situazione diversa per coloro che hanno ottenuto una laurea
La situazione è diversa per coloro che hanno ottenuto una laurea: sebbene in media negli altri Paesi siano occupati l’84% delle donne e il 90% degli uomini, in Italia il 73% delle laureate e il 75% dei laureati hanno un lavoro. Tuttavia, il conseguimento della laurea non aiuta a ridurre il divario salariale tra uomini e donne.
Le donne laureate guadagnano in media il 58% del salario maschile
Nel nostro Paese le giovani laureate guadagnano in media il 58% del salario dei loro coetanei maschi. E il nostro è il gender pay gap più ampio rispetto ai Paesi Ocse, il cui delta medio è dell’83%. Al contrario, le donne non laureate guadagnano l’85% degli uomini a parità di titolo di studio, un punto percentuale in più rispetto agli altri membri dell’organizzazione.
“I dati sul gender pay gap – ha commentato Antonella Giachetti, presidente di Aidda – Associazione donne imprenditrici – mostrano ancora una volta un disequilibrio di sistema della nostra società: il divario in Italia è troppo ampio, peggior dato dell’area Ocse, servono misure per contrastare questa situazione strutturale la cui causa principale si annida proprio nella necessità di molte donne di dividersi tra lavoro e famiglia. La parità deve partire da qui, servono misure che aiutino le giovani madri e non le costringano a dover scegliere tra lavoro e famiglia”.
Gender pay gap, un problema strutturale del nostro Paese
“La fotografia dell’Ocse – ha continuato la presidente di Aidda – preoccupa e conferma un problema strutturale del nostro Paese e il tema riguarda sia la diversità di stipendi che l’occupazione. Sono necessarie misure che garantiscano alle donne il diritto di decidere il proprio destino professionale, bisogna tutelare le donne, che si fanno maggior carico del supporto alla famiglia in termini di cura, non solo dei figli, ma anche dei genitori e dei nonni. Come Aidda – ha detto Giachetti – da tempo abbiamo lanciato la proposta di defiscalizzare le spese legate alla maternità e in genere alla cura della famiglia sostenute dalle donne, con la consapevolezza che servirebbero urgentemente altre misure strutturali: nuovi asili nido, potenti interventi sulle infrastrutture sociali in genere e l’ampliamento dei servizi di prossimità. Intanto però la politica potrebbe rendere immediatamente deducibili dal reddito i costi sostenuti per babysitter e badanti e collaboratrici domestiche sostenute da donne che hanno un lavoro. La parità deve partire da qui”.
Focus sulla Sicilia
Se facciamo un focus sulla Sicilia la situazione non va, di certo, a migliorare. Il tasso di disoccupazione femminile, secondo dati recenti della Cgil Sicilia, è il 18,3%, cioè il triplo rispetto a quello europeo (6,4%) e il doppio rispetto a quello nazionale (8,9%). E non va meglio per i giovani: in Sicilia il tasso di disoccupazione giovanile è al 31,2% contro la media italiana del 16,7% e quella europea dell’11,2%.
“Il lavoro che c’è – hanno osservato Gabriella Messina, segretaria confederale Cgil Sicilia e Elvira Morana, responsabile politiche di genere – è spesso occupazione precaria e povera, costituendo un limite all’emancipazione delle donne e per i giovani rimarcando l’assenza di prospettive. Lo dimostra il ricorso ai contratti a termine (tema su cui si incentra peraltro uno dei quesiti del referendum promosso dalla Cgil che punta a reintrodurre la causale) superiore rispetto alle medie nazionali: il 58,5% dei contratti delle donne siciliane è a termine contro la media italiana del 42,9%. Stessa tendenza per i giovani tra 15 e 29 anni: in Sicilia il 55,5%, in Italia 41,4%”.
“Ne conseguono – è l’analisi della Cgil – salari inferiori alla media europea e italiana con un gender gap che passa direttamente dai salari alle pensioni”.
Le donne infatti sono soggette a part time, spesso involontario, discontinuo, con retribuzioni annue che superano di poco i cinquemila euro. Di fatto il salario medio delle donne siciliane, sempre dai dati della Cgil Sicilia, per ora lavorata è di 10,55 euro, contro gli 11,23 della media italiana e i 12,26 di quella europea.
“La vulnerabilità economica – hanno sottolineato Messina e Morana – espone le donne a ricatti, molestie, discriminazioni. Per quanto riguarda l’azione politica regionale, è necessario che siano promosse azioni mirate nell’ambito delle strategie europee e col dialogo sociale per valorizzare la partecipazione delle donne e delle giovani generazioni al mercato del lavoro, nella società. Necessaria anche l’adozione di un’agenda di genere”.