“Tesoro, mi si sono ristretti i poteri speciali” - QdS

“Tesoro, mi si sono ristretti i poteri speciali”

redazione

“Tesoro, mi si sono ristretti i poteri speciali”

Dario Immordino e Raffaella Pessina  |
giovedì 08 Dicembre 2022

Regioni verso l’autonomia, Sicilia controcorrente. Potestà legislativa appiattita su quella nazionale, la specialità non è stata utilizzata in chiave di sviluppo

La specialità siciliana è stata tradizionalmente ritenuta la più vantaggiosa tra le forme di autonomia riconosciute dall’ordinamento italiano, in considerazione dell’ampia potestà legislativa, del consistente numero di competenze amministrative, del potere impositivo che consente alle leggi regionali di apportare modifiche alla normativa fiscale nazionale (ad esempio disciplinando autonomamente le agevolazioni tributarie) e della disponibilità di consistenti risorse.

La possibilità di disciplinare con proprie leggi e di gestire con la propria amministrazione settori come l’industria e il commercio, l’agricoltura, l’urbanistica, i lavori pubblici, il turismo, la tutela del paesaggio, consente di rispondere alle esigenze delle popolazioni locali e valorizzare le potenzialità del territorio, mentre il potere di decidere i tributi che i propri cittadini devono pagare e di incassarne la maggior parte del gettito e reinvestirlo nel territorio regionale consente di adattare il prelievo fiscale alle esigenze e specificità locali e finanziare politiche di sviluppo, l’erogazione di servizi e prestazioni pubbliche essenziali.

Questa condizione di vantaggio, però, si è progressivamente ridotta, e potrebbe adesso annullarsi, se non addirittura capovolgersi, in virtù del cosiddetto regionalismo differenziato, che consente alle regioni ordinarie di ottenere maggiori competenze e risorse per gestire con proprie leggi e con la propria amministrazione settori fondamentali per lo sviluppo economico sociale territoriale.

Qualche giorno fa il ministro Calderoli ha presentato la bozza di Ddl sull’attuazione dell’autonomia differenziata, che consente il trasferimento di numerose e rilevanti funzioni (ambiente, istruzione, tutela della salute, rapporti internazionali e con l’Ue, sicurezza del lavoro, commercio con l’estero, protezione civile, governo del territorio, porti, aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, ordinamento della comunicazione, beni culturali, professioni, ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi) sulla base di un semplice accordo tra il Governo e ciascuna regione e di una “mera approvazione” da parte del Parlamento, che potrà solo approvare o meno l’accordo, senza modificarne i contenuti.

Per finanziare le nuove competenze verrà consentito alle regioni di trattenere una parte ulteriore del gettito tributario prodotto nei rispettivi territori, che attualmente viene utilizzata per finanziare le funzioni dello Stato e il sistema di solidarietà nazionale.

Questo processo di espansione dell’autonomia regionale comporta consistenti effetti sulla distribuzione delle risorse tra territori, sulla garanzia di adeguati livelli delle prestazioni essenziali su tutto il territorio nazionale e sul superamento degli squilibri socio economici ed infrastrutturali. Non a caso, in assenza di garanzie su questi fondamentali aspetti, molti presidenti di regioni del Sud hanno sollevato obiezioni.

Al di là del federalismo differenziato la crisi della specialità siciliana è stata evidenziata dalla evoluzione dell’autonomia delle altre altre regioni a statuto speciale, che negli ultimi anni hanno assunto a proprio carico funzioni precedentemente svolte dalle amministrazioni statali: servizi ferroviari di interesse locale, gestione di incentivi, agevolazioni e servizi alle imprese, sanità regionale, gestione degli ammortizzatori sociali, finanziamento di infrastrutture di competenza statale. Ed a fronte di ciò hanno ottenuto il riconoscimento di nuove entrate fiscali, notevoli riduzioni delle somme da versare a titolo di contributo al risanamento della finanza pubblica nazionale ed il diritto a percepire consistenti quote del gettito dei tributi erariali prodotto nei rispettivi territori.

