Chi non era Matteo Messina Denaro - QdS

Chi non era Matteo Messina Denaro

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Chi non era Matteo Messina Denaro

Roberto Greco  |
martedì 26 Settembre 2023

Allo stato attuale risulta necessario non tanto raccontare chi sia stato Matteo Messina Denaro, ma chi non è stato.

Sembra che, dopo la sua morte, l’interesse per la sua figura criminale sia cresciuto. Oltre a questo, inevitabilmente e soprattutto sui diversi social ma anche su alcune testate nazionali, riemergono le ipotesi di accordo tra le forze dell’ordine e l’ex boss. Insomma una “trattativa” continua. L’interesse per la sua figura ha inoltre generato un fenomeno che ha portato l’opinione pubblica ad assegnargli ruoli, e quindi responsabilità sulla base di un pensiero proprio e soggettivo, non suffragato da alcun ragionamento organico e, soprattutto, spesso senza conoscere in realtà la metodologia mafiosa, i suoi codice e le sue forme di attribuzione di ruoli e conseguentemente di potere.

Potremmo, a questo punto, citare Thomas P. Wilson, sociologo che, all’inizio degli anni ’70, riuscì a strutturare il dibattito sulla teoria dei ruoli associando le diverse posizioni a due distinti paradigmi, quello normativo e quello interpretativo. In parole semplici, un conto è essere e altro il dare la percezione di esserlo attraverso un’interpretazione della quale chi è detentore del ruolo non fornisce. Proprio per questo è più che mai necessario non tanto raccontare chi sia stato Matteo Messina Denaro ma chi non è stato.

Chi non era Matteo Messina Denaro

Matteo Messina Denaro non era una brava persona, direbbe mia madre. Non c’è dubbio su questo. Il figlio di don Ciccio Messina Denaro è stato il naturale erede non solo del potere amministrato dal padre e dei suoi beni ma anche del sistema sociale malato che don Ciccio creò e amministrò e, un mafioso, non può essere una brava persona.

Matteo Messina Denaro non era una vittima del sistema, giustificazione che spesso è usata per giustificare comportamenti impropri. Le vittime del sistema, in questo caso quello mafioso, sono altre, sono i corpi straziati dalle armi e dagli esplosivi il cui corpo è rimasto sul selciato immerso nel proprio sangue, sono i familiari di queste persone, le madri, i padri, le sorelle, i fratelli delle vittime che, indirettamente o direttamente, sono morti per responsabilità di Matteo Messina Denaro e del sistema da lui governato.

Matteo Messina Denaro non era il “capo dei capi”. Pur essendo l’erede naturale di Totò Riina, proprio dopo l’arresto avvenuto il 15 gennaio 1993, la mafia ha cambiando pelle e struttura. Di certo non fu la prima trasformazione della mafia, ma di questo ne tratteremo in altra occasione, ma sicuramente quella che portò a non essere più l’organizzazione unitaria e verticistica, quella descritta da Tommaso Buscetta per intenderci, ma una federazione di gruppi con un forte radicamento territoriale. Inoltre, sempre dopo l’arresto di Totò Riina, la “cupola” si era dissolta e il buon Matteo, si fa per dire, era solamente il capo delle cosche trapanesi, erede di una tradizione derivata dalla propria famiglia, da don Ciccio che, prima di lui era il dominus di quel territorio.

La trasformazione della mafia di Provenzano

Va inoltre tenuto presente che l’architetto di questa trasformazione non è stato Matteo Messina Denaro, che in realtà l’ha dovuto gestire in qualità di traghettatore, ma Bernardo Provenzano, che capì che bisognava lasciarsi alle spalle il periodo sanguinario che aveva caratterizzato gli anni del potere di Totò Riina, e silenziosamente e spesso in punta di piedi, avviarsi verso una stagione che metteva al centro gli affari e la storia ci ha insegnato che i “piccioli”, ossia il denaro, sono il principale (dis)valore mafioso. Una struttura organizzativa che possedeva una grande capacità di rigenerazione e un ampio consenso sociale basato sulla sua grande capacità d’intimidazione.

All’interno di questo nuovo modello di trasformazione, inoltre, diventava sempre più importante tessere legami profondi con quella che il procuratore De Lucia, dopo la cattura del boss il 16 gennaio 2023, definì “borghesia mafiosa”. Un modello organizzativo che prevedeva di aumentare la propria influenza in diversi settori economici, riallacciare i rapporti non tanto con i singoli politici ma con ambiti politici, uscire da quella logica personale di Riina rispetto alla suddivisione delle risorse economiche gestendo, con piglio imprenditoriale, la collocazione delle risorse disponibili, il reperimento di quelle ritenute utili e l’attribuzione di appalti e di incarichi alla cerchia dei fedelissimi, non necessariamente organici all’organizzazione.

In fondo, come ho già scritto proprio su queste pagine, il mito spesso supera la realtà e Matteo Messina Denaro è riuscito a creare il mito di se stesso. Un mito basato sulla prima, e lunga, parte della sua latitanza trascorsa tra sfarzi, piaceri della vita e buone letture, come farebbe un ricco ereditiero. Un mito che in realtà si è dimostrato essere un artefatto comunicativo.

E adesso chi paga i bicchieri rotti?

Matteo Messina Denaro è morto. Già condannato in via definitiva in diversi processi, era imputato in diversi procedimenti. Come andrà, a finire? Come sempre ci viene in aiuto il Codice Penale che, all’articolo 150, indica che, con la morte del reo, si estingue il reato e di conseguenza tutti i rapporti penali, sia processuali che sostanziali. Non sono invece coinvolti, poiché si riferiscono non tanto al reo quanto al suo patrimonio, gli obblighi civili relative al risarcimento del danno causato dal reato, il pagamento delle spese processuali e l’esecuzione della confisca, come previsto dall’articolo 240.

Per essere chiari, non si eredita un reato commesso da un familiare e l’eventuale risarcimento viene forzosamente prelevato dal patrimonio di chi ha commesso il reato, tranne nel caso in cui il reo non fosse nullatenente. E per le condanne già comminate? Anche se ovvio, l’articolo 171, sempre del Codice Penale, indica che la morte del reo nello specifico comporta l’estinzione delle pene detentive, delle pene pecuniarie, di quelle accessorie e insieme di tutti gli effetti penali della condanna.

Una fedina penale pulita, insomma, all’interno della bara che ospiterà le sue spoglie sotto qualche metro di terra o dietro una colata di cemento che, risparmiare, sarà di scarsa qualità, come quello usato dai costruttori di Vito Ciancimino che servì per costruire la “nuova” Palermo. E i bicchieri? Purtroppo i bicchieri rotti rimarranno tali, che ci piaccia o meno. Peccato che determinati bicchieri non potranno mai più essere acquistati.

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