Nel report “Amministratori sotto tiro” redatto da Avviso pubblico una fotografia del difficile rapporto istituzioni-cittadini. Il commento di Mario Emanuele Alvano, segretario generale dell’Associazione dei Comuni dell’Isola
PALERMO – La Sicilia negli ultimi quattordici anni è stata la regione più colpita dagli atti intimidatori, di minaccia e violenza agli amministratori locali. A tal proposito, abbiamo sentito Mario Emanuele Alvano, segretario generale di Anci Sicilia, l’associazione che riunisce i Comuni dell’Isola.
Il fenomeno delle intimidazioni e degli atti di violenza nei confronti degli amministratori locali è in calo negli ultimi anni, anche se continua a essere persistente, soprattutto nel Meridione. Voi, come Anci, come affrontate la questione?
“Come associazione non affrontiamo questo fenomeno direttamente, perché lo affrontano gli amministratori locali, ma abbiamo più volte posto l’attenzione sul tema in diverse occasioni, con tavoli in Prefettura o in altri contesti in cui si è affrontato l’argomento. Quando un fenomeno è così diffuso, evidentemente ci sono numerose cause che lo determinano. Io però credo che esse si debbano a una sovraesposizione dei sindaci rispetto ai cittadini, soprattutto nei nostri territori, dove culturalmente si tende a fare identificare l’intera Amministrazione comunale nella figura del sindaco. Questa è una cosa che probabilmente in altri territori c’è meno e dove si sa che per determinate questioni bisogna confrontarsi con gli uffici, con quelli che sono i funzionari e i dirigenti preposti. L’eccessiva sovraesposizione evidentemente spesso determina anche un’eccessiva aspettativa rispetto a quello che il sindaco può o non può fare da solo”.
Sono quindi il ruolo e la posizione a essere complesse?
“Le responsabilità dei sindaci e degli amministratori locali sono significative, sono già sovraccarichi e quindi vanno tutelati in tutti modi, perché non esistono altre figure istituzionali che possono essere comparate dal punto di vista delle aspettative e della pressione da parte dei cittadini, sia da quelli che hanno approcci civili che quelli che utilizzano metodi e modalità che sono suscettibili di essere perseguiti penalmente”.
Da cosa deriva questa pressione?
“I sindaci spesso si trovano nella loro azione quotidiana a dover spiegare direttamente, senza intermediazione da parte di funzionari e dirigenti o altre figure, come funzionano le regole e che le regole vanno rispettate, che se è stata richiesta un’autorizzazione, a quella autorizzazione deve seguire una prassi rispettosa delle regole, lo stesso per un permesso. Ci sono le norme generali e i regolamenti comunali che vanno rispettati. Questa operazione viene spesso fatta dal sindaco in prima persona, soprattutto nella realtà piccole e medie, mentre nelle grandi realtà questo compito è distribuito tra varie figure. Se si pensa agli assessori ai Servizi sociali, questi sono tradizionalmente sovraesposti per la delicatezza del ruolo e dei servizi erogati”.
Non c’è solo la criminalità organizzata, che comunque ha un ruolo rilevante. Sempre più spesso è il cittadino comune a minacciare e a essere protagonista di atti di violenza…
“Dai numeri non c’è una sostanziale novità quest’anno. C’è un fenomeno abbastanza stabile nella sua gravità. Le ripeto, una spiegazione parziale è legata al ruolo che indirettamente il sindaco e gli amministratori locali rivestono, che chiamerei di educazione alla legalità nei confronti della popolazione. L’idea cioè che i diritti si possano esercitare all’interno di regole e non come favori. Questo può essere probabilmente legato a un retaggio in cui l’aspetto personalistico nel passato era maggiore, soprattutto quando non c’era la divisione che c’è ora tra la politica e la parte amministrativa. Una volta era maggiore la responsabilità diretta negli atti amministrativi, oggi sappiamo che è minore ma non è così scontato che il cittadino comune abbia questa consapevolezza. Quindi tutto dipende dal rapporto tra cittadino e legalità, rapporto che è sicuramente differente nelle varie regioni di Italia. Si tratta di un difetto culturale che sappiamo in certi territori si respira maggiormente. Questo ruolo non lo vuole nessuno e l’unico che è costretto a esercitarlo è l’amministratore locale”.
