Dopo lo stop dell’Ars al Ddl siciliano il futuro degli Enti intermedi è adesso in mano al Governo nazionale
PALERMO – Fallito il tentativo del governo Schifani di reintrodurre il voto diretto nelle Province in Sicilia, ora ci si ritroverà a fare i conti con le proroghe dei commissari delle province. Lo scorso 7 febbraio all’Assemblea regionale infatti, contro ogni aspettativa, la maggioranza è andata sotto e il Ddl sulle Province è stato bocciato con voto segreto, con 25 voti a favore e ben 40 contrari.
La riforma è tra i punti del programma elettorale del presidente Schifani, punto che non si è ancora potuto realizzare e così la Sicilia continua a essere l’unica regione d’Italia a non aver portato a termine la riforma di questi Enti intermedi, che dovrebbero fare da collante tra Comuni e Regioni.
Dopo la bocciatura il Governo si è affrettato a tamponare, cercando di ottenere consensi per una riforma che preveda elezioni di secondo livello, in cui non interviene il cittadino per eleggere presidente e consiglio, ma sono gli stessi sindaci a essere parte attiva nelle votazioni. Il motivo di tale scelta è dovuto alla necessità di mettere fine alla stagione dei commissariamenti, che dura ormai da dieci anni.
Per mettere a punto un Ddl che contenga queste regole, il governatore della Sicilia ha già avviato delle interlocuzioni con i partiti della maggioranza e sembra che ci sarà anche un tavolo di confronto a cui si siederanno i leader dei partiti che appoggiano il presidente Schifani. Ma è alle porte la campagna elettorale per le elezioni europee, che toglierà tempo e energie alla realizzazione di questa sognata riforma e i tempi si potrebbero ulteriormente allungare.
I passi di una mancata riforma
La Legge regionale 8/2014 ha dato il via a quello che sarebbe dovuto essere un rapido percorso di riorganizzazione delle ex Province regionali, istituendo Città Metropolitane e Liberi Consorzi di Comuni, enti rappresentativi cosiddetti di secondo grado i cui vertici avrebbero dovuto essere eletti non dai cittadini ma dagli amministratori degli Enti che li compongono.
Dieci anni dopo le ex Province sono ancora amministrate da commissari regionali, continuano ad avere un costo burocratico pari a circa 400 mila euro annui ma hanno continue difficoltà a trovare risorse per pagare la manutenzione ordinaria di scuole e strade, i servizi per gli alunni con handicap e la quota di cofinanziamento di importanti progetti per lo sviluppo locale assistiti da contribuzione dell’Ue.
La riforma regionale è rimasta monca
Questo è avvenuto perché la riforma regionale è rimasta monca, non intervenendo con un’adeguata riorganizzazione delle competenze e delle risorse assegnate. Occorre inoltre ricordare come una quota consistente delle risorse dipendeva dallo Stato che, con la legge Delrio, aveva ridotto notevolmente le competenze e le risorse delle Province sul resto del territorio nazionale e pertanto si è rifiutato di sostenere gli oneri della riforma siciliana.
Un percorso accidentato che ha quindi portato al caos odierno, con la maggioranza dei partiti che si dice pronta a “riesumare” le Province sia in Sicilia che a livello nazionale, ma che per il momento non riesce ad aggiungere nulla di concreto a parole e buone intenzioni. Il tutto mentre i servizi ai cittadini continuano a lasciare molto a desiderare.
Ignazio Abbate (Dc): “Pronto un nuovo Ddl”
Per cercare di comprendere quale sarà il futuro delle ex Province regionali siciliane abbiamo sentito il presidente della Commissione Affari istituzionali all’Ars – dove è stato messo a punto il Ddl che non ha passato però il vaglio dell’Assemblea – Ignazio Abbate (Dc).
Qual è la vostra idea di riforma degli Enti intermedi?
“La nostra idea di riforma è quella che abbiamo illustrato in campagna elettorale. Non è cambiata di una virgola. La riforma che abbiamo in mente dal primo giorno è quella che possa riportare i cittadini a esercitare un loro diritto fondamentale e inalienabile: ovvero quello di scegliersi i propri rappresentanti. Per cui insistiamo sulle elezioni di primo livello, le uniche in grado di riavvicinare il cittadino all’ente provincia, la cui soppressione ha causato più danni che vantaggi”.
Quali sono secondo lei le basi da cui ripartire? Bisogna buttare via tutto quello che c’era nel Ddl bocciato, oppure si possono salvare alcuni concetti?
“La base da cui ripartire è essenzialmente una: la volontà popolare. Il bisogno della gente di tornare ad avere un Ente intermedio che possa fare da raccordo tra Enti locali e politica regionale. È il bisogno di tornare a viaggiare su strade sicure, con manutenzioni regolari ed efficienti. È il bisogno di tornare a mandare i propri figli in scuole accoglienti dove il diritto allo studio sia accompagnato anche dalla qualità delle strutture. In questi giorni abbiamo ricevuto tanti attestati di solidarietà da parte di cittadini comuni che ci invitano a non mollare, ad andare avanti su questa strada per rimediare a quello scempio voluto dal Governo Crocetta”.
Come si concilia questo stop siciliano con le intenzioni del Governo nazionale, che ha più volte ribadito di voler ripristinare le Province?
“In realtà le posizioni del Governo nazionale e di quello regionale non hanno bisogno di essere conciliate perché sono già sulla stessa lunghezza d’onda. Se è successo quello che è successo nel Parlamento Siciliano non è stata una responsabilità dei partiti di maggioranza, che hanno sempre puntato forte sulla riforma delle Province, quanto di isolati franchi tiratori che avranno avuto le loro motivazioni per votare in questo modo. Per cui la linea del Governo regionale è pienamente congrua a quella del Governo nazionale, tant’è che siamo già pronti a ripresentare il nuovo Ddl opportunamente rivisto e integrato con alcuni emendamenti che sarebbero stati discussi in Aula e che invece, adesso, sono stati direttamente inseriti”.
