Siamo un continente in mezzo al Mediterraneo, una specie di Oceania in scala, siamo biodiversi ed etnosovrapposti. Siamo un melting pot di culture e paradigmi della Storia
La Sicilia non è intanto un’isola geograficamente, ma un arcipelago fatto da 15 isole maggiori, compresa l’isola Grande, tra Pelagie, Pantelleria, Egadi e Eolie, Ustica, e da altre isole minori come Lampione, l’isola delle Femmine vicino Palermo, l’isola del Mal di ventre o l’isola delle Correnti alla punta di Porto Palo.
E poi c’era la fantomatica e magmatica isola Ferdinandea, apparsa e poi scomparsa nei secoli addietro al largo della terra di Pirandello. Ma poi all’interno dell’isola grande ci sono una marea di contrade che sono isole nell’isola, dai Gallo-Italici di San Fratello ai Mamertini di Galati, dall’ecosistema del versante nord dell’Etna agli anglo-marsalesi, alla Casba araba di Mazara. Di esempi di questo genere, mondi a parte con proprie culture tradizioni e addirittura linguaggi la Sicilia è piena.
La Sicilia non è un’isola è un continente fatto da millenni in cui tutto qua è successo. La Sicilia è un motore di ricerca culturale, tutto e tutti sono passati da qui e qui hanno lasciato tracce, imperi e mercanti, correnti architettoniche e culturali.
È il Bignami dell’Occidente, e l’arca dell’alleanza del Mare Nostrum. Per questo è difficile e complesso capirci ed identificarci. Chi viene a darci un’etichetta o una sintesi si perde come nel labirinto del giardino del Castello di Donnafugata.
Approfondire e narrare le sue identità differenti, le diverse prospettive che uno sguardo sfuggente non coglie, è un’Opera Omnia. Vogliamo parlare di Bellezza di cui siamo esageratamente circondati e di Bruttezza che produciamo? Anche la Bruttezza ha un suo canone estetico sosteneva Rosenkranz, ma non sempre è così naturalmente.
Vogliamo parlare dell’isola che c’è? che si riscopre, che muta perché siamo più connessi di quanto pensiamo all’evoluzione. Possiamo parlare anche dell’isola che non c’è, a cui aspiriamo ma facciamo fatica ad immaginare e a vedere, ed all’isola che se n’è andata via, per curiosità o necessità, e che ci guarda con rimpianto, amarezza o rimorso.
Inoltre possiamo raccontare di come ci vedono gli altri, gli estranei, simpatizzanti o antipatizzanti, perché il loro punto di vista ci serve per non guardarci pigramente il nostro ombelico dei luoghi comuni.
Parlare della Sicilia è parlare di Noi, del Nostro Archipelagos. Per recuperare identità in un mondo globale. Perché se non riusciamo ad essere glocal verremmo annegati nel global. Ed un arcipelago con millenni di Storia non se lo può permettere, nemmeno per scherzo. La Sicilia è in fondo quello che siamo, isolani ma non isolati.
Siamo un continente in mezzo al Mediterraneo, una specie di Oceania in scala, siamo biodiversi ed etnosovrapposti. Siamo un melting pot di culture e paradigmi della Storia. Se la Grecia è la culla dell’Occidente noi ne siamo il peripatetico ateneo. Ed è per tutto questo che la politica italiana non ci capisce, si arrende a trattarci per stereotipi, troppo complicati per approfondire una complessità quasi da Buco Nero.
Così è se vi pare
Giovanni Pizzo