Carceri, l’inferno è anche davanti le sbarre - QdS

Carceri, l’inferno è anche davanti le sbarre

redazione

Carceri, l’inferno è anche davanti le sbarre

Roberto Greco  |
martedì 16 Luglio 2024

Da inizio anno sei agenti di polizia penitenziaria si sono tolti la vita, 79 dal 2011 al 2023. Un sovrintendente che chiede di restare anonimo confessa al QdS: “Ogni giorno è come andare in un campo di battaglia”

La scorsa settimana è arrivato a 6 il numero dei suicidi tra gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria dall’inizio dell’anno a oggi, il ventesimo appartenente alle forze dell’ordine, mentre sono 56 i detenuti che, nello stesso periodo, si sono tolti la vita all’interno delle strutture carcerarie. Il corpo di polizia penitenziaria ha il tasso più alto di suicidi in Italia tra le forze dell’ordine: dal 2011 al 2023 si sono tolti la vita 79 agenti.

“È come andare in un campo di battaglia”

“Quando attacchiamo il turno è come andare in un campo di battaglia” racconta al QdS Giorgio, sovrintendente della Polizia penitenziaria che chiede di non pubblicare il suo cognome. Ha 58 anni e di istituti penitenziari ne ha visti molti in Sicilia. In ognuna delle Case circondariali in cui ha lavorato, Giorgio ha trovato un drammatico elemento comune perché “si sa quando comincia il turno, ma non quando finisce, perché ogni emergenza cambia le carte in tavola – racconta –. Ci troviamo spesso, nella stessa giornata a gestire un principio di rivolta, un’aggressione, un tentativo di suicidio o un atto di autolesionismo”.

“Ogni giorno – prosegue Giorgio – assistiamo alle disfunzioni e all’incapacità di affrontare i problemi che ci sono negli istituti. Il carcere, oggi, è un luogo di sofferenza in cui ai detenuti sono negate molte cose, alla faccia del rispetto dei diritti umani tanto sbandierati. Escrementi sui muri, sangue per terra, situazioni che ti fanno rivoltare lo stomaco ma devi andare avanti, spesso facendo finta di niente”. “Quando rientro casa – conclude Giorgio – spesso non riesco a guardare negli occhi mia moglie e i miei figli. Ho la sensazione di avere le mani sporche di sangue e non serve a nulla lavarle perché è un qualcosa che ti rimane sulla pelle anche dopo la doccia. E poi, al telegiornale, arriva la notizia del collega che si è tolta la vita”.

In Italia gli agenti di polizia penitenziaria sono 31.546

Come evidenzia l’associazione Antigone, “manca il 15 per cento delle unità previste in pianta organica” e il rapporto detenuti-agenti è pari a 1,8, “a fronte di una previsione di 1,5”. Lo stipendio medio di un agente è di circa 1.300 euro al mese, le ore di straordinario possono arrivare a settanta a settimana e anche il giorno di riposo è spesso sacrificato.

Il contesto in cui il personale della Polizia Penitenziaria si trova a lavorare è, a dir poco, complesso. Oggi in Italia ci sono circa 64.000 detenuti, ma i posti disponibili sono circa 47.000. Nelle celle visitate dall’associazione Antigone nel 2023 nel 35 per cento dei casi non era rispettata la regola dei tre metri quadri a persona mentre nel 45 per cento delle docce non c’era acqua calda e in una struttura su otto mancava anche il riscaldamento. In molti istituti le attività trattamentali sono ridotte a soglie al di sotto del minimo perché mancano anche gli educatori, oltre al resto del personale. Le giornate trascorrono senza fare nulla, e la noia presto diventa disperazione non solo per gli ospiti delle strutture ma anche di chi, all’interno di quelle strutture, ci lavora. Lavorare in carcere significa viverlo, trovarsi in una sorta di reclusione che dura molte, troppe, ore al giorno e, in situazioni come queste, molto spesso il sentirsi impotenti, il lavorare continuamente sotto stress, causa squilibri psicologici anche nel personale della polizia Penitenziaria.

L’Italia è stata più volte condannata dalla Cedu, la Corte europea dei diritti dell’uomo, per i trattamenti inumani e degradanti che riserva ai suoi detenuti ma, per ora, sembra che pochi siano interessato alle condizioni di lavoro di chi, in carcere, ci lavora e ci vive. Se è purtroppo vero che “il carcere è l’inferno in terra”, lo è indifferentemente sia per chi sta scontando una pena sia per chi ci lavora. E questo inferno plasma le esistenze e i comportamenti della sua popolazione.

