L’obiettivo dei quattro presidenti è superare un passato clientelare e improduttivo, ma servono programmazione e investimenti
La forza qui viene dal mare, dall’arte e dalla storia, ma viene anche dalla terra. Catene montuose e vallate racchiudono quel grande patrimonio che è la biodiversità, capace di assicurare, se ne avremo cura, un futuro al pianeta. E allora perché non lavorare anche su questo attrattore per creare sviluppo, per costruire destinazioni turistiche in sintonia con gli equilibri e i ritmi che la natura scandisce.
Un obiettivo che fino a oggi è stato quasi snobbato, ma che ora sembra possibile per l’aria nuova che spira sulle governance dei quattro Parchi regionali della Sicilia: Nebrodi, Etna, Madonie e Fluviale dell’Alacantara. Ecosistemi unici nelle loro peculiarità.
Molte cose sono cambiate dalla Legge regionale 98/1981 che ne gettava le basi e nel frattempo è nato (2014) ed è stato abolito (2019) un altro Parco, previsto dal Piano del 1991, quello dei Monti Sicani. In prospettiva c’è il sogno dei Parchi nazionali, cui guardano anche le nostre isole minori, mentre l’iter istitutivo del Parco nazionale degli Iblei è iniziato nel 2007 ma chiuderlo sembra cosa complicata.
I quattro presidenti degli Enti nominati dal Governo Musumeci, dopo lunghi e deleteri commissariamenti, vogliono progettare, promuovere, dare una svolta, ma i limiti con cui hanno a che fare sono imposti da norme superate, da una realtà gestionale soggetta a continui cambiamenti.
Il vento nuovo è quello che porta Domenico Barbuzza, Carlo Caputo, Angelo Merlino e Renato Fichera a lavorare insieme scambiandosi idee e buone pratiche. “Il 19 e 20 ottobre – sottolinea Barbuzza – saremo insieme a Capo d’Orlando alla Borsa del turismo extralberghiero con due stand”.
È il vento che porta i Comuni a non vedere più nell’Ente Parco un limite ma una risorsa. Non è un caso se cinque Amministrazioni locali, come evidenziato da Merlino, vogliono entrare a far parte del Parco delle Madonie.
Non bisogna però, come sottolineato da Caputo, accelerare troppo su attività e presenze, perché il rischio è la perdita del valore ambientale, come si teme per il Parco dell’Etna, che va veloce, spesso senza controllo.
Volontà ed entusiasmo devono fare i conti con le emergenze e il budget limitato. Allora bisogna progettare per intercettare finanziamenti. La domanda, però, è: con quale personale? Il paradosso è che i dipendenti ci sono ma con le qualifiche sbagliate. La politica qui ci ha messo lo zampino facendo assunzioni clientelari senza considerare la necessità degli Enti. Arrivavano facilmente anche le risorse, tanto che ci fu un anno, al Parco dei Nebrodi, in cui si pensò di comprare un elicottero. L’idea venne scartata solo perché non c’era nessuno che sapeva pilotarlo. Poi c’è la parcellizzazione delle competenze a limitare la funzione di tutela. Ed ecco la proposta che viene da Caputo: unificare i poteri in un’unica Autority.
Sui Nebrodi una struttura amministrativa con una cronica carenza di professionalità
Barbuzza: per intercettare i nuovi bandi servirà un supporto dalla Regione
Il Parco dei Nebrodi, istituito nel 1993, con i suoi circa 86 mila ettari di superficie, è il più grande tra quelli siciliani e il quinto in Italia. Comprende 24 Comuni, ricadenti per buona parte nella provincia di Messina (poi Enna e Caltanissetta). Domenico Barbuzza è stato nominato presidente a maggio del 2020
Quali criticità deve affrontare?
