Prestato il libro “Sud il capitale che serve”. L’analisi.
Una considerazione che parte dal suo punto di osservazione che è fatto di carriera sindacale, gestore di fondi destinati al Mezzogiorno e presidente della Fondazione con il Sud: “le politiche di sviluppo destinate a questa area del paese hanno fallito, i divari di cittadinanza prima ancora di quelli di pil lo stanno a dimostrare”.
Parola di Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud che ha pubblicato il libro “Sud il capitale che serve” pubblicato da “Vita e Pensiero”, la casa editrice dell’Università Cattolica che è stato presentato nei giorni scorsi alla Fondazione Sicilia a Palazzo Branciforte a Palermo.
Il fallimento delle politiche
Un libro che smonta il racconto comune sul mancato sviluppo del Sud ad iniziare dalle tre considerazioni più comuni: non sono stati bravi a spendere; è colpa della classe dirigente; è un problema di mentalità. “Quest’ultima”, dice Borgomeo, “forse la più pericolosa, un passo verso il razzismo”. Ma se la Cassa del Mezzogiorno è stata istituita 72 anni fa e se oggi parliamo di Pnrr come “ultima possibilità” c’è davvero qualcosa che non ha funzionato. Ma cosa? E’ mancata una politica di sviluppo. “Dopo i primi anni d’intervento straordinario della Cassa per il Mezzogiorno”, spiega, “con la realizzazione di importanti infrastrutture, la politica del Sud si è sostanzialmente ridotta al trasferimento di risorse finanziarie, nell’illusione che questo determinasse automaticamente sviluppo. Ma l’esperienza dimostra che se il sostegno non incrocia la responsabilità e la vitalità delle comunità locali, diventa assistenziale e genera dipendenza”. Si è creato così una sorta di paradosso: quando una regione cresceva (il caso dell’Abruzzo citato nel libro) i suoi amministratori si preoccupavano che non sarebbero più arrivate risorse utili, soprattutto, a gestire il consenso.
Il capitale umano e lo sviluppo dal basso
“Bisogna invece investire, come condizione prima ed essenziale, nello sviluppo nel capitale umano e sociale. È questo il ‘capitale che serve’”. Borgomeo nel libro parla di diverse esperienze di sviluppo dal basso: è anche citato il centro Tau di Francesco Di Giovanni (presente all’inaugurazione) che diventa un modello di lavoro che è possibile esportare anche altrove ma anche il Crezi Plus dei cantieri della Zisa o la Cooperativa che gestisce il Convento di Santa Caterina con la sua produzione di dolci. Esempi di iniziative non indotte ma nate dal territorio. “Serve capovolgere il paradigma”, ha spiegato Borgomeo, “ci sono territori con ritardadato sviluppo perché non si è investito su scuola, servizi sociali, lotta alla criminalità. Lo sviluppo attecchisce se c’è un minimo di coesione sociale e le istituzioni funzionano meglio. Altrimenti ragioniamo in una ottica quantitativa: quanti soldi arrivano e questo spesso si trasforma in assistenzialismo. Ma non è il quanto. Manca il tessuto sociale che può dare buon frutto a queste risorse che arrivano”.
Il ruolo del terzo settore
Quindi bisogna guardare con attenzione al terzo settore come elemento fondamentale di inclusione sociale e un primo passo in un processo di sviluppo che, però, è necessariamente a lungo termine. “Non sono solo esperienze di solidarietà ma bisogna capire che da lì possono venire fuori energie e spinte di dimensione comunitaria che sono utili allo sviluppo”, ha detto l’autore, “quando una associazione in un quartiere difficile di Palermo o Catania fa un lavoro di accoglienza di adolescenti togliendolo dalla strada sta facendo un’operazione di giustizia sociale, aiuto a riconoscere i diritti a questi ragazzi evitando dispersione scolastica. Quindi una operazione positiva per i destinatari e per lo sviluppo”.