Nel corso della giornata, il governo Schifani richiederà il riconoscimento dello stato d'emergenza dopo la caduta della cenere vulcanica
Com’è l‘Etna vista da Roma, ma soprattutto con quali occhi il governo nazionale sta guardando ai frequenti parossismi che causano la caduta di sabbia vulcanica in decine di comuni della provincia di Catania? Una parziale risposta – la meno rassicurante – è trapelata ieri nel corso delle interlocuzioni che i sindaci dei Comuni colpiti dall’ultimo fenomeno hanno avuto con la Protezione civile regionale.
Al centro dell’attenzione, ancora una volta, è finita la necessità di supportare gli enti locali nel gestire i disagi che la cenere dell’Etna, stavolta più sottile della volta precedente, causa. I cittadini lamentano i ripetuti costi da affrontare per pulire tetti e grondaie, mentre i Comuni fanno i conti con le esose fatture delle ditte chiamate per liberare strade, piazze e luoghi pubblici. A ciò si aggiungono le preoccupazioni per la salute sia per quanto riguarda i pericoli legati a cadute e incidenti, ma anche i dubbi su ciò che comporta l’inalazione delle polveri emesse dal vulcano.
La sintesi di questo scoramento sta nella richiesta, anche stavolta reiterata dai primi cittadini, della dichiarazione dello stato di emergenza e il conseguente stanziamento di risorse economiche straordinarie. Ma quante probabilità ci sono che venga accolta?
Cenere dell’Etna, Comuni in ginocchio
Una decina di giorni dopo la riunione che si è svolta nella sede della Città metropolitana di Catania per ragionare su quali iniziative adottare per fronteggiare il problema, per i sindaci della costa ionica e dell’area etnea la giornata di Ferragosto è iniziata nel peggiore dei modi: “Siamo nuovamente ricoperti”, è il messaggio che è rimbalzato nelle chat. Una situazione che l’ultimo violento parossismo ha riproposto in molte località. “È arrivato il momento di agire, non possiamo più far collassare le casse dei Comuni. Se non intervengono lo Stato o la Regione, lasciamo tutto a terra”, è stata la proposta di uno dei primi cittadini. La stanchezza è palpabile così come la consapevolezza che da soli è impossibile farcela: “Le ditte non possono lavorare gratis per noi”, ha ricordato un altro sindaco. Al coro si aggiunge chi propone di organizzare un sit-in davanti ai palazzi della politica nazionale.
Dopo la precedente caduta di sabbia vulcanica si è dibattuto sulla possibilità di investire nell’acquisto di mezzi di raccolta assegnandone la gestione alla Città metropolitana. L’ipotesi, tuttavia, non sembra convincere tutti. C’è chi, per esempio, fa notare che potrebbero insorgere liti sulle priorità da seguire nell’andare incontro alle richieste di aiuto ed è per questo che un’altra possibilità avanzata è quella di istituire un fondo di rotazione a cui i Comuni potrebbero attingere in base alle specifiche esigenze.
In ogni caso, che si decida per una o l’altra soluzione, ciò che servono sono le risorse economiche e in misura decisamente maggiore rispetto al milione di euro che l’Ars ha stanziato con la manovra di luglio. La stessa in cui si è deciso di usare decine di milioni di euro per finanziare sagre e feste di paese. “La cosa preoccupante sta nel silenzio della Regione e del nostro ministro della Protezione civile”, ha commentato un sindaco chiamando in causa Renato Schifani e Nello Musumeci.
Solo calamità o anche problema economico?
A mettere in guardia i sindaci da possibili delusioni è stata però la Protezione civile regionale. I vertici del dipartimento, che in queste settimane hanno raccolto i dati provenienti dai singoli territori per quantificare i costi relativi allo smaltimento della sabbia vulcanica, hanno fatto sapere che già oggi sul tavolo della giunta Schifani ci sarà la relazione con cui da Palermo dovrebbe essere richiesta la dichiarazione dello stato d’emergenza. Ad avere l’ultima parola sarà però il Governo Meloni. E in tal senso fare previsioni è difficile. L’unico elemento che si può tenere in considerazione è il recente passato: tra il 2020 e il 2021 si registrarono un numero di parossismi maggiori rispetto a quelli degli ultimi due mesi. Tuttavia, dopo un anno di attesa e diverse richieste, da Roma fu deliberato soltanto lo stato di mobilitazione. Ovvero l’assegnazione di pochi milioni di euro alla Regione per risolvere il problema. Il motivo? La cenere potrebbe essere giudicata un problema di natura economica, non una calamità naturale come la siccità, un’alluvione o un terremoto. Chi vive sotto il vulcano la pensa diversamente.
(Foto: INGV)
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