Dlgs n. 219/2023: “In relazione a ciascun tributo, l’azione si esercita una sola volta per ogni periodo d’imposta”. Eccezioni al principio “ne bis in idem” in caso di elementi nuovi rispetto a quelli già rilevati dall’Ufficio
ROMA – Con la modifica apportata dal Decreto Legislativo n. 219 del 30 dicembre 2023, in vigore a decorrere dal 18 gennaio 2024, nello Statuto dei Diritti del Contribuente è stato introdotto l’articolo 9 bis (Divieto di “bis in idem” nel procedimento tributario) con il quale si afferma che “Salvo che specifiche disposizioni prevedano diversamente e ferma l’emendabilità di vizi formali e procedurali, il contribuente ha diritto a che l’Amministrazione finanziaria eserciti l’azione accertativa relativamente a ciascun tributo una sola volta per ogni periodo d’imposta”.
In pratica, il legislatore delegato ha voluto precisare che il contribuente ha diritto di avere notificato l’accertamento tributario non più di una volta per lo stesso anno d’imposta.
Eppure, non sempre è così.
È lo stesso citato nuovo articolo 9 bis dello Statuto che prevede le eccezioni al suddetto principio. Purtroppo, però, le eccezioni sono troppe e mai ben chiare, per cui non sempre il contribuente avrà la possibilità di controbattere adeguatamente il fisco quando si vedrà notificati due accertamenti, magari denominati “inviti” o “accertamenti parziali”, ma che comunque coinvolgono, qualche volta, l’intera attività del contribuente.
Per non parlare dell’emissione, da parte dell’ufficio, di accertamenti “integrativi”, in presenza di nuovi, o presunti tali, elementi di cui l’ufficio ha conoscenza. Talvolta, infatti, nel fare oggetto di accertamento fatti veramente nuovi, vengono, magari involontariamente, rivisti e rivisitati comportamenti del contribuente, comportamenti i quali, con il precedente accertamento, non avevano fatto scattare alcun rilievo.
Sulla questione c’è giurisprudenza, anche della Corte di Cassazione (cfr. Ordinanza 12854 del 2022) dalla quale si ricava, tra l’altro, che l’accertamento parziale di cui all’artt. 41-bis del Dpr n. 600 del 1973 non costituisce un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli artt. 38 e 39 del Dpr n. 600 del 1973 e 54 e 55 del Dpr n. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole.
Ed ancora, con riguardo all’accertamento “integrativo”, viene affermato che quest’ultimo differisce sia da quello ordinario che da quello parziale, in ragione della disponibilità, in capo all’Amministrazione, di elementi (non necessariamente provenienti da segnalazione di soggetti ad essa estranei, ben potendo derivare anche da fonti interne) precedentemente non nella disponibilità dello stesso Ufficio.
Comunque, sempre secondo la giurisprudenza, gli stessi “nuovi” elementi, quelli idonei a legittimare l’accertamento “integrativo”, potrebbero pure essere ritenuti già noti all’ufficio fiscale (e quindi tali da impedire una reiterazione dell’accertamento), seppure non ancora in suo possesso, sol perché già conoscibili dallo stesso ufficio in quanto di provenienza da parte di un altro ufficio obbligato al regime di collaborazione istituzionale.
Certamente, in ogni caso, l’accertamento integrativo, eventualmente susseguente a quello parziale, non può basarsi su atti o fatti acquisiti e già conosciuti dall’ente impositore fin dall’origine, ma non contestati, in quanto ciò pregiudicherebbe il diritto del contribuente ad una difesa unitaria e complessiva, a cui presidio si pone il predetto principio generale dell’unicità dell’accertamento, ma deve necessariamente fondarsi su nuovi elementi atti.
Insomma, come al solito la certezza del diritto continua a mancare.
Può essere utile ricordare, con l’occasione, che in materia di nuova “autotutela” i nuovi articoli 10 quater e 10 quinquies dello Statuto dei Diritti del Contribuente prevedono, nel primo caso, l’obbligatorietà dell’autotutela medesima, nel secondo caso la facoltà. Ma nel primo caso di rinvengono condizioni (essenzialmente recepiti dal D.M. 37/97, oggi abrogato), sulle quali ci sarà certamente da discutere, perché se gli stessi elementi dovessero essere considerati rientranti nella fattispecie di “autotutela facoltativa”, lascerebbero ancora una volta il contribuente nella discrezionalità che fino a poco tempo fa caratterizzava l’istituto dell’autotutela.
E non solo, perché se l’errore per il quale si chiede l’autotutela dovesse essere, anche erroneamente, considerato dall’ufficio “facoltativo”, il contribuente verrebbe anche privato della possibilità di ricorrere, a meno che non sia stato emanato un apposito provvedimento espresso di diniego.
Come si sa, infatti, grazie all’articolo 1 del D. Legislativo n. 220 del 30 dicembre 2023 (modifiche del contenzioso tributario), all’articolo 19 del D.Leg.vo 546/92, sono stati aggiunte le lettere g bis) e g ter), includendo tra gli atti “ricorribili” anche il rigetto dell’istanza di autotutela. Solo che, nel caso della lettera g bis), riguardante l’autotutela obbligatoria, il ricorso è possibile sia contro il rifiuto espresso che contro quello tacito, nel caso della lettera g ter), il ricorso è ammesso solo nel caso di rifiuto espresso. Nel silenzio dell’ufficio, anche in situazioni che potrebbero integrare, attraverso una corretta interpretazione, il primo dei due casi di autotutela, il contribuente nulla può fare.