Se al palermitano togli il fritto è come togliergli il sorriso
Il palermitano vive per il fritto. Noi nati in questa Conca d’oro, che richiama cose salutari, come le vitamine delle arance, dei limoni, dei mandarini, adoriamo altro. È come se la potente chimica del nostro stomaco ci invocasse, blandisse, seducesse, come le sirene di Ulisse, pregandoci di attivare i succhi gastrici in flutti che diventano tempeste esofagee, tra krapfen e calzoncini, panzerotti e crocchette al latte, rizzuole e crostini.
Ma se vuoi mangiare il giusto fritto, la eccellente proporzione, la frittura perfetta, il sapore indistinguibile c’è un tempio che ogni palermitano, ben nato o disgraziato, conosce. È dentro un cortile nascosto nella strusciante via Ruggero Settimo. I Cuochini sono un’istituzione a cavallo di due secoli, fermarsi 5 minuti per un panzerotto con pomodoro e acciughe, o con le zucchinette, è un must impossibile da negarsi. Ma la dieta? La gastrite? Ma chissenefrega! Non puoi resistere a quei piccoli piaceri dell’intestino crasso, e tenue un sentimento di avvolge. Sono traditori i piccoli pezzi dei Cuochini, ammansiti con un sorriso da madre e figlia, han preso il posto dei fratelli Allegra, bravissimi ma che erano tutto tranne che allegri. Loro, le due fatine, che ti dicono: ne vuole un altro? E tu come davanti a Circe non resisti. Sono come le ciliegie i piccoli fritti di quel posto, uno tira l’altro, non ti riesci a fermare, ti eri promesso entrando, uno soltanto mi raccomando, ma niente.
Se al palermitano togli il fritto è come togliergli il sorriso. Quello che ti viene appena varchi il portone del cielo fritto dei Cuochini.