Numeri che preoccupano in un’Isola dove già il lavoro stenta, adesso anche i contratti a tempo calano.
Il mondo del lavoro stenta in Sicilia a trovare una propria strada per uscire dalle sabbie mobili che lo trascinano ogni anno più giù. Se il contratto a tempo indeterminato diventa sempre più un miraggio, anche i contratti a tempo che vanno dall’apprendistato all’intermittente, per arrivare allo stagionale, iniziano a perdere quota.
Nel primo trimestre 2023, secondo i dati forniti dall’Inps, in Sicilia sono andati persi circa 400 contratti per tutte le tipologie, escluse il tempo indeterminato, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Una inversione di tendenza rispetto al passato che preoccupa non poco, se si considera che per il tempo indeterminato la perdita sale a oltre 4mila posti di lavoro.
Lavoro in Sicilia, in perdita quasi tutti i tipi di contratto
Diminuiscono le assunzioni in quasi tutte le categorie, e in particolare i cosiddetti contratti a somministrazione, che scendono, in soli tre mesi, di quasi 1.200 unità. Unica categoria in crescita, quella dei lavoratori stagionali, che aumentano di circa 1.500 unità, molto probabilmente a causa della destagionalizzazione del turismo, che anche nei mesi invernali sta cominciando a trovare uno slancio nuovo.
In totale, in Sicilia, nel primo trimestre dell’anno in corso sono stati stipulati oltre 63mila contratti a termine, 3.500 assunzioni in apprendistato, 8.400 assunzioni stagionali, 3.900 assunzioni in somministrazione e 2.600 contratti intermittenti, per un totale di circa 103mila contratti di lavoro. A questi si aggiungono circa 22mila assunzioni a tempo indeterminato.
Anche nel resto d’Italia si riducono le assunzioni a termine
A livello nazionale, i numeri si muovono in maniera un po’ diversa rispetto al quadro regionale siciliano. Rispetto al 2022, i primi mesi del 2023 segnano una flessione delle assunzioni in somministrazione (-9%), a tempo indeterminato (-5%) e di apprendistato (-4%); per gli altri contratti si registra un aumento: tempo determinato +2%, lavoro intermittente +4%, stagionali +5%.
Positivo il bilancio delle trasformazioni da tempo determinato a indeterminato, che, rispetto allo stesso periodo del 2022, nel 2023 sono aumentate del 10%. Anche le cessazioni sono diminuite rispetto all’anno precedente, con una percentuale del -3%. Concorrono a questo risultato i contratti a tempo indeterminato (-9%), i contratti in apprendistato (-6%), i contratti in somministrazione (-8%). In aumentano risultano le cessazioni di contratti a tempo determinato (+1%), contratti stagionali (+3%) e di lavoro intermittente (+5%). Anche le conferme di rapporti di apprendistato giunti alla conclusione del periodo formativo risultano in costante flessione (-19%), riflettendo ovviamente la contrazione delle assunzioni registrata nel 2020. Nulla sembrano potere le agevolazioni ai rapporti di lavoro: le attivazioni che ne hanno goduto presentano una variazione negativa pari al -11% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, in particolare se si tratta di giovani e donne.
Contratti diversi, ma essere precari è comune
I dati raccolti dall’Inps si riferiscono da una parte ai lavoratori dipendenti del settore privato, esclusi i lavoratori domestici e gli operai agricoli. Dall’altra sono considerati come collettivi separati sia i lavoratori a chiamata, i cosiddetti lavoratori intermittenti, sia i lavoratori somministrati, cioè coloro che vengono chiamati dalle imprese attraverso delle agenzie autorizzate iscritte all’albo informatico tenuto dall’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (Anpal). Ci sono poi i lavoratori stagionali, che si svolgono in determinati periodi dell’anno e per precise “occasioni”, che esplicano la propria opera principalmente nel turismo e nell’agricoltura; per finire con l’apprendistato, un contratto che va da un minimo di sei mesi ad un massimo di tre anni, pensato per il conseguimento delle competenze necessarie a svolgere un determinato mestiere.
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