Una fase terrificante del conflitto israelo-palestinese, che rappresenterà un punto di svolta nella storia mondiale.
Gli attacchi a sorpresa di Hamas a Israele dello scorso sabato hanno sconvolto il mondo intero, preparandolo ad assistere all’ennesima guerra e a una nuova terrificante fase del pluridecennale conflitto israelo-palestinese.
Un conflitto che ha natura territoriale, ma anche identitaria, religiosa, culturale, nonché una radice storica che non si può non ricollegare alle azioni del cosiddetto “Occidente” in Medio Oriente. E ha una dimensione internazionale che rischia di alterare equilibri già precari e fragili: per questo si tratta di un argomento che interessa tutti, comprese terre apparentemente lontane come la Sicilia, sede di una delle basi statunitensi più importanti in Italia (Sigonella).
Lo Shabbat di sangue e i primi giorni di guerra tra Israele e Hamas
Il sabato per gli ebrei di Israele è un giorno di festa. Un momento di pace religiosa, che però lo scorso 7 ottobre si è trasformato in un incubo. Attacchi aerei, ostaggi, fuoco e miliziani palestinesi infiltrati ovunque. Allo shock Israele ha risposto con lo stato di emergenza e con la violenza (d’altra parte, è uno degli Stati più militarizzati al mondo), spostando il centro della guerra sulla Striscia di Gaza. Lì si conta la maggior parte dei morti. I bilanci sono ancora provvisori e stimati, ma si parla di 436 morti palestinesi, tra cui 91 bambini e 61 donne, e più di 900 morti israeliani. Numeri terrificanti. E la guerra tra Israele e Hamas, purtroppo, sembra essere solo all’inizio.
Dopo più di tre giorni di conflitto, i dettagli da chiarire sono ancora molti. Israele sapeva, come si evince da una fonte anonima egiziana citata nelle scorse ore dai media? Possibile che uno Stato super militarizzato possa subire un attacco così massiccio da un gruppo paramilitare? Chi sostiene Hamas, c’è dietro l’Iran? Che fine faranno gli ostaggi?
Un momento spartiacque per la geopolitica del Medio Oriente
La guerra tra Israele e Palestina è una questione ormai pluridecennale, che a ondate più o meno regolari interessa la comunità internazionale e che non ha mai trovato soluzione. L’illusione della pace con gli Accordi di Oslo del 1993 non è durata a lungo e negli anni gli attacchi sanguinosi da una parte o dall’altra non sono mancati.
Nella storia del conflitto, però, il 7 ottobre 2023 rappresenterà probabilmente uno spartiacque. Si tratta del primo attacco di queste dimensioni contro la sovranità di Israele dalla sua istituzione nel 1948. Sorprendente, in parte, anche l’appoggio dell’Iran – massima potenza sciita – ai militanti di Hamas (sunniti), uniti dal comune odio verso Israele e quello che rappresenta nella loro mente dal 1948: l’occupazione e l’oppressione delle popolazioni islamiche.
La paralisi di Gaza
La Striscia di Gaza è in stato di totale paralisi. A pagare, come sempre, sono i civili e non solo quelli israeliani: agli oltre 2 milioni di palestinesi residenti nell’area al centro della guerra, infatti, verranno sospese forniture di elettricità, acqua e gas. Oltre alla paura di morire sotto le bombe, i civili (bambini compresi) dovranno anche abituarsi ancora una volta a una vita di stenti. E, in più, la Palestina – già Stato a riconoscimento limitato – vedrà con ogni probabilità la quasi totalità della comunità globale del cosiddetto Occidente voltare le spalle alla propria popolazione in favore di Israele. Anche se su Israele le opinioni del mondo sono contrastanti: molti Stati ed entità anche relativamente piccole (come la Regione Siciliana) stanno dimostrando solidarietà alla popolazione dello Stato ebraico, ma tanti altri stanno rivolgendo l’attenzione anche alla popolazione civile palestinese, negli anni spesso marginalizzata e costretta a pagare l’estremismo.
I prossimi giorni saranno determinanti per l’evoluzione del conflitto e cambieranno per sempre la storia del Medio Oriente. Lo conferma il commento di Valeria Talbot dell’ISPI MENA Centre, che spiega: “Come sia potuto accadere tutto questo è un interrogativo che riecheggerà ancora a lungo dentro e fuori Israele, mentre nel paese sotto shock si sollevano le critiche nei confronti del primo ministro Netanyahu. Quello che oggi appare chiaro è lo sgretolamento dei presupposti su cui ha fatto leva la politica di marginalizzazione della questione palestinese condotta negli anni dal premier israeliano, dall’invincibilità del sistema di difesa missilistica Iron Dom alla convinzione che Hamas non si sarebbe avventurata in una guerra che potrebbe risultare distruttiva per la stessa organizzazione”.
Foto dell’area soggetta agli attacchi di Hamas di sabato, da Twitter – Idf