Dipendenti pubblici basta smart working - QdS

Dipendenti pubblici basta smart working

Carlo Alberto Tregua

Dipendenti pubblici basta smart working

sabato 13 Giugno 2020

Questa epidemia è stata una pacchia per i dipendenti pubblici. Con la scusa dello smart working, a casa quattro quinti di essi, ma senza compiti da svolgere in base ad una programmazione che dovrebbe sempre esserci nella Pubblica amministrazione e dei cui risultati dovrebbero rispondere i dirigenti di vario livello.
In Sicilia è addirittura scoppiato lo scandalo di 1600 dipendenti Regionali cui è stato consentito di rimanere a casa in “esenzione di lavoro”. Il che significa che sono stati mesi senza lavorare pur ricevendo regolarmente lo stipendio. La pacchia non è ancora finita perché non risulta che essi siano ritornati al lavoro.
A parte i sopradetti dipendenti, la Regione ha consentito di far restare a casa forse altri dieci mila dipendenti e dirigenti con la conseguenza che la scassata macchina pubblica, già fortemente deficitaria, ha finito col fermarsi del tutto.
Un disastro sul disastro, di cui tante persone hanno approfittato, non vergognandosi del danno creato a cittadini e imprese.

Ora è urgente che tutti i dipendenti pubblici, non solo regionali e comunali, tornino dietro le loro scrivanie e ricomincino il loro tran tran, che non è certo efficiente, ma almeno qualcosa produce.
L’attività di dirigenti e dipendenti pubblici non è misurata da alcun indice di produttività, cosicché è del tutto indifferente se alcuni di essi raggiungano risultati buoni e, in qualche caso, eccellenti ed altri invece non raggiungano alcun risultato.
Com’è noto, la produttività è soggetta ad alcuni indici e dati: in primo luogo, sono fissati gli obiettivi da raggiungere; in secondo luogo, vengono determinati i tempi per raggiungere tali obiettivi. Il rapporto fra obiettivi e tempi di conseguimento dei risultati delinea una qualche produttività.
Poi vi è la fase dei controlli, essenziale per confrontare i risultati con gli obiettivi e determinare quanta parte di questi ultimi sia stata realizzata e si sia concretizzata.
Ma, ci chiediamo da decenni, l’attuale sistema pubblico nazionale e locale è attrezzato per seguire questa metodologia utilizzata in tante parti del mondo, ma non nel nostro Paese? A noi non sembra.
La produttività di dirigenti e dipendenti pubblici dovrebbe essere presa a base della remunerazione fissa ed anche variabile sotto forma di premi. Quest’ultimi, invece, vengono erogati a pioggia e a tutti, senza tener conto dei risultati.
È ovvio che i sindacati, che rappresentano il pubblico impiego, tendano al livellamento verso il basso, non vogliono inserire alcune variabili di merito e si rifiutano fermamente di consentire graduatorie fra chi è più bravo e chi è meno bravo.
Si capisce la posizione di codesto sindacato: siccome la maggior parte dei loro associati non gradisce l’attività produttiva, ecco che tale mentalità si riflette nei rappresentanti.
Tutto ciò accade perché la classe politica è debole, inefficiente ed incapace di perseguire l’interesse generale. I ministri della Pubblica amministrazione, che hanno sempre promesso di fare riforme, non solo non le hanno fatte, ma qualcuna di essa ha riformato la forma ma non la sostanza, cioè non ha inserito i valori di merito e responsabilità.

A seguito dell’epidemia virale, il Paese ha bisogno più che mai di una Pubblica amministrazione efficiente: quattro milioni di cittadini (compresi i dipendenti delle partecipate) che possono costituire la spina dorsale della ripresa oppure che la possano affossare definitivamente.
La responsabilità di questo andazzo disastroso della Cosa pubblica non è solo dei pubblici dirigenti e dipendenti, ma, come abbiamo più volte scritto, dipende da leggi, decreti e procedimenti che sono basati sul sistema autorizzativo, anziché sulla libertà di fare tutte le attività, tranne quelle espressamente vietate dalla legge.
La riforma della Pubblica amministrazione dovrebbe basarsi su elementi semplici, per cui le istanze di cittadini e imprese per ottenere provvedimenti amministrativi, dovrebbero essere correlate di autocertificazioni, ai sensi del Dpr 445/2000, consentendo alla Pa di negare eventualmente il provvedimento entro 30 giorni, oppure esso si intenderebbe automaticamente approvato.
Basta attese di mesi o di anni. Non sono più accettabili.

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