Stefano Pellegrino (FI): “Abrogare la Delrio”
La maggioranza, dunque, non intente arrendersi e vuole a tutti i costi dare una nuova (o forse sarebbe meglio dire vecchia) forma agli Enti intermedi. Ce lo ha confermato il presidente del gruppo di Forza Italia all’Ars, Stefano Pellegrino, intervistato dal QdS.
Al di là delle ragioni della bocciatura del Ddl, qual è la vostra idea di riforma per il futuro di questi Enti?
“Il programma del presidente della Regione Renato Schifani era quello di reintrodurre e quindi ripristinare le Province. Per gli incidenti noti che si sono verificati in Aula, questo passo in avanti per cercare di ripristinarle, con l’elezione diretta del presidente e dei consiglieri provinciali, purtroppo è andato male, ma per umori non tanto della coalizione di maggioranza, perché la coalizione è assolutamente salda, ma quanto per questioni personali. Adesso il presidente della Regione, con gli incontri bilaterali, ha chiarito quali saranno gli ulteriori passi del Governo e quali le riforme che dovranno essere perseguite e realizzate. Quindi ora attendiamo l’abrogazione della cosiddetta legge Delrio per andare avanti. È ovvio che il problema potrebbe continuare a esistere indipendentemente dalle garanzie che possono dare i partiti, così come avevano fatto prima del voto, perché la riforma è stata bocciata per ragioni personali e, ripeto, non politiche e con l’ausilio del voto segreto. Tra l’altro il voto segreto è un’eccezione rispetto alle altre regioni, che andrebbe abolito, come sosteneva il precedente presidente della Regione Nello Musumeci al pari dell’attuale presidente Schifani. Anche perché permette di trincerarsi dietro il silenzio e l’omertà politica. Il voto segreto per noi rappresenta a questo punto un altro ostacolo da evitare anche con una riforma del regolamento dell’Assemblea”.
Le basi da cui ripartire per questa riforma delle province quali saranno?
“Innanzitutto bisognerà attendere l’abrogazione della Delrio e poi penso che vi sarà un automatico recepimento da parte della Regione della Legge nazionale, visto che l’elezione diretta dei consiglieri provinciali fa parte del programma del Governo Meloni, anche se in questo momento è stata accantonata perché ci sono in pentola molte altre riforme. Sarà ripresa al più presto e sicuramente entro l’anno. Noi cercheremo di evitare ulteriori proroghe dei commissariamenti, anche perché la stessa Corte Costituzionale precedentemente aveva dichiarato illegittime le proroghe che erano state approvate con legge della Regione siciliana, ma in attesa del ripristino delle Province si darà il corso alla naturale elezione indiretta di secondo livello del presidente del Consiglio provinciale, che sarà uno dei sindaci del Libero consorzio, in ragione alla rappresentanza dei vari Consessi comunali e in relazione anche al dato demografico”.
Jose Marano (M5s): “Basta commissariamenti”
Il Quotidiano di Sicilia ha dato voce anche alle opposizioni: Jose Marano ha spiegato alla nostra testata come viene concepita la riforma delle province dal Movimento 5 stelle, anche per comprendere gli orientamenti dei pentastellati sulla possibile riorganizzazione di questi Enti intermedi.
La bocciatura del Ddl portato all’Ars dalla maggioranza è stata un po’ una sorpresa. Può dirci la vostra posizione sul tema della riorganizzazione delle ex Province regionali?
“Innanzitutto, è utile premettere che il M5s non è mai stato contro l’elezione diretta degli organi di governo, perché ha sempre fatto della partecipazione alla vita democratica il suo elemento fondante e si è sempre battuto per ridurre i costi della politica. Restaurare quel tipo di Province sostenute dal Governo regionale avrebbe significato solamente ripristinare un carrozzone che avrebbe complicato la vita dei cittadini anziché semplificarla. La nostra idea parte dalla definizione chiara del ‘chi deve fare cosa’, da una ripartizione delle funzioni tra i vari livelli di governo e successivamente dalla comprensione di quale soggetto può essere idonee a svolgerle. Senza una definizione delle funzioni, senza risorse economiche e senza personale restaurare le Province sarebbe stato funzionale solamente ad alimentare il potere di chi al momento governa”.
In questo quadro, che attualmente appare molto confuso, quali sono quindi le basi da cui ripartire?
“Le basi sono sicuramente da ricercare nella legge Delrio, che non è mai stata completamente attuata, anche a seguito del Referendum del 2016, e il superamento del commissariamento degli Enti intermedi che il Governo perpetua dalla sua precedente riforma. In attesa di una nuova disciplina normativa non possiamo che applicare la legge in vigore. Ridare linfa e risorse alle ex Province per gestire in maniera efficiente le strade di competenze e le scuole superiori dei nostri ragazzi”.
Come si concilia, a suo modo di vedere, questo stop siciliano con le intenzioni del Governo nazionale, che ha più volte ribadito di voler ripristinare le Province?
“Il Governo nazionale naviga a vista e al suo interno le diverse anime presenti non hanno ancora trovato una quadra per ripristinare le Province. Hanno utilizzato i propri cavalli di battaglia come merce di scambio e chissà in quale baratto rientrerà anche la riforma delle Province. L’agenda nazionale ha ben altre priorità che restaurare un Ente che i cittadini percepiscono come inutile e che invece significherebbe nuovi posti per la politica”.