La Civil conversazione un bene da recuperare - QdS

La Civil conversazione un bene da recuperare

Carlo Alberto Tregua

La Civil conversazione un bene da recuperare

mercoledì 17 Giugno 2020

Stefano Guazzo (1530-1593) scrisse un dialogo sulla Civil conversazione, pubblicato nel 1574, che riscosse grande successo in Italia, Francia, Inghilterra e Germania.
Il testo era complesso perché trattava argomenti pedagogici e civili, di organizzazione dell’economia domestica in una sorta di sintesi dei diversi filoni della cultura media dell’epoca.
Vi è poi un altro testo, Dialoghi, che tratta dell’Institutio e del comportamento nella cultura classicistica, in una dimensione europea che sottolinea il passaggio dall’Antico Regime alla Modernità.
La Civil conversazione è un testo di oltre trecento pagine estremamente interessanti perché ci confermano i modi di pensare e di vedere di quella società, di più di cinque secoli fa, ove peraltro era diffusa l’ignoranza, mentre i Saperi erano riservati a pochi e quasi sempre delle fasce sociali superiori.
Tutto questo esaltava il peso negativo dell’ignoranza (nel senso di non sapere) e della conoscenza, che spesso viene utilizzata per prevaricare gli ignoranti.

Ai nostri giorni si è persa l’abitudine – nelle riunioni di amici e conoscenti, nelle gite di svago e in altri momenti di aggregazione, compreso l’aperitivo – di porre al centro delle riunioni delle persone la conversazione.
Una volta, nelle famiglie, quando non ci si poteva riunire intorno al desco all’ora di pranzo, sovente, i componenti familiari si riunivano a cena. Si parlava dei problemi dell’insieme ma anche di quelli dei singoli componenti della famiglia.
Si facevano i conti con la scarsezza dei mezzi finanziari – perché la povertà nel nostro Paese del dopoguerra si tagliava a fette – si davano le precedenze a quella o questa spesa anche in relazione a quanto il capofamiglia e, in qualche caso, la moglie riuscivano a portare a casa dal proprio lavoro.
I divertimenti e gli svaghi erano di altro tipo proprio perché vi era carenza di mezzi finanziari. Però, la povertà non opprimeva più di tanto le famiglie, perché erano abituate ad essa ed anche perché compensavano l’assenza di svaghi materiali con il conversare, cioè trattare argomenti anche non familiari ma di interesse generale.
La crescita della ricchezza media dell’Italia e dei propri cittadini ha fatto nascere quel fenomeno che viene comunemente denominato consumismo, cioè la bulimia degli acquisti di ogni genere e tipo, anche di cose che non servono.
I consumi interni di un Paese sono buona cosa perché costituiscono una delle due gambe dell’economia (l’altra riguarda gli investimenti produttivi e in infrastrutture).
Tuttavia, all’interno dei consumi non sempre c’è il buonsenso di comprare cose utili che servano anche nel tempo. Vi è spesso nelle persone la smania ed anche, in qualche caso, una voglia smodata di comprare oggetti e servizi inutili che poi si gettano via in un breve tempo.
Intendiamoci, questa sorta di smania non è solo dei giovani, ma ha contagiato i trenta-quarantenni ed anche i cinquantenni. Forse dopo questa età subentra una certa prudenza, conseguente alla maturità.
La bulimia degli acquisti neutralizza la voglia di sostituirli con la trattazione di argomenti interessanti, anche divertenti.

Nonostante le riforme della scuola, si deve amaramente constatare che il livello medio dell’istruzione italica è in costante calo dal fatidico 1968, quando degli imbecilli inventarono il sei politico nella scuola e il diciotto politico nell’Università, cioè un livellamento dell’apprendimento verso il basso e l’omicidio del merito, che è quell’elemento selettivo che fa emergere i più bravi e mette in coda gli asini.
La conversazione serviva a questo, e servirebbe ancora oggi a questo: far aumentare la conoscenza dei fatti, delle cose, dei ragionamenti, far abituare a pensare con la propria testa e non con quella degli altri, per fare valutazioni obiettive che aiutino a scegliere e a crescere.
La conversazione non è certo una panacea, ma è un modo per capire meglio fatti e circostanze, per capirsi e vedere quello che c’è nei pensieri degli altri, soprattutto quando questi altri vanno ad occupare posti di vertici e di responsabilità, in quanto gestori della Cosa pubblica.

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