I recenti fatti di cronaca hanno riproposto una situazione denunciata da anni ma mai risolta. Chieste risorse per rafforzare le strutture del territorio, anche in termini di personale
MESSINA – Livelli di assistenza sanitaria inadeguati. Lo denunciano inutilmente da anni gli amministratori delle Isole Eolie, sindacati e cittadini, una situazione rimasta drammaticamente immutata anche dopo l’emergenza Coronavirus, quando sono state messe in campo, a livello regionale e nazionale, ingenti risorse per rafforzare le strutture del territorio più fragili ma di cui l’arcipelago ha poco beneficiato.
La morte della 22enne Lorenza Famularo all’ospedale di Lipari ha riacceso i riflettori e anche la rabbia, finora sopita degli eoliani, che adesso vogliono fatti, non più promesse né passerelle. L’occupazione simbolica dell’ospedale, con un presidio ancora in atto, il blocco per alcune ore della partenza degli aliscafi dopo la morte della giovane, seguita a giorni di sofferenze, ha innescato qualche reazione e adesso si attende l’arrivo sull’isola dell’assessore Ruggero Razza, degli ispettori del Ministero e dei componenti della Commissione Sanità dell’Ars, mentre la procura di Barcellona Pozzo di Gotto ha avviato un’inchiesta e un indagine interna è stata aperta anche dall’Asp.
Si parla per il momento di responsabilità personale dei sanitari e di una malattia polmonare non diagnosticata, un caso forse di malasanità insomma, uno dei tanti ma qui, come ha ribadito in questi giorni il sindaco di Lipari Marco Giorgianni. La protesta nasce anche dalla condizione in cui versa l’assistenza sanitaria, dall’esigenza di fare emergere la reale capacità di risposta del servizio sanitario dell’isola e innescare finalmente dei correttivi. La legge Balduzzi consente delle importanti deroghe per gli ospedali delle zone disagiate, come ha ricordato il deputato Pd Franco De Domenico, il diritto alla salute non può essere compresso da ragioni aziendalistiche legate al numero contenuto di prestazioni potenzialmente erogabili dall’unico ospedale dell’Arcipelago delle Eolie.
Un principio su cui sembrano tutti concordare, all’Ars e nel Governo, ma a cui non sono mai seguite risposte adeguate. Reparti e servizi previsti dell’attuale rete ospedaliera in buona parte non attivati e tra quelli operativi, i settori di Cardiologia, Chirurgia d’urgenza, Ginecologia e Servizi agli anziani, insufficienti a garantire la continuità assistenziale. Questo il quadro che lo stesso De Domenico, componente della Commissione Sanità, ha descritto nella sua nota in cui ha annunciato un’interpellanza all’assessore Razza.
Ma il sindaco Giorgianni da lungo tempo lancia segnalazioni inascoltate, come dimostra uno delle sue ultime dichiarazioni rilasciate alla nostra testata lo scorso aprile. “Sulla salute – ha detto in quell’occasione – non si possono fare tagli né prendere decisioni basate sulle statistiche. L’ospedale di Lipari è assolutamente sottodimensionato rispetto alle esigenze del territorio. Già la pianta organica è carente di alcune professionalità ma in più non è corrispondente all’effettiva presenza delle figure professionali di medici e paramedici previste. Mi dicono all’Asp che i concorsi li hanno fatti e qui non vuole venire nessuno, ma non può essere questa una motivazione accettabile, che si facciano bandi con delle premialità che possano rendere appetibile questa sede disagiata”.
“In questo ospedale – ha aggiunto – sono stati fatti investimenti, la struttura è nuova, grande ma la dotazione di posti letto è ridotta. Se non ha rianimatori, anestesisti per le turnazioni, nessun chirurgo accetterà di entrare in sala operatoria. Le persone sono quindi costrette a spostarsi fuori con un costo del servizio, ma anche sociale. Il 50% degli accessi alle prestazioni sanitarie nelle nostre isole avviene attraverso le guardie mediche e anche quelle devono essere potenziate, non solo d’estate, quando la nostra popolazione da 14 mila abitanti sale a 50 mila. L’ospedale non è adeguato a questi numeri”.
Altra battaglia, quella sul punto nascite. “Non avremo mai il requisito dei 300 parti l’anno – ha detto, sempre al nostro quotidiano, Giorgianni – ma cosa significa? Che le donne che devono partorire si devono rassegnare ai disagi che incontrano nel rimanere fuori casa per settimane?”.