Per molto tempo il problema è stato sottovalutato, se non addirittura nascosto quasi fosse un’onta. Su spinta dell’Osservatorio permanente interforze sui suicidi tra gli appartenenti alle forze di polizia, voluto nel 2019 dal prefetto Franco Gabrielli, e dei sindacati, negli ultimi anni le forze di polizia hanno finalmente iniziato ad alzare i livelli di screening nella selezione e attivato campagne di prevenzione, tavoli tecnici contro il disagio, progetti di monitoraggio e, soprattutto, task force di esperti che assicurano sostegno anche a distanza e in forma anonima. I Carabinieri si preparano ad arruolare altri 12 psicologi, la Polizia di Stato prevede di assumerne 50 (arrivando a 114) entro il 2027 e ha attivato il progetto “Una casa per papà” per accogliere gli agenti che, con i loro figli, stanno affrontando una separazione. La Guardia di Finanza ha in corso in Lombardia e Calabria un progetto per facilitare la socializzazione dei neo-finanzieri, coinvolgendo i colleghi più anziani. E la Polizia Penitenziaria ha istituito un fondo da destinare, in modo strutturato e permanente, al supporto psicologico del personale.
Proprio dai dati dell’Osservatorio è oggi possibile fare, per la prima volta, si può fare una comparazione ufficiale, scoprendo che, negli ultimi cinque anni, i suicidi tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e agenti penitenziari sono stati 207. Un conteggio che sale a 275 se ci aggiungiamo la polizia locale e gli altri appartenenti alle Forze Armate. In media uno ogni sei giorni.

Parlano Domenico Mastrulli, segretario nazionale Fs-Cosp, e Calogero Navarra, segretario regionale del Sappe

“Nelle carceri si muore” e “non sono casi isolati”. Il grido di allarme dei sindacati nell’indifferenza

Nelle carceri italiane si muore. Il dato non riguarda solo la c.d. popolazione carceraria ma anche quanti, il carcere, lo vivono per lavoro, come le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria. Solo nelle ultime due settimane si è tolto la vita l’agente di polizia penitenziaria di 36 anni originario di Cittanova, in provincia di Reggio, sembrerebbe con la pistola d’ordinanza. Da un paio di mesi era impiegato presso la Centrale Operativa Nazionale di Roma, avrebbe dovuto prendere servizio la mattina successiva. Subito prima di lui, lo scorso 30 giugno, ha deciso di suicidarsi un Sovrintendente del Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa di Reclusione di Favignana che aveva 55 anni. È stato ritrovato non lontano dal carcere, impiccato in un bosco.

“Nelle carceri si muore – ha raccontato al Qds Domenico Mastrulli, segretario generale nazionale FS-Co.S.P. -. La morte è alla porta e le donne e gli uomini della penitenziaria, varcando quella porta, sanno che, probabilmente, non ne potranno più uscire. Il problema non è semplicemente di sovraffollamento ma il fatto che dal 2001 sono stati spostati nelle case circondariali tutti gli ospiti degli Opg psichiatrici. Questo, inevitabilmente, è andato ad aggravare la situazione all’interno degli istituti perché, nonostante sia prevista la presenza di personale in grado di fornire supporto psicologico e psichiatrico, in oltre 200 carceri per adulti e 20 in quelle per i minori la figura non esiste. Dobbiamo ricordare gli oltre 10.000 agenti feriti per mano di questi criminali. Non c’è una ‘manu ferma’ da parte della politica nazionale, annunciata più volte, e non c’è una posizione politica e dipartimentale questa emorragia di tensioni e di aggressioni. La situazione è preoccupante, come dimostrato dall’elevato numero di casi di tentativi di evasione”.

“Non si tratta di casi isolati – ha dichiarato al QdS Calogero Navarra, segretario regionale per la Sicilia del Sappe, il sindacato autonomo polizia penitenziaria – lo stress e il contesto psicologico derivante da quello lavorativo si sommano, inevitabilmente, a ulteriori situazioni che, nel percorso della propria vita, accentuano la necessità di compiere un gesto estremo. Dobbiamo anche dire, però, che negli ultimi anni lo stress psicologico di un appartenente al corpo è aumentato anche in virtù dei maggiori carichi di lavoro, a causa della carenza di personale e il dato di sovraffollamento delle strutture che è fuori controllo. Non si riescono più a soddisfare quelle che sono le esigenze dell’utente e si sono trasformate in pretese quelle che prima erano concessioni e, a fronte di un diniego, spesso assistiamo a episodi di violenza. Le aggressioni agli appartenenti al corpo sono aumentate perché il dialogo non è sufficiente. Le faccio un esempio. Fino a qualche anno fa, il personale smontante dava le consegne relative al reparto in cui operava a quello montante. Questo permetteva di focalizzare la situazione in essere, segnalando anche i singoli casi da attenzionare all’interno del reparto. Con il personale disponibile oggi è invece necessario presidiare più reparti e questo rende impossibile un monitoraggio costante della situazione, anche a causa del sovraffollamento. Oggi l’istituto dello straordinario, indirettamente, ha prodotto presenze fisiche, come nel caso in cui lo smontante non è raggiunto dal montante e, pertanto, deve rimanere in servizio per altre otto ore. Ma non è pensabile che, dopo una giornata trascorsa nel reparto detentivo per un totale di 16 ore, si debba fare un ulteriore turno di otto ore nella giornata successiva sperando che arrivi il cambio”.