In Sicilia, invece, negli ultimi anni si è registrata una tendenza al ridimensionamento dei poteri speciali di cui beneficia la Regione: la potestà legislativa si è notevolmente appiattita su quella nazionale; l’ordinamento finanziario autonomo previsto dallo statuto è diventato sempre più dipendente dal bilancio dello Stato, che ha progressivamente ridotto i trasferimenti e aumentato il prelievo di risorse regionali; le funzioni amministrative sono state gestite attraverso una struttura burocratica elefantiaca ed inefficiente che ha incrementato a dismisura i propri costi, e oggi impegna una quota consistente del bilancio regionale a fronte di un livello qualitativo e quantitativo di prestazioni e servizi non certo eccelso.

La traiettoria di sviluppo della specialità siciliana si è invertita: mentre in origine era lo Stato a cercare di limitare le competenze regionali, negli ultimi anni è stata la Regione a rifiutare non soltanto di acquisire nuove competenze amministrative, ma addirittura di esercitare alcune di quelle che lo Statuto le attribuisce, ed in particolare quelle più impegnative e costose, concernenti enti locali, sanità, istruzione ed università, che infatti continuano ad essere esercitate dallo Stato.
La difesa della specialità regionale si è incentrata sulla rivendicazione di risorse, tralasciando gli altri fondamentali profili dell’autonomia, che consentono di adattare la legislazione e l’attività amministrativa alle esigenze ed alle specificità regionali.

I recenti accordi con lo Stato hanno riconosciuto alla Sicilia maggiori risorse per far fronte alle difficoltà finanziarie degli ultimi anni e sostenere la gestione delle competenze attuali. Ma in una fase di difficile congiuntura economica, in cui le politiche statali ed europee faticano a soddisfare le esigenze dei territori più svantaggiati, diventa essenziale recuperare e sviluppare le competenze legislative ed amministrative che consentono alla Regione di strutturare efficaci politiche sociali e di sviluppo, e di incrementare la qualità e quantità di servizi e prestazioni pubbliche.

Il primo passo verso la corretta attuazione dello Statuto e il conseguimento dell’equilibrio finanziario consiste senz’altro nell’attribuzione delle funzioni assegnate alla Sicilia dallo Statuto ma non ancora trasferite, e delle risorse necessarie a garantirne l’esercizio.
La Corte costituzionale, infatti, ha rilevato che “in assenza di un procedimento di riequilibrio delle funzioni effettivamente esercitate” la Sicilia non ha diritto all’attribuzione di nuove risorse, nemmeno se espressamente previste dallo Statuto.

Se la Sicilia decidesse di difendere e sviluppare la propria autonomia seguendo l’esempio delle altre regioni, peraltro, lo Stato sarebbe tenuto ad attribuirle entrate di importo sufficiente a finanziare interamente il costo dei servizi e delle prestazioni attraverso quote di gettito tributario, cioè risorse “di proprietà “regionale, che la legge statale non potrebbe arbitrariamente ridurre. E la Regione avrebbe diritto ad ottenere trasferimenti (cosiddetti perequativi) che la Costituzione riconosce ai territori che dispongono di un gettito tributario più basso della media nazionale per garantire livelli essenziali di assistenza pari al resto del territorio nazionale.

In questo modo la Sicilia otterrebbe le competenze e le risorse necessarie per gestire con proprie leggi e con la propria amministrazione settori fondamentali per lo sviluppo economico sociale territoriale, per finanziare un livello di servizi almeno pari a quelli offerti sul resto del territorio nazionale e contrastare il deficit strutturale ed infrastrutturale ed il gap derivante dall’insularità, ed inoltre i tributi versati dai siciliani resterebbero nel territorio regionale per garantire diritti fondamentali dei cittadini, aumentando il livello dei servizi o riducendo la pressione fiscale.

