I due soggetti avevano il compito di trasformare in droga quella che più o meno si sarebbe potuta chiamare immondizia
Un casolare di campagna trasformato in laboratorio in cui lasciare lavorare due uomini, venuti dall’estero con il compito di trasformare in droga quella che più o meno si sarebbe potuta chiamare immondizia. Tra le oltre duecento pagine di ordinanza di custodia cautelare che ha dato il là al blitz eseguito giovedì dalla polizia ad Adrano, trova spazio anche una storia che sembra uscita dalla sceneggiatura di una delle tante fiction che raccontano il mondo del narcotraffico.
L’ambientazione è nell’est della Sicilia. I protagonisti sono invece il 53enne olandese Johannes Hendrikus Keiman e il figlio di 23 anni Johannes Hendrikus Junior. I loro nomi compaiono nella lunga lista di indagati per cui la procura di Catania aveva chiesto l’arresto, ma nel loro caso – così come in molti altri – il gip non ha disposto la misura cautelare. Su un fatto non sembrano però esserci dubbi: qualche anno fa, i Keiman sono arrivati in Sicilia per occuparsi della preparazione di ingenti quantitativi di marijuana del tipo amnesia.
Foglie e acido
I due olandesi sono accusati, insieme ad altre 48 persone, di traffico di sostanze stupefacenti con l’aggravante di avere agito a stretto contatto e per favorire gli interessi del gruppo criminale che ad Adrano rappresenta il clan Mazzei, altrimenti conosciuti come Carcagnusi.
Le figure dei Keiman compaiono per la prima volta nei radar degli investigatori a giugno del 2021, quando viene intercettata una conversazione tra Giuseppe Viaggio, 41enne conosciuto come ‘u puffu e arrestato con l’accusa di far parte del clan Mazzei, e Carmela Scalisi, 39enne indagata. “I due – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini preliminari Stefano Montoneri – discutevano del fatto di dover affittare un immobile fuori Adrano dove ospitare tre uomini che non potevano essere visti insieme a loro e agli altri indagati”.
Le indagini di lì a poco fanno luce su chi siano i soggetti a cui bisognava trovare una sistemazione: Johannes Henrikus Keiman e il figlio vanno a vivere in un’abitazione tra le campagne di Lentini, in contrada San Giovanni Arcimusa. “All’interno dell’abitazione è stato realizzato un laboratorio per la trasformazione della marijuana in amnèsia”, scrive il gip. La droga che viene lavorata dai Keiman sarebbe stata di qualità molto scadente. A confermarlo sono le analisi effettuate sullo stupefacente sequestrato a luglio dello stesso anno a un uomo, trovato in possesso di oltre sette chilogrammi di droga che sarebbe uscita dal laboratorio di Lentini. “Un miscuglio micidiale di sostanze, venduto a pochissimo prezzo come derivato della marijuana, quando in realtà contiene foglie essiccate di marijuana di scarsa qualità, trattate con solventi vari compresi acidi delle batterie esauste delle auto, sulle quali viene spruzzato metadone ed eroina”, è la descrizione che viene fatta nell’ordinanza.
La figura di Cri
Durante le indagini, gli investigatori hanno monitorato i Keiman e quanti in momenti diversi sono andati a trovarli. Tutti risultano essere vicini al gruppo dei Mazzei che ad Adrano avrebbe avuto il proprio leader in Cristian Lo Cicero, 38enne conosciuto come Cri. Dalle carte dell’inchiesta la figura di Lo Cicero emerge come quella di un soggetto interessato a farsi largo all’interno della criminalità organizzata, anche in un territorio, come quello adranita, dove la presenza di altre cosche – i Santangelo e gli Scalisi – è rafforzata dai legami storici con le famiglie Santapaola-Ercolano e Laudani.
Nonostante ciò, Lo Cicero sarebbe stato intenzionato a mettere le mani sullo spaccio di droga. Un attivismo che avrebbe spinto qualcuno tra i rivali ad allearsi con il gruppo avversario e ipotizzare ritorsioni violente sull’esponente dei Mazzei. Antonino Bulla, arrestato con l’accusa di far parte del clan Santangelo, ne parla in una conversazione davanti alla propria abitazione. “Sottolineava come Lo Cicero fosse un soggetto privo di alleati e legami familiari solidi, ad eccezione di un individuo noto come u panitteri – si legge nell’ordinanza – Dichiarava, inoltre, la sua intenzione di mobilitare sia i Santangelo sia gli Scalisi per contrastare Lo Cicero, considerandolo una minaccia alla gestione comune delle attività criminali ad Adrano”.
L’esigenza di mettere un freno all’avanza di Lo Cicero sarebbe stato al centro anche di discussioni tenutesi a Catania e ad Acireale, con esponenti di rilievo dei Santapaola e dei Laudani. Dal canto suo il 38enne sarebbe stato convinto dei propri mezzi: “Lo Cicero – ha ricostruito il gip – esprimeva apertamente la sua appartenenza a Cosa Nostra (il clan Mazzei è l’unico a Catania ad avere, oltre ai Santapaola-Ercolano, legami con Cosa nostra palermitana, ndr), dichiarando la sua discendenza dal clan Mazzei e minacciando apertamente di intraprendere una guerra di mafia, se fosse stato necessario, affermando di essere pronto a ricorrere alla violenza con l’utilizzo di motociclette e armi”.