"Quanto sia grande la potenza, si presenta alla coscienza massimamente là dove essa distrugge"
Un grande europeo, filosofo, uomo di cultura, educatore, come Romano Guardini, nel 1962, in occasione del conferimento del Praemium Erasmianum, in una relazione bellissima dal titolo “Europa, compito e destino” ha detto parole che vorrei scolpite sulle rocce delle Alpi e degli Urali: “Quanto sia grande la potenza, si presenta alla coscienza massimamente là dove essa distrugge. Noi uomini d’oggi abbiamo vissuto l’avvenimento, in cui la possibilità di distruzione divenne pienamente patente, quando fu lanciata la bomba atomica ad Hiroshima. (…) Credo di non giudicare ingiustamente, se penso che il problema non sia stato ancora visto in tutta la sua serietà, anzi nemmeno affrontato. Ma chi è chiamato a porlo e ad avvicinarsi ad una soluzione? “Non sembra che sia l’America, come continente, quella a cui è affidato questo compito. (…) Neppure l’Asia, credo, lo sarà. Certo la sua storia è antichissima, ma essa sembra separarsi da questo passato e precipitarsi sulle nuove possibilità con una sollecitudine di impressionante rapidità. Certamente è prematuro parlare dell’Africa in questo contesto. Frattanto il suo incontro con scienza e tecnica sembra piuttosto creare, nel senso di una genuina cultura, confusione, che portare promozione e avanzamento. Credo che qui ci sia un compito che è affidato particolarmente all’Europa. Richiamiamoci al fatto che la sua storia, prolungata per oltre tremila anni, conduce con un andamento ininterrotto fino al più recente sviluppo di scienza e tecnica. Essa non ci si è gettata dentro con un salto, ma l’ha prodotta, e così ha avuto anche il tempo per abituarvisi. Ma, di più e di maggiore importanza: essa ha avuto tempo per perdere le illusioni. Non sbaglio certo se penso che all’Europa autentica è estraneo l’ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del passato sono ancora in essa così viventi che le permettono di sentire che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tanto di irrecuperabile; è stata colpevole di tante lunghe guerre omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell’umana esistenza. Nella sua coscienza c’è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall’Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù. Conosce le irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della storia, né a utopie sull’universale felicità del mondo. Essa ne sa troppo. Perciò io credo che il compito affidato all’Europa – compito il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all’essenziale – sia la critica della potenza. Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia, ad essa è affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane indeciso dove condurrà. L’Europa è vecchia. Prima sembrava che il carattere della vecchiaia fosse marcato più fortemente sul volto dell’Asia – una volta, quando ancora si parlava della sua – intemporalità. Oggi essa sembra rinnegare la sua vecchiaia e sorgere ad una nuova gioventù, certo grandiosa, ma anche pericolosa. L’Europa ha creato l’età moderna, ma ha tenuto ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, io penso, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica – benché naturalmente farà anche questo – ma nel domare questa potenza”.