No a processi mediatici, pubblicare le sentenze - QdS

No a processi mediatici, pubblicare le sentenze

Carlo Alberto Tregua

No a processi mediatici, pubblicare le sentenze

martedì 11 Luglio 2023

L’informazione sui fatti

In questi giorni è esplosa la polemica fra Governo e giudici d’accusa per le informazioni di garanzia inviate alla ministra del Turismo, Daniela Garnero Santanché, e al sottosegretario alla Giustizia, Andrea Delmastro Delle Vedove.
Nel primo caso, non vi sono sentenze o ordinanze, ma solo la comunicazione alla Santanché, che è indagata per una serie di presunti delitti. Nel secondo caso, invece, la Procura aveva chiesto l’archiviazione, ma il Giudice per le indagini preliminari, Emanuela Attura, ha disposto l’imputazione coatta, il che significa che ha ritenuto necessario approfondire le indagini nell’intento di scoprire eventuali reati o delitti.
L’opinione pubblica dovrebbe essere informata da tutti i mezzi di comunicazione su ciò che accade nella fase in cui il Giudice per le indagini preliminari, quello che valuta l’eventuale rinvio a processo e, dopo, il Giudice di primo grado e il Giudice di secondo e terzo grado, emettono ordinanze o sentenze.

Vi è infatti la necessità che l’informazione sia obiettiva, completa e molto vicina alla verità. Quest’ultima non può essere appurata nella fase indagatoria, ma solo un Giudice che ha a disposizione anche le memorie difensive può tentare di emettere un’ordinanza o sentenza obiettive.
Sono proprio le ordinanze e le sentenze che vanno pubblicate, mai gli atti di parte, quali sono quelli degli indagatori, ovvero dei Pubblici ministeri, perché non bilanciati dalle tesi dei difensori.
Nel nostro Paese, fin dai tempi di Mani Pulite (1994), è invalso l’uso di pubblicare qualunque atto compiuto dagli indagatori (Pm e Polizia giudiziaria), con il risultato che molti/e cittadini/e sono stati/e processati/e e condannati/e mediaticamente, mente poi dopo anni e anni di pene sono stati/e assolti/e con formula piena.

Nel nostro sistema giudiziario non è previsto che i Pubblici ministeri siano vagliati, ai fini della qualità del loro lavoro, in base alle sentenze irrevocabili di secondo o di terzo livello, perché quando un certo numero di processi si dissolve nel nulla durante il percorso, viene dimostrata la fatuità delle indagini, la loro inutilità e conseguentemente il dispendio di cospicue risorse dei/delle cittadini/e occorrenti per intercettazioni, indagini e processi.

La materia in rassegna oggi è molto delicata, perché si bilanciano due questioni importanti in una Comunità. Da un canto, la necessità che i/le veri/e colpevoli siano puniti/e e scontino la loro pene senza indugio e tentennamenti. Dall’altra parte, è altrettanto indispensabile che le accuse siano ben provate, in modo che si eviti, come è spesso accaduto nel passato, di indagare, imputare e condannare cittadini/e che poi trovano soddisfazioni negli alti gradi di giudizio, risultando totalmente innocenti.
La bagarre è in corso fra Governo e Pm, ma in essa non c’entrano i giudici giudicanti, i quali valutano le prove addotte, le tesi e le prove difensive, e solo in base a esse emettono la sentenza, che dovrebbe essere obiettiva.
La sentenza, come è noto, dovrebbe condannare l’imputato/a al di là di ogni ragionevole dubbio oppure, quando non si verifica questa circostanza, assolverlo/a e rimandarlo/a a casa nelle condizioni antecedenti al processo. Ma nelle more, il danno mediatico si è compiuto.

È vero che la sentenza n. 205 del 15 settembre 2022 della Corte Costituzionale ha sancito il diritto al risarcimento del danno anche per fatti al di fuori dell’indebita detenzione, ma è anche vero che per potere essere risarciti dei danni alla reputazione, all’onore, alla dignità e anche quelli materiali, possono passare dai cinque ai dieci anni e nel frattempo il condannato/a ingiustamente può anche morire, gratificando così i propri eredi.
Di fronte alle iniziative dei Pubblici ministeri nei confronti di Santanché e Delmastro, il Governo ha preso una posizione dura e ha minacciato di approvare una legge per la separazione delle carriere fra magistrati requirenti e magistrati giudicanti. Le leggi non si fanno per reazione, ma perché sono giuste ed eque, per cui la valutazione etica deve andare nella logica dell’obiettività e non del rancore.
Attendiamo gli sviluppi della vicenda, di cui vi daremo conto successivamente.

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