Secondo la teoria dell’evoluzione di Charles Darwin (1809-1882) l’uomo riuscì ad acquisire l’uso dei suoni, ma ai suoni non corrispondeva la parola, che intervenne in un momento successivo.
Cosicché, pian piano i suoni si consolidarono in termini che assumevano significati – anche in base al tono usato – e le persone umane cominciarono a dialogare.
Ogni raggruppamento aveva un suo linguaggio, che non corrispondeva al linguaggio di altri raggruppamenti.
L’evoluzione nei secoli ha portato via via a razionalizzare non solo i suoni, ma anche la composizione delle parole in frasi e poi vi fu chi cominciò a scrivere le regole delle stesse e quindi a formulare grammatiche e sintassi, nonché ortografie.
Noi abbiamo testimonianze di scritture risalenti a 5500 anni fa in lingue diverse, tradotte via via in altre, cosicché oggi facciamo fatica, per esempio, a sapere se ciò che è scritto nella Bibbia in italiano ha qualche corrispondenza con lo stesso significato originario in aramaico.
Dopo questo breve cenno storico veniamo alla funzione odierna del linguaggio, il quale non è solo verbale perché si comunica con i gesti, con il corpo, con l’inflessione e perfino con i silenzi, non ultimo con le canzoni. Ricordiamo ‘La voce del silenzio’, una famosa musica scritta da Paolo Limiti.
Comunicare è istintivo? Sicuramente, ma non sempre ciò che diciamo corrisponde a ciò che vorremmo dire, per cui spesso si verificano differenze di significato fra la formulazione del pensiero ed il pensiero stesso.
Quando comunichiamo, dovremmo avere la capacità di elaborare il senso di ciò che vogliamo dire ed usare le parole che esprimano compiutamente tale senso. Invece noi sovente procediamo in modo disordinato, con un risultato poco edificante e con la conseguenza che il nostro o i nostri interlocutori capiscono male, o non capiscono, il senso.
Sono famosi i dialoghi delle commedie di Feydeau, pieni di equivoci e di doppi sensi, esilaranti proprio perché basati sulla non comprensione o sulla falsa comprensione delle parole che i protagonisti si scambiavano.
Vi sono moltissimi libri basati sugli equivoci, scritti con parole conosciute o parole nuove, come i neologismi o addirittura parole con nuovi significati non comuni.
Ricordiamo due scrittori che hanno creato decine di romanzi con protagonisti che si sono ripetuti negli stessi, nei quali il linguaggio era pieno di parole non comuni, nuove o miscelate fra esse. Uno di essi è stato Frédéric Dard (1921-2000), inventore del famoso commissario San Antonio; in tempi recenti ricordiamo Andrea Camilleri (1925-2019) che, nei suoi più famosi romanzi del commissario Montalbano, ha di fatto inventato un nuovo linguaggio, il ‘camilleriano’.
Dunque, ognuno di noi si dovrebbe porre il problema di come comunicare i propri pensieri dopo averli ordinati, in modo da farsi comprendere. Per cui dovrebbe, in primo luogo, sapere cosa vuol trasmettere, interessare l’interlocutore, coinvolgerlo nell’esposizione ed infine ottenerne riscontro in modo che il confronto diventi efficace fra le parti.
Più difficile è comunicare in pubblico perché non vi è un’interlocuzione diretta, bensì la trasmissione di un messaggio a persone che in quel momento non corrispondono. E allora bisogna avere alcune accortezze perché il messaggio passi e venga recepito.
In primo luogo, essere convinti di ciò che si dice, possibilmente la verità e non la menzogna; in secondo luogo, ordinare il proprio pensiero con una sequenza logica; in terzo luogo, fare una comunicazione possibilmente completa ed esaustiva, facile da comprendersi; in quarto luogo, occorre parlare con disinvoltura, come se si parlasse ad amici; in quinto luogo, tentare di colpire i sentimenti degli interlocutori, cioé il cuore oltre che l’intelletto; ed infine, usare parole chiave che, molto condensate, esprimono interi concetti.
Tutto ciò è facile? No di certo, però si può fare se c’è allenamento, voglia, se si studia e ci si prepara a comunicare bene al prossimo. Qualcuno obietterà: tutto questo è complicato. Sì, ma perché, la vita non è complicata?