Decurtare il debito vendendo gli immobili - QdS

Decurtare il debito vendendo gli immobili

Carlo Alberto Tregua

Decurtare il debito vendendo gli immobili

mercoledì 10 Maggio 2023

Sono bloccati 440 miliardi

Secondo il Def (Documento di economia e finanza) – da poco approvato dal Governo nella seconda edizione, dopo la bocciatura del Parlamento – nel 2026 il debito pubblico arriverà alla cima dell’Everest di 3.151 miliardi. Impressionante!

Non diminuisce la sua enormità il fatto che con delle arzigogolate percentuali alla Mandrake, sembra che esso si ridurrà perché dovrebbe aumentare il Pil, cioé il denominatore della frazione.
Questo debito enorme costerà per interessi oltre cento miliardi, un’altra cifra impressionante, perché potrebbe essere circa il dieci per cento di tutte le uscite dello Stato.
Come sempre capita ai debitori, più aumenta il debito più aumentano gli interessi e più la situazione peggiora. Dopo un po’ non c’è via di scampo.
Che succede a chi ha un debito di questo genere, cioé il Governo italiano? Dovrebbe pensare a come ridurlo drasticamente, imboccando una via virtuosa, che è fatta dalle due componenti che qui di seguito vi descriviamo.

Escludendo di aumentare la pressione fiscale, ormai insostenibile, su imprese e cittadini/e, le strade da percorre sono: la prima, il taglio drastico delle uscite, eliminando tutte le spese improduttive che, secondo diversi studi, oggi ammontano fra i cinquanta e i sessanta miliardi.
Ma ve n’è una seconda che sarebbe probabilmente risolutiva e cioè vendere il patrimonio di cespiti (immobili, terreni, aziende e altro) di proprietà dello Stato, compresi quelli che provengono dalle confische effettuate in questi anni e che ammontano a circa due miliardi.

Il valore complessivo di questo patrimonio, peraltro non utilizzato se non in maniera deficitaria, è intorno a quattrocento miliardi. Non si capisce per quale ragione il Governo non decida di vendere tale patrimonio e tagliare drasticamente il suo debito di pari importo.

Vendere non significa mettere all’asta o gestire questo processo direttamente con la Pubblica amministrazione, perché non ne sarebbe capace e il tutto si rivelerebbe un ulteriore flop.
Ma vi sono le primarie banche italiane, fra cui Intesa Sanpaolo, UniCredit, Bpm e altre, disposte a creare fondi di investimento.

I fondi di investimento, come tutti sanno, gestiscono cespiti di natura diversa, anche finanziaria, e normalmente sono attivi. Le predette banche hanno dichiarato la disponibilità a costituire questi fondi di investimento, i quali – in tempi ragionevoli e di mercato, non quelli biblici della Pa – potrebbero acquistare in blocco i cespiti detenuti in proprietà dallo Stato e quindi versare nelle casse del medesimo il controvalore, che è appunto di circa quattrocento miliardi.

Perché un’operazione trasparente come questa non viene effettuata? È una domanda cui il titolare del Mef, Giancarlo Giorgetti, dovrebbe dare risposta tempestiva, oppure mettere in atto questa ipotesi di lavoro per realizzarla in tempi ragionevoli.
Il taglio di quattrocento miliardi del debito pubblico così ottenuto ridurrebbe di oltre il venti per cento l’esposizione, renderebbe meno problematica la situazione dell’Italia rispetto all’Unione europea e, cosa più importante, ridurrebbe della pari percentuale il costo per interessi.

È vero che nel prossimo anno il Def prevede il cosiddetto avanzo primario, vale a dire uscite minori delle entrare. Ma è anche vero che tale avanzo viene annullato totalmente dal costo degli interessi passivi, i quali vanno a sbilanciarlo in modo negativo.

Nel nostro Paese vi sono tanti ciarlatani che continuano a urlare – nelle televisioni, nelle piazze e a scrivere nei siti – che c’è bisogno di questa o di quella cosa, senza mai indicare la fonte di finanziamento, che deve essere una fonte nuova, cioé senza aggravio della pressione fiscale, ovvero sostitutiva di un’altra spesa, indicandone con precisione quale.

Appunto, solo i ciarlatani possono comportarsi in questa maniera diseducativa per i/le giovani e millantatrice per i/le cittadini/e. Non si capisce perché coloro che fanno informazione, fra cui i giornalisti, non contestino a questi ciarlatani tale comportamento incivile e non li invitino a dire sempre con precisione dove reperire le risorse necessarie, in un modo o nell’altro, per realizzare quanto urlato.

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