Gli aspetti fiscali legati alla rinuncia all’eredità - QdS

Gli aspetti fiscali legati alla rinuncia all’eredità

Salvatore Forastieri

Gli aspetti fiscali legati alla rinuncia all’eredità

venerdì 07 Luglio 2023

Posizione della Cassazione favorevole al contribuente: “In questo caso non può mai essere destinatario di atti impositivi”. Non può mai essere tacita, serve atto formale

ROMA – Com’è noto, ai sensi degli articoli da 565 a 586 del Codice civile, in caso di morte di una persona (e quindi al momento dell’apertura della successione ex art. 456 Cc), vengono chiamati a succedere (cosiddetti “chiamati all’eredità”) prima i parenti in linea retta ed il coniuge, poi tutti gli altri parenti e collaterali, e, per ultimo, in caso di mancanza di altri possibili eredi, anche lo Stato.

L’eredità, comunque, ai sensi dell’articolo 459 del citato Codice, si acquista solo con l’accettazione la quale, come previsto dal citato articolo, retrocede sempre al momento i cui si è aperta la successione.
L’accettazione può essere “espressa” (quando il chiamato formalizza la sua intenzione in un atto pubblico o in una scrittura privata), ma anche “tacita”, quando il chiamato compie comunque un atto dal quale emerge inequivocabilmente, seppure implicitamente, la sua volontà di accettare l’eredità ed acquisire la qualità di erede della persona deceduta.

Ai sensi dell’articolo 519 del Codice, però, i “chiamati” all’eredità possono rinunciare. La rinuncia all’eredità si prescrive nel termine di dieci anni dalla data di apertura della successione. Tuttavia, ai sensi del successivo articolo 525, fino a quando il termine decennale per accettare non è prescritto, i chiamati che hanno rinunciato possono accettarla (revocando la rinuncia), sempre che la stessa eredità non sia stata già accettata da altri chiamati o acquisita da terzi.

È chiaro che la convenienza di non accettare l’eredità sussiste principalmente quando nell’asse ereditario l’ammontare dei debiti è maggiore dei beni e dei crediti del de cuius, anche quando i debiti hanno natura tributaria. Ed è proprio in questo caso che nasce appunto l’esigenza della rinuncia all’eredità.

Occorre evidenziare che mentre l’accettazione può essere o tacita o formale, una valida rinuncia può essere effettuata esclusivamente con un atto formale, ossia ricevuto da un notaio o dal Cancelliere del Tribunale del circondario in cui è avvenuta l’apertura della successione. La dichiarazione viene inserita nel Registro delle successioni conservato dal Tribunale.

La rinuncia all’eredità, sempre gratuita, senza termini e condizioni, è dunque un atto formale con il quale si dichiara di non voler accettare per qualsiasi motivo il patrimonio lasciato dal defunto. A seguito della rinuncia il chiamato all’eredità resterà completamente estraneo alla successione sia testamentaria che legittima con l’effetto che nessun creditore potrà rivolgersi a lui e aggredire il suo patrimonio per i debiti del de cuius. Evidentemente nemmeno il fisco.
Ma qui nasce il problema.
Capita molto spesso, infatti, che il credito erariale nei confronti del de cuius venga colpito da decadenza o si prescriva prima ancora che il chiamato all’eredità che ha rinunciato abbia la possibilità di revocare la rinuncia (entro 10 anni dall’apertura della successione).
Spesso gli uffici fiscali, in questo caso, a scopo cautelativo, pur conoscendo l’esistenza della rinuncia e gli effetti che quest’ultima comporta, preferiscono notificare, cautelativamente, l’avviso fiscale al presunto erede.

Già i giudici di merito (vedasi CTR Piemonte Sentenza n. 498/3/21 del 23.06.2021), hanno affermato che la parte, destinataria di un avviso di accertamento in qualità di erede, che abbia precedentemente rinunciato espressamente all’eredità, non può essere considerata legittimata a ricevere un accertamento fiscale per carenza di legittimazione passiva, a prescindere dalla circostanza che la rinuncia all’eredità costituisca un atto sempre revocabile fino al decorso del termine di prescrizione.

La Corte di Cassazione, poi, con l’ordinanza n. 21006 del 22 luglio 2021, ha ritenuto di confermare tale principio, nel senso che non può esistere alcun obbligo fiscale per il contribuente che ha rinunciato all’eredità. Nemmeno se risulta fra gli eredi successibili ex lege o addirittura abbia presentato la dichiarazione di successione, un adempimento, quest’ultimo, che ha natura prettamente tributaria per cui non costituisce accettazione dell’eredità.