E nel Sud minacce e intimidazioni sono la metà del Paese
Sono stati 315 gli atti intimidatori, di minaccia e violenza contro gli amministratori locali censiti da Avviso pubblico, l’associazione di Enti locali e Regioni contro mafie e corruzioni. Nel corso del 2023 in Italia si è comunque registrata una flessione del 3,5% rispetto al 2022. Si tratta del dato più basso dal 2011, che conferma il trend di flessione iniziato cinque anni fa. Ma che non deve in ogni caso fare abbassare la guardia.
I numeri del rapporto “Amministratori sotto tiro” parlano in ogni caso di un progressivo calo dei casi censiti e dei Comuni coinvolti, sebbene con un leggero aumento nelle regioni del Centro-Nord, mentre restano sostanzialmente intatte le caratteristiche generali del fenomeno: più del 50% degli episodi si verifica al Sud e nelle isole e le regioni che occupano le prime posizioni sono sempre le stesse.
Per la prima volta dal 2016, però, è la Calabria a occupare il primo posto con 51 casi registrati, il 21% in più rispetto all’anno precedente. Seguono la Campania (39, -20%), la Sicilia (35, -30%) e la Puglia (32, – 33%). Più staccate invece la Toscana (20), il territorio più colpito al Centro-Nord, la Sardegna (20), la Lombardia (19), il Veneto (19), il Piemonte (17), l’Emilia Romagna (17), il Lazio (11), l’Abruzzo (7), la Liguria (5), l’Umbria (5), il Trentino Alto Adige (4), il Molise (4), la Basilicata (4), il Friuli Venezia e Giulia (3) e le Marche (3).
Anche la maggioranza delle province più colpite si colloca al Sud e nelle isole. Apre la classifica Cosenza, che con 30 episodi censiti strappa il primato a Napoli, ferma al secondo posto con 21 casi. Seguono poi Palermo con 12, Torino, Foggia e Reggio Calabria con 9, Bari con 8, BAT, la provincia di Barletta Andria Trani, con 8, Catania con 8 e Bologna con 7. Il dato più sconcertante è che proprio il 60% degli episodi rilevati nel Mezzogiorno durante il 2023 si è consumato nella provincia di Cosenza, area che da sola fa quindi impennare i numeri e che primeggia anche per numero di segnalazioni di operazioni sospette. A tal proposito, la Direzione investigativa antimafia ha sottolineato come le ‘ndrine locali abbiano ampliato le capacità di penetrazione ambientale nel tessuto socio-economico cosentino.
Focalizzandoci sulla Sicilia, la provincia più colpita è, come accennato, quella di Palermo con 12 atti intimidatori, di minaccia e violenza registrati nel 2023, seguita da Catania (8), Agrigento (7), Trapani (3), Siracusa (2), Messina (2) e Ragusa (1). Se guardiamo invece ai dati aggregati dal 2010, anno del primo rapporto di Avviso pubblico sul tema, a oggi, l’isola è la prima regione di Italia per numero di episodi registrati, 862, contro gli 801 della Calabria e i 794 della Campania, e la seconda per numero di Comuni coinvolti (208, il 53% del totale dei presenti sul territorio regionale) dietro la Campania e davanti alla Calabria. Palermo è inoltre la quarta provincia più colpita a livello nazionale, mentre Agrigento si posizione al sesto posto. Ancora una volta si nota come le quattro regioni (Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) in cui sono nate le cosiddette mafie storiche registrino oltre il 50% degli episodi nazionali, 3.110 casi dal 2010 al 2023.
Per la prima volta in 14 anni le minacce verbali e le telefonate minatorie risultano essere la tipologia di minaccia più utilizzata a livello nazionale (17% dei casi), seguita da incendi (15%, in leggero calo), lettere, biglietti e messaggi minatori (14,5%) e l’utilizzo dei social network (13%, in aumento). Per quanto riguarda invece i contesti territoriali, si conferma una sostanziale differenza già presente negli anni precedenti: gli amministratori locali del Mezzogiorno devono fronteggiare intimidazioni e minacce veicolate in modalità molto diverse rispetto a quelle dei colleghi del Centro-Nord: gli incendi sono, ancora una volta, la prima tipologia di minaccia al Sud e nelle isole (un caso su quattro) e non sono fra le cinque tipologie più riscontrate nel Centro-Nord. Allo stesso modo, scritte offensive e social network, che assieme rappresentano circa il 40% dei casi censiti al Centro-Nord, al Sud e nelle isole non si collocano invece fra le prime cinque tipologie più utilizzate.