Il fascino di miti e leggende irlandesi ha colpito anche casa Disney. Tratto dalla saga letteraria in otto volumi di Eoin Colfer, Artemis Fowl è il primo film di un potenziale nuovo e duraturo marchio di successo
ARTEMIS FOWL
Regia di Kenneth Branagh. Con Ferdia Show (Artemis Fowl Jr), Colin Farrell (Artemis Fowl Sr), Judy Dench (Comandante Root).
Usa 2020, 115’.
Distribuzione: Disney +
Dopo le stupende animazioni di Tomm Moore, il fascino di miti e leggende irlandesi ha colpito anche casa Disney. Tratto dalla saga letteraria in otto volumi di Eoin Colfer, Artemis Fowl è il primo film di un potenziale nuovo e duraturo marchio di successo che mescola fantasy e avventura, Harry Potter e 007.
Il protagonista, un ragazzino dalle straordinarie doti d’intelletto, audace, con grande spirito d’iniziativa e soprattutto molto ma molto sicuro di sé, emerge dalle onde dell’Oceano Atlantico, surfando da professionista, solo al termine di un’ampia e spettacolare cornice nella quale si rappresenta la posta in gioco della narrazione. Si introducono le tematiche fantastiche con tutto un repertorio di armi magiche, elfi, nani e goblin e si offre allo spettatore un saggio del look del film: eclettico, fumettistico, in difficile equilibrio tra l’ostentazione nostalgica di classici effetti come trucco prostetico e filtri ottici e la demiurgica possibilità di ricreare mondi immaginari di una grafica computerizzata usata comunque in modo volutamente grossolano.
Curatissima ovviamente la parte tecnica, in particolar modo la scelta delle location, le scenografie, i costumi, con grande predominanza cromatica del verde che campeggia smeraldo nelle tute dell’esercito fatato in omaggio al colore principe del paesaggio irlandese.
Del tutto convenzionale e prevedibile, invece, l’intreccio, che flirtando con i fantasy degli anni Ottanta (nel film c’è anche un esplicito omaggio a David Bowie) e con i modelli archetipici di Harry Potter segue pedissequamente i passaggi della struttura de “Il viaggio dell’eroe” di Vogler, mettendo il protagonista al centro di uno scontro tra umani e fatati per il possesso di un oggetto chiamato Aculos, il più classico degli hitcockiani “MacGuffin”.
Kenneth Branagh è un grande direttore di attori e anche un esperto narratore in equilibrio tra Shakespeare e cultura pop, tra classicità e contemporaneità: il regista ideale dunque per un fantasy che galleggia entro i confini del genere con piacevoli sbuffi di autoironia e gusto citazionista (un prodotto per famiglie del genere mancava probabilmente alla Disney dai tempi di “Spy Kids”).
Privo di identità e interesse, invece, è il villain di turno, un Voldemort senza aura né storia personale, sconosciuto a tutti e anche per questo estremamente poco credibile. Il richiamo al maghetto di Hogwarts non è casuale: come Harry Potter è nemesi di Voldemort, elementi simbiotici che costituiscono i due volti dell’esperienza umana, così un nemico talmente impalpabile è il naturale specchio di un eroe privo di motivazioni universali, incapace di creare empatia, le cui fragilità vengono enunciate nel primo atto per essere bellamente ignorate nei successivi.
Con un vulnus drammaturgico di tale portata, lo sviluppo viene unicamente affidato alle sequenze d’azione (di cui una di grande impatto visivo dichiaratamente ambientata in una cittadina italiana chiamata Martina Franca, ma realizzata invece interamente in computer grafica utilizzando riprese aeree e sfondi di San Gimignano) e alle attrattive offerte dai comprimari, in particolar modo il soldato semplice Spinella Tappo, personaggio già maggiormente caratterizzato con anche tratti di originalità. L’assenza di sacrifici umani al termine di questa “guerra dei mondi”, poi, di certo non sorprende ma inevitabilmente finisce per infantilizzare ulteriormente il tono del racconto.
Voto: ☺☺1/2☻☻