Le banche devono diventare sempre più grandi senza anima, identità e cultura?
Il pensiero dominante e sottostante alla pseudoriforma delle popolari del 2015 non è esattamente lo stesso che ci ha portato diritti al disastro finanziario del 2008? 0, come molti membri del pensiero dominante hanno scritto, questo è stato solo un piccolo incidente di percorso che non cambia la direzione di fondo? Le banche devono diventare sempre più grandi, sempre più omogenee, sempre più burocratiche, sempre più rigide, sempre più patrimonializzate, sempre più anonime e staccate dal territorio e da simili sentimentalismi, senza anima, identità e cultura? L’unica cosa che conta per costoro è che siano ben patrimonializzate ma, soprattutto, contendibili, per la gioia dei raider mondiali.
Questo e solo questo, la contendibilità, è, alla fine, l’unico vero motivo del d.l. 37/2015 che ha imposto alle 10 maggiori banche popolari di trasformarsi in SPA abbandonando quella grande invenzione che è stato ed è il voto capitario per bilanciare strapotere del capitale e democrazia economica.
Tutti gli altri motivi addotti per sostenere il colpo di mano per l’abolizione delle principali banche popolari, (colpo di mano riuscito grazie ad un voto di fiducia che ha impedito ogni seria discussione pubblica o anche solo parlamentare, all’avventurismo del governo Renzi appoggiato dalla Banca d’Italia) sono manifestamente inconsistenti.
Non eravamo in pochi a sostenere questa posizione nel 2015. Basta rileggere l’analisi seria contenuta nell’appello sottoscritto allora da ben 156 economisti provenienti da un numero impressionante di Università di tutta Italia. Eppure, quest’analisi seria non è stata ritenuta neppure degna di discussione pubblica, se non altro per confutarla. Era dunque legittima la mia domanda (2016): “Ma che paese siamo diventati se procediamo a colpi di fiducia senza accettare un serio dibattito anche su argomenti di questa importanza sistemica e di questa complessità?” E come è possibile sostenere, senza vergognarsi che “La stella polare è la forza patrimoniale delle banche” (lectio magistralis del Direttore Generale della Banca d’Italia al Collegio Borromeo di Pavia, marzo 2015), come se questo fosse l’unico vero criterio?
La verità è che non esiste capitale sufficientemente alto per evitare gli effetti della “mala gestio”. Forse che il Monte dei Paschi di Siena (MPS), per fare un solo esempio, non aveva accumulato un patrimonio sufficientemente grande nei suoi 600 anni di storia senza distribuzione di dividenti, prima che questo patrimonio, una volta diventato SPA, venisse, in breve tempo, dilapidato da un dirigenza disastrosa, facilitata dalla forma di SPA, che ha operato indisturbata dagli organismi di vigilanza e secondo una strategia basata su quelle fusioni e acquisizioni così amate e raccomandate in alto luogo? Allora avevano torto i grandi banchieri come Mattioli o Dall’Amore, ed i fondatori di banche sane (come Tovini), quando dicevano che la solidità di una banca non è determinata dal patrimonio ma dall’onestà dei gestori e da corretti ed equilibrati rapporti tra le varie forme di attività e di passività?”.