Voglio confutare quello che viene comunemente definito il “linguaggio politicamente corretto”
Secondo il filosofo Aristotele, il linguaggio è una forma di comunicazione non per natura, ma sulla base di un accordo.
Da qui scaturisce l’idea secondo la quale il linguaggio altro non è se non il frutto di una convenzione, cioè di un accordo all’interno di ciascuna comunità umana, e quindi non sia dato per natura, come sembrava nell’età arcaica, quando la corrispondenza strettissima fra la parola e la realtà enunciata assumeva una valenza legata ad aspetti che potevano essere religiosi o addirittura politici.
Per Democrito, greco e filosofo anch’egli, invece, si è passati dall’emissione di suoni confusi ed inarticolati ad una loro progressiva articolazione, quindi alla formazione delle parole, sia pure in maniera diversa nei vari insediamenti umani, ma sempre sulla base di una reciproca intesa riguardante il significato attribuito ai singoli vocaboli.
Per i due pensatori ellenici, fra il nome e la cosa alla quale si riferisce non vi è alcun necessario rapporto, in quanto il termine è un simbolo convenzionale di quella cosa alla quale si riferisce.
Insomma, per loro, i vari termini sono i simboli convenzionali di quella cosa che è stata concordata, attraverso la casuale evoluzione di un accordo, che dunque può essere diverso in base al luogo ed al tempo in cui si realizza.
Ho voluto fare questa lunga premessa per poter agevolmente confutare quello che viene comunemente definito il “linguaggio politicamente corretto”, vale a dire quel modo di esprimersi secondo il quale si eviterebbe di “offendere” l’interlocutore o la categoria umana alla quale ci si intende riferire. L’espressione ha origini angloamericane “politically correct” e, secondo i suoi originari assertori, designa, appunto, un orientamento ideologico e culturale di estremo rispetto formale verso tutti, nel quale cioè si evita ogni potenziale offesa nei confronti determinate categorie di persone.
Personalmente mi sono sempre battuto contro un esasperato ricorso a questo modo di esprimersi, anzi, non ho avuto nessuna difficoltà a considerarlo ipocrita. In realtà è anche peggio, poiché nasconde in maniera subdola il tentativo di pensare che basti modificare un determinato termine per aver modificato i termini di un determinato problema, magari allontanandolo da noi o riducendone l’entità.
A parte il voluto gioco di parole, proverò a fare qualche esempio. Sostituire la parola “negro” con la parola “nero”, infatti, potrebbe far credere che il problema dell’integrazione sociale delle persone di colore risieda nel linguaggio e sia stata bella e fatta, mentre purtroppo non è pur nulla così.
La stessa cosa può accadere con la parola “razza”, la quale, anche se sostituita con la parola “etnia”, non risolve di certo il conflitto tra ebrei e musulmani, o tra cinesi e tibetani, anche se, ai benpensanti che usano il linguaggio “politicamente corretto” potrebbe dare la sensazione di aver fatto il proprio dovere.
E vogliamo parlare di parole come cieco o sordo? Sostituirle con le più edulcorate “non vedente” o non “udente”, non aumenta affatto la possibilità di queste persone di sentirsi perfettamente integrate nella società in cui vivono o di trovare un lavoro adeguato. Infine, ma solo perché lo spazio è inclemente, esiste il problema dell’effetto dell’uso del linguaggio “politicamente corretto” nell’organizzazione sociale.
Chi usa questa forma di comunicazione, infatti, è tendenzialmente considerato educato e perbene, dunque, “in regola con la società dei benpensanti”, chi non la usa viene irrimediabilmente emarginato, anche se non vuole affatto offendere nessuno, men che meno un onesto netturbino se non lo chiama operatore ecologico.
Un’ultimissima considerazione non può non riguardare i rapporti interpersonali. Anni ed anni di “politicamente corretto” ha falsato i rapporti tra persone, ha deformato gli elementi essenziali della realtà, ha reso permalose le persone e le ha autorizzate a sentirsi offese per qualsiasi parola fosse loro sgradita o per qualsiasi concetto che non fosse in linea con l’ipocrita linguaggio che lo esprime.