Disagio giovanile a Messina “Servono scuole per genitori” - QdS

Disagio giovanile a Messina “Servono scuole per genitori”

Lina Bruno

Disagio giovanile a Messina “Servono scuole per genitori”

venerdì 23 Aprile 2021

Intervista del QdS al sociologo e docente di UniMe, Francesco Pira: “Preoccupante aumento di casi di autolesionismo e tentativi di suicidio. Occorre che i ragazzi siano messi al centro dell’interesse

MESSINA – “Una generazione fragile, che ha bisogno di conferme, che ha un rapporto imprescindibile con le nuove tecnologie ma che non può rinunciare a una continuità tra reale e virtuale con i propri pari. Degli adolescenti e preadolescenti iperattivi, che dividevano il loro tempo tra scuola, attività sportive ed artistiche e la rete, ma che con la pandemia si sono visti chiusi in casa, costretti davanti alle tecnologie”. Dichiarano di passare più di sette ore davanti al Pc, oltre l’impegno scolastico, ma “è una presenza che va regolata” alla luce degli effetti devastanti che si stanno registrando. Ne parla al QdS il sociologo Francesco Pira, professore associato di Sociologia dei processi culturali e comunicativi presso il Dipartimento di Civiltà antiche e moderne dell’Università degli Studi di Messina, delegato alla Comunicazione dell’Ateneo e coordinatore didattico del master in Social media manager.

Pira è saggista, giornalista, autore di numerose pubblicazioni e da circa un anno presidente dell’Osservatorio Nazionale delle Fake News di Confassociazioni. Nell’ultima ricerca effettuata, i cui risultati sono contenuti nel libro “Figli delle App”, ha intervistato un campione di 1.885 ragazzi e ragazze delle scuole medie inferiori e superiori. Da qui viene fuori una dipendenza dalle nuove tecnologie ma anche una sorta di paura. “Non solo dalla mia ricerca – spiega – ma dal rapporto Unicef e dai rilievi dei medici del Bambin Gesù viene evidenziato che nel 2020 sono aumentati del 30% i casi di autolesionismo e tentativi di suicidio. Un dato preoccupante se pensiamo che anche in Sicilia abbiamo casi di vittime di challenge, come la ragazzina di Vittoria che si è impiccata”.

I genitori sono impreparati di fronte a questa presenza fortissima delle tecnologie, non conoscono Tik Tok, ormai fenomeno dilagante tra i giovanissimi, non sanno utilizzare gli strumenti di controllo. “Servono – dice Pira – delle vere scuole per genitori, cose che in altri Paesi sono state fatte. E poi serve che i ragazzi siano al centro dell’interesse generale”.

Insomma, una priorità nell’agenda politica. C’è una legge sul Cyberbullismo, una legge sul Revenge porn ma non ci sono quei processi educativi a sostegno. “Oggi – sottolinea il sociologo – i giovani intervistati dicono di avere paura del cyberbullismo, del revenge porn, il body shaming sembra lo sport del momento. Ci vuole un impegno serio, costante sull’educazione ai sentimenti e l’educazione all’uso consapevole delle nuove tecnologie, ma ci vogliono educatori preparati”.

Altro aspetto rilevato dal professor Pira è l’alta percentuale di giovani che ammette di avere un profilo falso: è il 67% dei 544 ragazzi che hanno risposto, sul campione di 1.858 intervistati. “Significa – spiega – che hanno da una parte un profilo ufficiale, per essere quello che gli altri vogliono, adeguandosi a un modello. Dall’altra c’è l’opacità dell’anonimato che consente di fare cose che non riescono a fare con il profilo vero”.

Una pratica, questa, diffusa anche tra gli adulti. “Il profilo falso – conferma – serve a fare disinformazione. C’è un’industria della disinformazione che sta facendo affari d’oro perché si muove su tre settori fondamentali: politica, economia e scienza. C’è chi lucra sulle fake news, che condiziona scelte”.

Le notizie false hanno attecchito nel clima di confusione e disorientamento che la pandemia ha creato. Neppure i vaccini sono sfuggiti all’ondata di disinformazione. “Quando andiamo in rete – evidenzia Pira – non cerchiamo la verità dimostrata di qualcosa, ma la conferma di una nostra idea precostituita. Da una parte si crea una perdita di autorevolezza degli esperti, dall’altra una situazione complessa: il 65% delle persone che condividono notizie false non le cancellano neppure a una attività di debunking”.

L’Osservatorio nazionale sulle fake news è una struttura che cerca di interrogarsi su come il mondo della comunicazione sta affrontando il fenomeno. “Stiamo preparando un report – conclude il docente dell’Università di Messina – che nei prossimi mesi sarà pubblicato. È un problema culturale globale, là dove si è tentato di fare provvedimenti per arginare, non c’è stata soluzione”.

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