Iannì, Grassi e Spinelli: la lezione ancora attuale di coloro che non si arresero alla mafia - QdS

Iannì, Grassi e Spinelli: la lezione ancora attuale di coloro che non si arresero alla mafia

redazione

Iannì, Grassi e Spinelli: la lezione ancora attuale di coloro che non si arresero alla mafia

Roberto Greco  |
martedì 29 Agosto 2023

Negli ultimi giorni di agosto ricorrono gli anniversari dell’uccisione dei tre esercenti “ribelli”: il ricordo dei familiari

Per uno strano scherzo del destino negli ultimi giorni del mese di agosto si ricordano tre imprenditori che, armati solo del proprio coraggio, hanno contrastato la mafia che li ha ritenuti un esempio da non seguire e che, quindi, ha deciso e eseguito la loro condanna a morte. Si tratta di Carmelo Iannì, ucciso il 28 agosto 1980, Libero Grassi, ucciso il 29 agosto 1991, e Vincenzo Spinelli, ucciso il 30 agosto 1982. Tre storie che disegnano la lunga stagione di attività estorsive di Cosa nostra che ancora oggi non si è conclusa. Ognuno di loro vittima non solo di Cosa nostra ma dell’ignavia di una città che spesso, lo dimostra la Storia, ha preferito voltarsi dall’altra parte per non vedere e per non schierarsi. Ognuno di loro ha collaborato con le forze dell’ordine e denunciato pubblicamente la propria distanza dalla consorteria mafiosa. Ognuno di loro lasciato solo di fronte al proprio destino.

Carmelo Iannì

Come nel caso di Camelo Iannì, imprenditore del settore turistico e proprietario dell’albergo “Riva Smeralda”, situato a Villagrazia di Carini. Decise di collaborare con la Polizia permettendo che alcuni agenti si “infiltrassero” nella struttura ricoprendo alcuni ruoli del personale per tenere sotto controllo e arrestare il chimico marsigliese Andreè Bousquet, arrivato in Sicilia a raffinare l’eroina per Cosa Nostra. L’operazione ebbe successo, furono arrestati oltre al Bousquet altri due marsigliesi e il boss Gerlando Alberti ma pochi giorni dopo Iannì pagò con la vita la sua collaborazione con lo Stato. “Era un mese di agosto come tanti altri – racconta al QdS Liliana Iannì, figlia di Carmelo – l’albergo era pieno e noi eravamo tutti impegnati nelle normali attività. Fino al momento dell’arresto, mio padre non aveva mai raccontato a noi quello che stava succedendo ma subito dopo lo vedevamo pensieroso, incupito, lui che era sempre stato una persona cordiale e solare”. Poi arrivano due killers che entrarono nell’albergo e lo uccisero.

“Subito dopo la sua morte ci ritrovammo sole, fummo abbandonate da tutti, compreso lo Stato – continua Liliana -. Dovemmo vendere un appartamento, l’albergo fu chiuso e mamma Giovanna iniziò a lavorare come sarta, portando sulle sue spalle la crescita mia e delle mie sorelle, Roberta e Monica”. Tre donne sole, abbandonate da tutti. Il riconoscimento come “vittima innocente di mafia” arrivò solo dieci anni dopo. “Io penso – prosegue Liliana – che la sua morte e il contributo che mio padre ha dato furono sottovalutati. Solo il 28 agosto 2017 il sindaco di Carini ha posto una targa nel luogo in cui fu ucciso. Due anni dopo, nel 2019, gli fu conferita la medaglia d’oro al Merito Civile alla sua memoria. Questo è rimasto, una medaglia e tanta amarezza oltre al rammarico di non avergli potuto dimostrare le mie capacità, di non aver potuto lavorare al suo fianco”.

