Una volta le dimissioni arrivavano per cause giudiziarie, oggi perché mancano i piccioli.
Una volta le dimissioni arrivavano per cause giudiziarie, oggi perché mancano i piccioli. Sarà questa la motivazione che ci condurrà probabilmente ad una fine anticipata della legislatura regionale. Ma andiamo con ordine.
Musumeci tuona contro il suo nemico pubblico principale, Gianfranco Miccichè, ed il suo Armageddon è quello solito. Dimissioni, dimissioni, dimissioni subito! Tutti a casa, pelandroni e amici, in un diluvio che non salva nemmeno gli animali innocenti, nemmeno quelli di Ambelia. In questo Vinitaly la Sicilia del vino era arrivata con le migliori intenzioni, ma non di viti si è parlato ma di mietitura. Sfottò, allusioni, sgarbi e battute al vetriolo che hanno falciato il centrodestra.
Follow the money diceva Falcone, e guardando al bilancio depositato in giunta si capisce meglio questa ultima minaccia musumeciana. Di fatto un pezzo di carta da Roma, scripta manent, per aiutare i conti disastrati dell’isola non è arrivato, e quindi verba volant. Il bilancio verrà praticamente congelato da agosto in avanti, non essendoci copertura per tutte le spese non obbligatorie. Lasciando al palo forestali e precari degli Enti locali, decine di categorie e fornitori che gravitano sul bilancio della Regione.
Si può mai fare campagna elettorale in quel clima dopo l’estate? E qui entra in ballo la possibile exit strategy. Il voto ai primi di Luglio. Con l’opportunità ultronea di cogliere di sorpresa gli antimusumeciani, che non hanno ancora un candidato ed un perimetro definito. Di fatto la Sicilia partirebbe con almeno tre coalizioni ai blocchi di partenza più un temibile outsider, Cateno De Luca. Ottimo scenario per un ballottaggio se, al contrario delle altre regioni, ci fosse una soluzione del genere nella legge elettorale regionale. Ma non c’è, vince chi ha un voto in più, rischiando di affidare l’isola ad una risibile minoranza, se consideriamo i risultati disastrosi di affluenza. Un 14/15% dei siciliani aventi diritto potrebbero essere i vincenti e l’85% i perdenti. Se non è follia questa.
In questo clima di guerra internazionale e locale la Sicilia cerca di capire il suo destino. Ogni giorno è una stazione di una Via Crucis che sta flagellando pazienze e volontà di partecipare ad un voto che sembra un palliativo democratico.
Così è se vi pare.