I Supremi Giudici, infatti, anche sulla scorta anche di quanto già deciso dalla Cassazione nella sentenza n.15871 del 2020, hanno ribadito il principio secondo cui “Il chiamato all’eredità, che abbia ad essa validamente rinunciato, non risponde dei debiti tributari del de cuius, neppure per il periodo intercorrente tra l’apertura della successione e la rinuncia, neanche se risulti tra i successibili ex lege o abbia presentato la dichiarazione di successione (che non costituisce accettazione), in quanto, avendo la rinuncia effetto retroattivo ex articolo 521 c.c., egli è considerato come mai chiamato alla successione e non deve più essere annoverato tra i successibili”.

Gli stessi Giudici della Cassazione, con la citata ordinanza del 2021, nel respingere il ricorso dell’Agenzia delle Entrate (che sosteneva che la rinuncia all’eredità non poteva essergli opposta ai fini fiscali perché non ancora decorso il termine di prescrizione di 10 anni previsto per la revoca della rinuncia stessa) e che aveva conseguentemente notificato al contribuente un avviso di accertamento per il recupero di Ires, Irap e Iva riferito alla società di proprietà del de cuius, hanno affermato il principio secondo il quale l’intervenuta rinuncia all’eredità non era da ritenersi preclusa nemmeno dalla presentazione della dichiarazione di successione, da cui, ad avviso dell’ufficio fiscale, conseguiva la possibilità di considerare lo stesso come erede del titolare dell’attività oggetto di accertamento dell’ufficio.

Si ricordi che l’articolo 65 del Dpr 600/73, citato dagli Ermellini, considera solidalmente responsabili delle obbligazioni tributarie del de cuius solo gli eredi e non i “chiamati all’eredità”. Ed anche l’articolo 35 bis, del Dpr 633/72, in materia di Iva, prevede obblighi solo per gli eredi e non per i chiamati all’eredità.
Per cui il fisco, in mancanza di una norma specifica che sospenda la decadenza o la prescrizione nei casi di ci si discute, alla stregua di qualsiasi creditore, può solo fare ricorso agli strumenti offerti dal codice civile a tutela della relativa posizione, come ad esempio l’impugnazione della rinuncia (art. 524 c.c.), ovvero la richiesta di nomina di un curatore dell’eredità giacente (art. 528 c.c.), al quale validamente notificare l’avviso di accertamento, onde evitare di incorrere nella relativa decadenza per intempestività, così come temuto dall’Amministrazione Finanziaria.

Potrebbe essere percorribile un’altra soluzione, meno complicata di quelle precedentemente dette, prevista dall’articolo 2 quater, comma 1 bis, del Dl 564/94 (Decreto sull’autotutela), ossia la sospensione degli atti riguardanti debiti del de cuius ma notificati (o da notificare) al chiamato all’eredità rinunciante. Una procedura, attuabile dall’AdE anche dopo l’iscrizione a ruolo o la notifica di un atto impoesattivo, la quale, senza incidere troppo nel rapporto con il potenziale erede, evita da un lato il perpetrarsi di possibili comportamenti illeciti dello stesso erede (volti ad acquisire il patrimonio senza pagare i debiti), e dall’altro evita che quest’ultimo venga chiamato ad assolvere ad una pretesa tributaria riguardante un’altra persona (quella deceduta) non con il patrimonio del de cuius ma con il suo.

Altra soluzione potrebbe essere quella del deposito, da parte del contribuente rinunciante, presso l’Agente della Riscossione (Agenzia Entrate Riscossione), l’atto fiscale notificatogli e l’atto di rinuncia all’eredità, anche per essere in grado, nell’eventualità di successivi interventi esecutivi, di impugnarli, anche in sede giudiziaria ordinaria. Un modo, quest’ultimo, di tentare di depotenziare almeno l’attività esecutiva, qualora l’Amministrazione Finanziaria non intenda correre il rischio (depotenziando l’attività di accertamento) di perdere una legittima (quella in capo al de cuius) pretesa tributaria a causa di possibili comportamenti volti ad eludere la norma tributaria acquisendo comunque il patrimonio del soggetto deceduto.

C’è da dire, comunque, che in una questione tanto importante, le norme vigenti e le istruzioni dell’Amministrazione sono molto carenti, mentre la posizione della Cassazione, favorevole al contribuente, potenziale erede, sembra oramai consolidata.

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