Libero Grassi

Libero Grassi, invece, non solo rifiutò di pagare il “pizzo” ma rese pubblica la sua scelta attraverso i giornali e “Samarcanda”, la trasmissione televisiva condotta da Michele Santoro. Libero Grassi rappresentava un altro esempio da non seguire e per questo fu ucciso. “Avevo 34 anni nel 1991 – racconta Davide Grassi, figlio di Libero – e, nei mesi precedenti la sua morte, vivemmo la percezione di un crescente isolamento. Quando papà fece la sua denuncia pubblica riteneva di essere minoritario ma non così solo. Era convinto di poter fare una battaglia comune con gli altri”. Gli amici e gli imprenditori palermitani si allontanano da lui. Il giorno del funerale di Libero, il figlio Davide, che portava la sua bara sulle spalle, alzò il braccio e fece un gesto, aprì le dita la mano per indicare una “V” di vittoria.

“Quel gesto era sia un modo per ringraziare quanti stavano partecipando, sia quello di mettere in evidenza che mio padre e la sua famiglia non aveva ceduto. Le idee di mio padre avevano vinto”. Nel luogo in cui Libero Grassi fu ucciso non c’è nessuna lapide. “Da subito abbiamo deciso che non doveva esserci una lapide. Ogni anno è sostituito quel manifesto che è lì sin dal promo giorno, un modo per ricordarlo in maniera più militante”. Libero Grassi ci ha lasciato un’importante eredità morale, perché pagando con la propria vita la sua scelta ha fatto risvegliare le coscienze sopite di questa città. “Oggi il nostro impegno continua – prosegue Davide – soprattutto quello di mia sorella Alice che conduce la battaglia per la creazione del ‘Parco Libero’ allo Sperone, che speriamo si possa realizzare quanto prima”.

Vincenzo Spinelli

Vincenzo Spinelli era un imprenditore del settore abbigliamento. Vessato prima e vittima di una rapina, ha avuto la forza e il coraggio di riconoscere e denunciarne gli autori, in un tempo in cui era impensabile registrare tali scelte di ribellione, una ribellione che lo portò alla morte. “Era stato oggetto di vessazioni già da tempo – racconta Valeria Spinelli, figlia di Vincenzo – ricordo le gomme dell’auto tagliate, la spaccata delle vetrine del negozio, diversi furti nel negozio e, seppur ragazzine, capivamo che c’era qualcosa che non andava. Nei mesi precedenti la sua morte avevamo la percezione che fosse in pericolo anche se, in famiglia, lui cercava di minimizzare. Anche nell’ultima vacanza che facemmo assieme lui non aveva la sua solita spensieratezza. Arrivarono le telefonate anonime e notammo un’auto, una 112, che ci seguiva, ci pedinava”. Poi, il sangue di Vincenzo macchiò indelebilmente questa città.

“Nei primi mesi dopo la morte di papà ci sembrò di vivere in un incubo. Molti si allontanarono da noi, e anche questo dolore si sommò a quello che già stavamo vivendo. Per anni non raccontammo la sua morte perché eravamo guardate con sospetto. In quel momento la città aveva una doppia faccia, c’era chi con la mafia ci faceva affari regolarmente”. Il primo processo si chiuse nel ’92 ma solo grazie alla determinazione delle figlie Valeria e Tiziana nel 1998 arrivò il riconoscimento come “vittima innocente di mafia”. Nel 2019 il comune di Palermo gli intitolò l’ex via Valderice, il luogo in cui svolgeva la sua attività. “Ci passo spesso in via Vincenzo Spinelli e alzo lo sguardo, verso quella targa – continua Valeria – siamo molto fiere, io e mia sorella Tiziana, della scelta che ha fatto mio padre, perché ha scelto di stare dalla parte giusta”. C’è una cosa, oltre ad essere stati uccisi da Cosa nostra, che accumuna Carmelo, Libero e Vincenzo. Si tratta del fatto che tutti e tre si ritrovarono soli e isolati nella loro scelta. Ognuno di loro è stato un baluardo di legalità in un territorio e in un tempo in cui era forse meglio tacere che non ribellarsi.

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