Il sistema è oramai al collasso. Da un lato sovraffollamento delle carceri dall’altra una drammatica carenza di organico. “Il sistema carcerario – ha proseguito Navarra – è saltato e anche l’introduzione del reato di tortura ha peggiorato la situazione, perché la difesa in caso di aggressione, spesso, porta a incriminazioni del personale della Penitenziaria per tortura nei confronti del detenuto creando situazioni insostenibili e trasformando l’aggressore in aggredito”. “Abbiamo una forte carenza di agenti – prosegue Mastrulli – che sfiora le 20 mila unità e assistiamo a una fuga dall’amministrazione da parte del personale giuridico-pedagogico e amministrativo-contabile. Abbiamo, in questo momento, un dipartimento incapace di reagire a questa profonda ferita, una continua emorragia che provoca dolore e sofferenza”.

Il Governo sembra essere corso ai ripari anche con quanto contenuto nel Dl Carceri firmato dal ministro Nordio che al momento è in discussione al Senato. “Quando arriva una nuova norma – conclude Mastrulli – la guardiamo sempre con attenzione. In questo caso il ministro Nordio, troppo occupato dalla sua attenzione verso i magistrati, si è distratto ed ha dimenticato che lui è il capo della Polizia Penitenziaria. Lo stesso capo del dipartimento Russo avrebbe dovuto essere più intransigente nei confronti il decreto in discussione al Senato perché non solo non favorisce il sistema carcerario tantomeno la Polizia Penitenziaria. Se si fosse voluto affrontare seriamente il problema bisogna avere il coraggio di dichiarare lo stato di emergenza del nostro sistema carcerario, portandolo anche sul tavolo della Commissione europea che si dovrà riunire nel prossimo mese di settembre”.

Decreto Carceri, prevista l’assunzione di mille agenti tra 2025 e 2026

A seguito di una richiesta del QdS relativa a un’intervista al capo del Dap Giovanni Russo relativa ai suidi del personale della Polizia Penitenziaria, ci è stato risposto che, sin dal suo insediamento, Russo aveva annunciato che, oltre alle dichiarazioni istituzionali e a margine di eventi, non sarebbero state rilasciate interviste. Lo scorso 10 luglio Russo è stato oggetto di un’audizione alla commissione Giustizia al Senato sul decreto carceri. In quell’occasione ha sottolineato le assunzioni di agenti penitenziari e ha spiegato, riferendosi ai suicidi dei detenuti che “una parte significativa è correlata a soggetti che hanno perso il contatto con la società e i legami famigliari, che non ricevono la visita dei difensori” parlando di una “pauperizzazione delle relazioni che fa il pari con una sorta di pauperizzazione sociale”.

Il Dl “Carceri” che ha ricevuto il via libera in Consiglio dei ministri e che ora è in discussione in Commissione Giustizia del Senato, contiene alcune misure dedicate alla semplificazione e alla velocizzazione delle procedure per la libertà anticipata ai detenuti che ne abbiamo il diritto, ma anche all’assunzione di personale penitenziario, all’aumento delle telefonate concesse ai detenuti e all’istituzione di un elenco delle comunità abilitate per la detenzione domiciliare, soprattutto nei casi di tossicodipendenza, per svolgere un periodo di formazione e reinserimento sociale. Nello specifico nel testo c’è un titolo che riguarda l’assunzione di 1.000 unità del Corpo di Polizia penitenziaria. Si tratta di 500 assunzioni per il 2025 e altre 500 per il 2026. Aumentata inoltre di venti unità la dotazione organica del personale dirigenziale penitenziario.

Il sottosegretario ministero della Giustizia Andrea Delmastro ha invece affidato a Instagram, con toni enfatici, una sua dichiarazione. “Approvato in Consiglio dei Ministri il DL Giustizia con importanti provvedimenti per la Polizia Penitenziaria. 1000 nuove extra assunzioni di agenti di Polizia Penitenziaria: riduciamo le carenze di organico con ulteriori assunzioni in aggiunta al turn-over. Assunzione di dirigenti penitenziari, vice commissari e vice ispettori: un direttore e un comandante in ogni Istituto per una catena del comando chiara e stabile. Lo abbiamo promesso, lo stiamo facendo! Riduzione da 6 a 4 mesi della durata dei corsi per i nuovi agenti di Polizia Penitenziaria: velocizziamo l’immissione in servizio dei nuovi agenti!”

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