Comunicazione e informazione fondamentali per riuscire finalmente a battere l’Epatite C - QdS

Comunicazione e informazione fondamentali per riuscire finalmente a battere l’Epatite C

Comunicazione e informazione fondamentali per riuscire finalmente a battere l’Epatite C

mercoledì 13 Novembre 2019

Sono numerose le iniziative avviate dalle associazioni per sensibilizzare la comunità sulla diffusione dei test Hcv

in collaborazione con ITALPRESS

MILANO – L’epatite C si può sconfiggere e la prima mossa è fare il test per l’Hcv, il virus che la causa. Un tema delicato quanto importante, e meno di un minuto per raccontarlo: questa la sfida lanciata alla più grande community di video-maker al mondo, Userfarm, che l’ha raccolta. Sono tre i video vincitori del contest “Giovani video-maker per una nuova visione: storie per vincere l’epatite C. Insieme l’eliminazione è possibile”, premiati a Milano, durante un incontro moderato da La Pina di Radio Deejay.

Il concorso, che ha visto la partecipazione di oltre venti videomaker da cinque Paesi del mondo (Russia, Olanda, Italia, Gran Bretagna e Francia) è promosso da Gilead in collaborazione con la Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit), l’Associazione italiana studio del fegato (Aisf), la Fondazione The Bridge e la Federazione LiverPool. I tre video vincitori sono: “Breaking not so Bad” di Valerio Fea, “Il Primo passo” di Timothy Emanuele Costa e “ll coach” di Mirko Bonanno. A decretarne la vittoria una Giuria composta dagli enti promotori della Campagna “Insieme si vinCe” e da La Pina.

I giovani videomaker hanno esplorato le strade dello storytelling e della metafora con risultati spesso sorprendenti ed emozionanti con il fine comune di sensibilizzare tutta la popolazione sull’importanza di eradicare l’infezione. Un vero e proprio “invito ad agire” perché soltanto unendo le forze si potranno rispettare gli obiettivi fissati per il 2030 dall’Organizzazione mondiale della Sanità: la riduzione dell’90% di nuovi contagi e del 65% delle morti legate all’epatite C.

Per raggiungere questo traguardo è fondamentale coinvolgere le persone che hanno contratto l’infezione, ma che non ne sono ancora consapevoli. Per questo l’appello a fare il test per il virus dell’epatite C è rivolto a tutti, e non solo alle popolazioni considerate a maggior rischio (per esempio chi fa uso di droghe per via iniettiva, la principale via di infezione dell’Hcv in Italia). “Secondo le stime – ha affermato Massimo Andreoni, direttore scientifico della Società italiana malattie infettive e tropicali – parliamo di circa 200 mila persone con Hcv nel nostro Paese ancora da trattare, a cui vanno sommati almeno altri 70 mila che probabilmente non sanno ancora di aver contratto il virus. C’è un sommerso enorme e nonostante questo non sono state prese fino a oggi iniziative significative per farlo emergere”.

“Ci troviamo così – ha aggiunto – in una situazione paradossale: quella di avere una terapia che funziona e di non fare nulla affinché le persone che ne possono beneficiare siano messe nella condizione di saperlo. Le persone più a rischio sono gli over 65, perché hanno maggiori probabilità di aver contratto l’infezione, per esempio coloro che si sono sottoposti in passato a interventi chirurgici, trasfusioni o trapianti, oppure chi ha fatto uso di droghe per via endovenosa e anche chi ha tatuaggi e piercing eseguiti in condizioni non sicure”.

L’epatite C, che si trasmette attraverso il sangue, è infatti una malattia subdola e può rimanere asintomatica per molti anni prima di manifestarsi. Dopo venti o trent’anni di infezione, però, il 20% dei pazienti sviluppa cirrosi epatica e fino al 5% tumori. I farmaci antivirali ad azione diretta di seconda generazione (Daas) – nello specifico gli inibitori delle polimerasi e gli inibitori delle proteasi virali, disponibili in Italia dal 2014 – hanno rivoluzionato la storia di questa malattia, rendendo possibile eliminare l’infezione in pochi mesi nella quasi totalità dei casi (oltre il 95%).

“In Italia – ha sottolineato Salvatore Petta, segretario dell’Associazione italiana studio del fegato – sono già state curate circa 196 mila persone con questi farmaci, che significa aver ridotto drasticamente la circolazione del virus. Da ottobre, inoltre, è possibile raggiungere anche quelle persone che per motivi socio-assistenziali non possono sottoporsi alla biopsia epatica e/o al fibroscan, esami fino ad ora richiesti per accedere al trattamento. Mi riferisco, per esempio, ai detenuti nelle carceri o a chi si rivolge ai SerD, i servizi pubblici per le dipendenze patologiche del Sistema sanitario nazionale. L’importante novità è resa possibile dall’introduzione nei Registri Aifa dei farmaci Daas del ‘criterio 12’, una conquista fortemente voluta da Aisf”.

“Molto, però, ancora resta da fare – ha evidenziato ancora Petta – e le iniziative come ‘Insieme si vinCe’ sono sicuramente importanti, perché contribuiscono ad aumentare la consapevolezza sull’Hcv. Questo aiuta anche a combattere lo stigma che ancora aleggia intorno a questa infezione. Troppe persone ancora non sanno che esistono farmaci efficaci, quasi sempre senza effetti collaterali, e che possono essere somministrati anche in chi ha la malattia avanzata”.

Quello della mancanza di informazioni – ha detto Giampiero Maccioni, presidente della Federazione nazionale LiverPool, che riunisce 14 associazioni sul territorio – è oggi uno degli ostacoli principali all’eradicazione dell’Hcv. Organizziamo da tempo anche giornate di sensibilizzazione in cui, all’interno di stand nelle piazze italiane o negli ospedali, team di specialisti eseguono gratuitamente i test e fanno counseling. Sono moltissime le persone, soprattutto giovani, che scoprono in questo modo di essere positive all’infezione e che oggi l’Epatite C si può curare con la terapia farmacologica”.

“Grazie alla disponibilità di test diagnostici altamente sensibili e terapie antivirali di estrema efficacia – ha spiegato Rosaria Iardino, presidente della Fondazione The Bridge – oggi abbiamo gli strumenti per rendere possibile l’eliminazione dell’Hcv, ma il raggiungimento di questo obiettivo richiede passaggi indispensabili, quali la precisa conoscenza dell’attuale epidemiologia dell’infezione, in particolare nei gruppi a maggior circolazione virale”.

“Possiamo contribuire alla lotta contro questa infezione – ha concluso Cristina Le Grazie, direttore medico Gilead sciences – in un’ottica innovativa e originale propria di un’azienda come la nostra, da sempre impegnata nella ricerca e nello sviluppo di soluzioni terapeutiche innovative in grado di cambiare i paradigmi di trattamento”.

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