Il deputato regionale della Lega, Vincenzo Figuccia, risponde al QdS

“Occasione per il Sud ma si riveda spesa storica”

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Vincenzo Figuccia

Onorevole Figuccia, cosa ne pensa della bozza Calderoli?
“Sull’autonomia differenziata credo bisogni partire anzitutto dai Livelli essenziali di prestazione prima ancora di parlare di competenze da togliere alla materia concorrente tra Stato e Regioni. Per evitare equivoci la bozza Calderoli va condivisa con le Regioni ed è per questo che plaudo all’approccio che il governo Schifani sta dando al tema affinché ogni fase dell’iter sia concordata rendendo la Sicilia protagonista nel dibattito. Per il resto, condividiamo l’impianto normativo con il quale si vuole dare piena applicazione alla riforma dell’articolo 116 della Costituzione, dopo l’intervento del 2001, definendo competenze su materie specifiche e risorse utili a sostenere i costi. Su Salute, Scuola, Beni culturali e Ambiente occorre che ci sia uniformità nel Paese. Credo che sia una vera sfida verso il rilancio e gli investimenti, allontanando l’etichetta di regione sussidiata da Roma. Per il resto, non abbiamo dogmi ma siamo attenti e vigili affinché la riforma sia la migliore possibile per la Sicilia e per i siciliani”.

La Lega Sicilia avanzerà proposte per modificarla?
“Come dicevo, l’autonomia potrebbe essere certamente un’occasione per il Meridione a patto che si riveda l’impostazione della spesa storica. C’è un brand Made in Sicily che va riconosciuto e che vede la Sicilia capofila italiano in tanti settori di eccellenza. Si tratta di avere coraggio e non solo ‘di numeri’’”.
Statuto speciale: non sarebbe il momento di ottenere dallo Stato la sua applicazione?
“Quello dello Statuto è diventato spesso un teorema usato per mera retorica. Altrettanto spesso, si è trattato di un’autonomia tradita per il palomatismo di una classe politica che nei decenni si è appiattita sull’idea di uno stato accentratore. Noi dal canto nostro, stiamo riproponendo la legge sul riconoscimento del principio di insularità dopo la modifica dell’articolo 119 della Costituzione per inserire anche in statuto il principio stesso. Sulla mancata applicazione di un principio abbondantemente acclarato, questo è certo, faremo battaglia”.

Vincenzo De Luca

Il presidente Vincenzo De Luca incontrerà Calderoli domani

“Accettata linea Campania, prima i Lep poi i poteri”

“Sull’autonomia praticamente è stata accettata la linea della Regione Campania, e cioè: prima si definiscono i Lep per tutta l’Italia e poi si definiscono i poteri. Da questo punto di vista Calderoli ha fatto una scelta importante perché ha accettato di fare prima i Lep entro 6 mesi”.
C’è soddisfazione nelle parole del presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, che proprio domani incontrerà il ministro per gli Affari regionali e le Autonomie Roberto Calderoli a Napoli, nella sede della Regione Campania di Palazzo Santa Lucia.

“Faremo di più – aggiunge De Luca – perché venerdì presenteremo a Calderoli anche un elenco di interventi che si possono fare immediatamente a Costituzione invariata: rapporti con le Soprintendenze, autonomia per i piani paesaggistici, autonomia della regione per quanto riguarda i pareri per opere pubbliche di interesse regionale, autonomia per i porti, autonomia per le autorizzazioni di impianti energetici alternativi. Insomma, la linea della burocrazia zero a cui stiamo lavorando da anni. Queste cose le possiamo fare da subito in 2 mesi. Poi, in 6 mesi faremo la revisione dei Lep per l’autonomia”.

Filiberto Zaratti, capogruppo in commissione Affari costituzionali di Alleanza Verdi-Sinistra, è intervenuto ieri durante il question time alla Camera: “Due legislature fa – ha detto – proprio Giorgia Meloni aveva presentato una proposta di modifica per correggere il regionalismo differenziato: ora che sta succedendo? Che scambio è in corso?”.

Zaratti, replicando al ministero per gli Affari regionali Raffaele Fitto, ha sottolineato che “il Governo sta procedendo alle spalle del Parlamento per definire un nuovo assetto dello Stato con venti piccole Repubbliche. Noi non ci stiamo, vogliamo che i Livelli essenziali delle Prestazioni, che devono essere uguali per tutti, siano definitivi qui, in parlamento, è questa l’unica sede possibile di questa discussione”.

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