Secondo una stima pubblicata dal Financial Times nel nostro Paese ci sarebbe stato il 26% dei casi nel periodo tra gennaio e giugno. In Sicilia solo l'1%. Al via una nuova indagine dell'Iss
L’Italia è quinta al mondo per la percentuale di casi dovuti alla variante Delta, il 26% secondo le stime del Financial Times relative al periodo compreso fra il primo gennaio e il 16 giugno 2021; il 9% secondo le stime del centro Ceinge-Biotecnologie avanzate relative all’ultimo mese e che segnano un aumento rispetto al 3.4% che risultava dall’analisi relativa al periodo fra il 15 maggio e il 16 giugno.
In entrambi i casi la fonte è la banca dati internazionali Gisaid, nella quale tutti i Paesi del mondo depositano le sequenze genetiche del Covid.
Che si debba andare a pescare i dati in questo mare di sequenze si deve, purtroppo, al fatto che ad accezione della Gran Bretagna, tutto il mondo sta raccogliendo poche sequenze del virus e non fa eccezione l’Italia.
Qui il ministero della Salute ha disposto una nuova indagine rapida per stimare la diffusione nel Paese delle principali varianti del coronavirus in Italia, a partire proprio dalla Delta e che prenderà in considerazione i campioni notificati il 22 giugno, dei quali si otterranno le sequenze genetiche.
Il Financial Times ha attinto ai dati di Gisaid grazie alla collaborazione dell’istituto di ricerca belga Sciensano e le stime indicano che Gran Bretagna e Portogallo sono i Paesi ad avere la maggiore concentrazione di variante Delta, rispettivamente con il 98% e il 96%, fra i Paesi che hanno depositato le sequenze.
Seguono gli Stati Uniti con il 31%, quindi Italia (26%), Belgio (16%), Germania (15%), Francia (6,9%).
L’analisi eseguita per l’Agenzia di stampa italiana Ansa dal Ceinge indica che attualmente la variante Delta in Italia è in crescita e corrisponde al 9% del totale delle sequenze depositate nella banca Gisaid.
I dati, analizzati dal Gruppo di Bioinformatica del centro Ceinge-Biotecnologie avanzate diretto da Giovanni Paolella indicano che, delle 1.193 sequenze depositate in totale, 108 (circa 9%) corrispondono alla variante Delta (B.1.617.2).
Fra gli autori della ricerca Rossella Tufano e Angelo Boccia, i quali hanno precisato che le statistiche frutto dell’analisi “sono basate sulle sequenze pubblicate in Gisaid e, inevitabilmente, non possono rappresentare l’esatta diffusione del virus sul territorio”.
Per quanto riguarda le Regioni, la maggior parte delle sequenze che corrispondono alla variante Delta arriva dalla Puglia (38, pari a circa il 35%), seguita da Trentino-Alto Adige (28, 26%), Veneto (20, circa 18%), Umbria (11, 10%), Sardegna (5, 5%), Campania (3, 3%), Lazio, Lombardia e Sicilia (1 ciascuna, 1%).
“Poche sono le sequenze di genomi virali prodotti in Italia – ha osservato il genetista Massimo Zollo, dell’Università Federico II di Napoli e coordinatore della Task force Covid-19 del Ceingee – disponibili in banche dati ‘1193’ depositate in un mese circa. E questo dipende anche e soprattutto dai 5736 nuovi casi positivi (20/05/2021) agli 881 nuovi casi positivi identificati (20/06/2021) in Italia”.
Sono diversi, secondo Zollo, i fattori che spiegano lo scarso numero di sequenze ottenute in Italia.
“Il numero di ‘nuovi’ positivi sicuramente influenza l’andamento delle poche sequenze prodotte in quest’ultimo mese. Si nota che la rete del tracciamento sul territorio dei positivi si è allentata, ci sono meno addetti utilizzati per questa emergenza. Infine i laboratori sembrano aver esaurito le scorte, i fondi per acquistare materiali per sequenziare e il personale per generare i dati e, cosa più importante, i centri di eccellenza se pur attrezzati non sono coinvolti, riducendo quindi la capacità di essere efficaci nei tempi nell’ottenere e tracciare la variante in tempi brevi”.
Per il genetista “occorre identificare centri ad hoc che diano continuità alla azione nel sequenziamento, l’unica arma al tracciamento rapido nell’identificare le nuovi varianti, il costo ed i tempi nell’ottenere il sequenziamento dell’intero genoma virale sono ora resi molto competitivi quindi bisognare accelerare in questa direzione come stanno facendo Regno Unito e Germania”.