Governo privatizza 20 e non 400 miliardi - QdS

Governo privatizza 20 e non 400 miliardi

Carlo Alberto Tregua

Governo privatizza 20 e non 400 miliardi

venerdì 26 Gennaio 2024

Patrimonio immobiliare

Il motto di questo Governo potrebbe essere: “Grande debito, piccola crescita”. Ma, intendiamoci subito, non ne ha responsabilità né del primo né della seconda perché si tratta di un retaggio proveniente dagli anni Novanta e anche antecedente ad essi.

Il grande debito è la conseguenza del continuo allargamento della borsa per la spesa corrente, detta cattiva, perché non produce crescita, ma è servita nei decenni ad acquisire il consenso di quei/quelle cittadini/e ignoranti, i/le quali vogliono tutto oggi, dimenticando figli/e e nipoti.
Cosicché, anno dopo anno, il deficit, cioè la differenza fra le entrate e le uscite, ha creato nuovo debito che è andato a sommarsi a quello antecedente.

La Nadef 2023 prevede che nel 2026 esso toccherà la storica soglia di tremila miliardi, che comporterà una spesa annua di interessi molto vicina ai cento miliardi, oltre il cinque per cento del Pil.

Il ministro Giancarlo Giorgetti è persona accorta; quest’anno ha fatto ogni sforzo per contenere il deficit di bilancio, ma esso comunque supera il limite tassativo dei trattati europei (che è il tre per cento), forse arriverà al cinque per cento, se non vi sarà una manovra correttiva nel prossimo luglio.

Quando l’India viaggerà con una crescita del Pil del sette per cento, la Cina andrà verso il sei per cento, gli Stati Uniti verso il quattro per cento, l’Unione europea – se va tutto bene – si fermerà all’1,3 per cento e, fanalino di coda, l’Italia, con uno striminzito 0,6 per cento, secondo le ultime stime di Banca d’Italia.

Giorgetti così si trova in una morsa: da un canto i famelici ministri, i sindacati e tante altre parti incoscienti del Paese che chiedono nuova spesa corrente (cattiva); dall’altro la necessità di tagliarne una parte non indifferente, in modo da ricondurre il deficit annuale verso la soglia del tre per cento.
Un’impresa titanica che può trovare una soluzione nelle privatizzazioni. Cosicché, Giorgetti intende mettere sul mercato quote delle società controllate dallo Stato, che potrebbero portare all’incasso di qualche miliardo ed altre partecipazioni che forse arrotonderebbero ad una ventina di miliardi i nuovi incassi.

Lo Stato, però, nel suo complesso e ai diversi livelli istituzionali, possiede un patrimonio formato da immobili, terreni ed altro, stimati prima dell’inflazione intorno a quattrocento miliardi e, dopo essa, intorno a cinquecento miliardi. Non si capisce perché non provveda alla vendita di tutto o parte di esso, non già direttamente, bensì attraverso fondi di investimenti che banche italiane ed europee sarebbero disposte a costituire per acquistarne tutti o una parte.

Un incasso di qualche centinaio di miliardi cash, ed in tempi brevi, porterebbe ad un abbattimento del debito di pari importo e, quindi, ad un conseguente abbattimento degli interessi, il che allevierebbe il deficit annuale di bilancio.

Intorno a questa ipotesi c’è silenzio e mistero; nessuno spiega quale ragione vi sia per non procedere in tale direzione chiara, trasparente ed efficace. Vogliamo augurarci che lo stesso ministro Giorgetti voglia dare non tanto a noi quanto all’opinione pubblica, le ragioni di un comportamento poco adeguato.

Gestire l’economia pubblica nel nostro Paese è piuttosto difficile proprio perché governi e maggioranze di tutti i tempi inseguono il consenso giorno per giorno, fatto dai sondaggi, che, per la verità, sono abbastanza vicini alla realtà, perché il metodo della loro contabilizzazione si è via via più affinato.

Ma gli statisti non dovrebbero guardare la situazione attuale, bensì quella futura, predisponendo piani a medio e lungo termine che magari altre maggioranze ed altri governi potrebbero continuare ad attuare.
In un Paese ordinato, educato e civile i piani strategici non devono appartenere a questa o a quella parte politica, bensì agli/alle elettori/trici, a coloro insomma che costituiscono la fonte del potere e a cui debbono essere destinati gli effetti dei provvedimenti via via approvati dai governanti.

“Grande debito, piccola crescita”: ecco un ossimoro che dovrebbe cessare perché si tratta di una contraddizione evidente, ma vera, che tuttavia si può combattere, anzi che si deve combattere in tempi brevi con iniziative efficaci.

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