Massimo Stano, atleta delle Fiamme Oro, ha riportato in Italia il primato nella marcia facendo sognare i tanti estimatori della disciplina.
Con il tempo di
1h21’05”, Massimo Stano ha vinto la medaglia d’oro nella 20km di
marcia alle Olimpiadi di Tokyo. È una medaglia storica perché è la terza
volta per l’Italia in questa disciplina e arriva 41 anni dopo quella di Maurizio
Damilano a Mosca 1980 e 17 anni dopo quella di Ivano Brugnetti
ad Atene 2004.
Massimo Stano, atleta
delle Fiamme Oro, ha riportato in Italia il primato nella marcia facendo
sognare i tanti estimatori della disciplina e facendosi da subito apprezzare
per l’esultanza esuberante una volta arrivato al traguardo e per la dedica
speciale alla figlia Sophie nata da pochi mesi.
Tornato in Italia, Stano
ha dedicato tempo alla famiglia ma è anche ritornato a gareggiare. È reduce
dalla XXXIV edizione del Meeting internazionale “Città di Padova” di atletica
leggera, svoltasi domenica scorsa. Al pari di altri atleti, nelle scorse ore
l’atleta delle Fiamme Oro ha presenziato alla Mostra internazionale d’arte
cinematografica di Venezia, sfilando sul red carpet insieme alla sua famiglia.
È passato un mese dalla
medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo. Il terzo nella storia italiana della
marcia. Come ci si sente ad essere entrato nella storia?
Io ho quasi realizzato il
tutto, ma non ancora perchè è un risultato così grande che è difficile da capire.
Mi sembra ancora quasi di essere in un sogno. In questo momento non so dare una
vera e propria risposta. Penso che avrò bisogno di molto più tempo per capire
l’impresa che ho fatto.
Lei e la marcia: come ha
iniziato?
A dieci anni facevo
atletica, quindi un po’ tutte le specialità. A 13 anni, nel mio paesino in
Puglia, il mio primo allenatore Giovanni Zaccheo mi ha indirizzato sulla marcia
e ha visto subito che avevo dei buoni risultati e mi ha aiutato ad intraprendere
questa strada.
Quali sono le
caratteristiche che più la appassionano della marcia?
Rispetto alla corsa, la
marcia è uguale dal punto di vista della fatica ma differenzia per il gesto
tecnico che, ad un certo punto, nella fatica diventa difficile da mantenere. Ed
è proprio questo che mi appassiona.
Prima delle Olimpiadi di
Tokyo, non è filato tutto liscio. Mi riferisco sia alla frattura alla tibia
sinistra sia alla pandemia. Come ha gestito entrambe?
Per quanto riguarda la
pandemia, come primo impatto, è stato un muro veramente duro da prendere.
Ragionandoci su, mi sono detto che avrei avuto un anno in più per lavorare e
arrivare alle Olimpiadi più in forma che mai.
In inverno, invece, ho
avuto problemi con la tibia sinistra. Abbiamo gestito l’infortunio come al
solito. Abbiamo fatto allenamenti alternativi ma non mi sono demoralizzato
perchè avevamo tempo per recuperarlo.
Cosa ha giocato un ruolo
decisivo nella gara?
Sicuramente, io mi trovo
bene in quelle condizioni di caldo – umido. Credo di aver fatto un buon lavoro
mentale, cercando di auto convincermi di essere il più forte al mondo, anche se
statisticamente non era vero, ma dovevo compensare in qualche modo al problema
fisico che avevo avuto.
In qualche modo adesso è
diventato il più forte al mondo?
(Nda ride) Prima lo
dicevo soltanto…adesso, se lo dico, nessuno mi riderebbe in faccia. Adesso è
vero.
Quali sono le sue
definizioni di tenacia, fatica e pazienza?
La tenacia è importante
perchè bisogna fissare bene l’obiettivo e cercare di raggiungerlo, anche se ci
si frappongono tra me e l’obiettivo delle problematiche.
La fatica stranamente mi
diverte perchè so che il risultato arriverà e ti ricompenserà di tutto quello
che hai fatto in allenamento.
La pazienza serve per la
tattica di gara. Prima di avere un po’ di esperienze di gare, volevo subito
partire e andare davanti, mentre la pazienza è fondamentale per capire quando è
il momento giusto per attaccare.
È atleta della Fiamme
Oro: è un valore aggiunto?
Il Gruppo sportivo è
importante perchè ad una certa età ti consente di fare l’atletica come lavoro e
quindi di dedicare al cento per cento le mie energie fisiche e mentali alla mia
disciplina. Sin da piccolo, ho una fotografia nella macchina della polizia,
quindi era destino che dovessi entrare in Polizia.
È padre da qualche mese
della piccola Sophie, come vive la paternità? Le piacerebbe se anche sua figlia
scegliesse il suo stesso percorso?
Sophie è stata la mia
forza perchè io avevo inizialmente paura di fare un figlio nell’anno olimpico.
Magari mi poteva rubare un po’ di ore di sonno. Invece non è stato così: lei è
una bambina fantastica e sono riuscito tranquillamente a dormire e a recuperare
gli allenamenti.
Ciò che dico scherzando è
che l’unico divieto che le do è di non fare marcia. Per il resto, può fare
tutto (nda sorride).
Quali sono le sue passioni?
Amo il Giappone. Ho
iniziato a studiare la lingua giapponese e la cultura. Nel frattempo, sono
diventato padre e cerco di stare con mia figlia e di fare altro.
Progetti futuri?
Per il 2022 avremo a marzo
i campionati mondiali a squadra di marcia, a luglio i Campionati mondiali e ad agosto i
campionati europei. Questi sono gli obiettivi a breve termine. Poi ovviamente
si guarda sempre a Parigi 2024. L’obiettivo di un atleta è sempre il
quadriennio olimpico. In questo caso il triennio.
Sandy Sciuto