Mafia, il maxi-blitz e le ombre che non vanno via - QdS

Mafia, il maxi-blitz e le ombre che non vanno via

simone olivelli

Mafia, il maxi-blitz e le ombre che non vanno via

Simone Olivelli  |
venerdì 26 Luglio 2024

A due giorni dall’operazione che ha portato all’arresto di una ventina di persone, è già partito il toto reggente di Cosa nostra a Catania. Perché è necessario tenere sempre alta l’attenzione

CATANIA – Morto un Papa, se ne fa un altro. A due giorni dal blitz antimafia Ombra, che a Catania ha portato all’arresto di oltre una ventina di persone, chiedersi chi sarà il prossimo reggente di Cosa nostra nel capoluogo etneo viene spontaneo. Un po’ per la tendenza collettiva di andare alla ricerca del capo – così come accaduto in maniera eclatante all’indomani della morte di Matteo Messina Denaro – figlia di epoche in cui la mafia era la piovra capace di ramificarsi dappertutto partendo da un unico centro direzionale; un po’ perché l’inchiesta della Dda etnea ha colpito la famiglia Santapaola-Ercolano, l’unica con i Mazzei ad avere storicamente contatti con Cosa nostra palermitana; e infine perché tra coloro che sono finiti in carcere c’è Francesco Russo, 51enne ritenuto dagli inquirenti l’attuale guida della cosca in provincia.

A ricorrere all’immagine del conclave, con i boss al posto dei cardinali ad attendere la fumata bianca, sono stati peraltro gli stessi affiliati. “’È il prossimo Papa. Lo vogliono fare, lui camminava con Ciccio, capito?”, ragionavano l’8 ottobre 2022 tre esponenti dei Santapaola-Ercolano, facendo riferimento a Russo e alla sua vicinanza a Ciccio Napoli, reggente fino a dieci giorni prima quando era stato arrestato nel blitz Sangue Blu, omaggio al legame diretto – seppur lontano – alla famiglia Santapaola. Calendario alla mano, Russo avrebbe avuto il timone della cosca per meno di due anni, prima di finire anche lui in carcere. Da qui l’esigenza, per certi aspetti più mediatici che strettamente investigativi, di individuare colui che riceverà adesso il testimone e sarà il protagonista della nuova resurrezione della fenice mafiosa.

Qual è lo stato di salute, oggi, della criminalità organizzata a Catania?

Allontanandosi però dai ragionamenti che si rivelano spesso più utili alle fiction, ci si imbatte in una domanda che dovrebbe interessare maggiormente la collettività: qual è lo stato di salute, oggi, della criminalità organizzata a Catania? Il quesito è tutt’altro che di facile soluzione. O meglio, c’è il rischio di scivolare in letture parziali. In attesa di scoprire quali saranno gli indirizzi che il neo-procuratore di Catania Francesco Curcio darà agli uffici di piazza Verga – quello di mercoledì è stato il primo blitz antimafia dall’ufficializzazione della nomina di Curcio da parte del Csm, dopo mesi di tensioni e polemiche, ma è chiaramente frutto di attività investigative precedenti – si può ragionare su ciò che è successo negli ultimi anni. Un periodo in cui, con frequenze diverse, la criminalità organizzata etnea è stata colpita in maniera diffusa nei business che le sono tradizionalmente cari: droga, estorsioni, usura. Senza dimenticare gli interventi per regolare dissidi e facezie del quotidiano, dinamiche in cui la mafia più che guadagnarci economicamente difende la propria autorevolezza, l’immagine di soggetto capace di sostituirsi allo Stato.

Di esempi se ne trovano anche nell’inchiesta Ombra: c’è, per esempio, un piccolo imprenditore che chiede di essere affiliato ai Santapaola-Ercolano, per difendersi da angherie e soprusi e dando in cambio la propria totale disponibilità agli affari della cosca. “Io sono una persona che mi faccio tagliare pezzi pezzi”, assicura nel tentativo di convincere chi dovrebbe selezionarlo. In un altro caso, a chiedere l’intervento degli uomini del clan è una donna. A loro chiede di riprendere l’imprenditore che dovrebbe realizzarle l’abitazione, ma che da un po’ di tempo sembra trascurare l’impegno con il rischio di sforare i tempi concordati. Per l’imprenditore inizia un periodo stressante, si ritrova ad affrontare telefonate via via sempre più intimidatorie in cui chi parla dall’altro capo della cornetta si presenta sempre come un cugino della proprietaria. “A me tutti questi cugini non mi piacciono”, sbotta un giorno la vittima, facendo capire di essere pronto a denunciare le minacce ma al contempo accelerando nel cantiere.

La mafia, tuttavia, è anche altro. Lo hanno insegnato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, le cui memorie anche quest’anno sono state omaggiate tra cerimonie istituzionali e polemiche, ma lo dicono anche le cronache giudiziarie che a diverse latitudini, comprese quelle siciliane, mostrano come la criminalità organizzata, oggi come ieri, necessiti di avere interlocutori a livelli diversi. Più alti. Politica, apparati istituzionali, imprenditoria sono attori che, anche negli ultimi anni e pure in provincia di Catania, hanno trovato spazio nelle inchieste sulla mafia.

E in un momento storico in cui città girano e gireranno fiumi di soldi – basti pensare agli investimenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza – sarebbe fondamentale orientare l’attenzione collettiva, dalle procure agli organi di stampa fino all’associazionismo, nel tentativo di cogliere quali appetiti scateneranno i progetti che hanno tutte le potenzialità per rilanciare il futuro di quella che un tempo era la Milano del Sud e che invece da molti anni bazzica i bassifondi delle classifiche sulla vivibilità. Altrimenti il rischio che si corre è quello di trasformare la lotta alla mafia in una fiction di secondo ordine, andando alla ricerca di nuovi “Papa” da incoronare in attesa della loro caduta e salutare come successi di alto profilo – come accaduto nei giorni scorsi in occasione di un evento in memoria di Paolo Borsellino – i Daspo ai parcheggiatori abusivi.

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