“Riguardano la struttura amministrativa e il personale. Il Parco ha 107 dipendenti, ha un suo Corpo di vigilanza, ma ho carenza di geometri, architetti, ingegneri, contabili. Per fortuna sono commercialista. Nell’Ufficio tecnico ho due geometri e un agronomo. Ora si apriranno vari bandi e dovrò vedere se dall’assessorato mi manderanno personale. Ho dovuto dare anche una sfoltita al parco automezzi. Ho ridotto il disavanzo e tagliato i costi telefonici, ma non posso toccare i dipendenti, quindi cerco in altro modo di ridurre le spese. La Regione ci deve un milione duecentomila euro per un mancato trasferimento del 2019 e abbiamo fatto causa all’assessorato Territorio e Ambiente. Sembra paradossale, ma sono stato nominato per fare gli interessi del Parco. Gestiamo ogni anno circa cinque milioni di euro, buona parte per gli stipendi. Nel 2009 avevano tre milioni di euro per la gestione, io ne ho trecentomila”.
In un anno e mezzo dal suo insediamento cosa è cambiato?
“Si è creata una squadra. Mi confronto con tutti i sindaci, c’è uno scambio proficuo con gli altri presidenti e l’assessore Cordaro, che ci sta mostrando maggiore attenzione. Il Parco dei Nebrodi ha una potenzialità impressionante, perché si trova in un punto strategico, e stiamo lavorando per valorizzare il binomio Parco-Isole Eolie”.
Su quali attrattori puntate?
“Puntiamo sul turismo, anche quello religioso. Abbiamo fatto con il Comune di Capizzi la camminata di San Giacomo, che tocca diversi paesi tra le Madonie e i Nebrodi, con un percorso di 163 km cui hanno preso parte cinquecento pellegrini. San Marco D’Alunzio ha 56 chiese e Mistretta altre 25: puntiamo sui nostri beni, la gastronomia, con il suino nero e la provola Dop. Abbiamo a Ucria la Banca vivente del germoplasma, che si occupa della difesa e della conservazione di semi di specie in pericolo di estinzione”.
Quali sono le vostre entrate?
“Quando finiranno la dorsale dei Nebrodi, unico esempio d’ingegneria naturalistica in Sicilia, introdurrò un ticket. È una strada di 78 km che collega Tortorici a Floresta. Negli anni c’è stato un abbandono totale delle aree attrezzate e quindi prima di fare pagare dobbiamo mettere a posto gli spazi. C’è un progetto per le aree interne per seicentomila euro e metteremo a disposizione più servizi, comprese le bici elettriche. Abbiamo avuto un finanziamento per la Banca del germoplasma, uno per la Strada dei mulini e altri in itinere. In un anno parliamo di circa sei milioni di euro”.
Quali sono le vostre strategie per la promozione?
“Siamo inclusivi: raccolgo idee e proposte a costo zero. Durante il Giro di Sicilia ho fatto a mie spese magliette e cappellini per ricordare l’evento con il logo del Parco. Raccogliamo input anche fuori dai 24 Comuni. Non voglio adesioni, ma se mi chiamano significa che anche il Parco porta un valore aggiunto. Una società di Roma vuole fare un progetto acquistando case diroccate a prezzo di mercato per ristrutturarle utilizzando maestranze del luogo e venderle ad acquirenti stranieri. Stiamo stipulando un protocollo di intesa con l’Università di Messina per l’apertura della Facoltà di Agraria e c’è in itinere un accordo con Fiumara d’Arte”.
Madonie, grandi difficoltà nelle fasi di progettazione, ora servono competenze
Il Parco delle Madonie, istituito nel 1989, è situato sul versante Nordoccidentale della Sicilia con montagne di 1.700 metri che fino a 220 milioni di anni fa erano fondali marini. Geopark riconosciuto dall’Unesco, vi ricadono 67 geositi e comprende 15 Comuni, tutti della provincia di Palermo. Presidente dell’Ente, da maggio 2020, è Angelo Merlino.
Che genere di criticità state fronteggiando?
“Quelle maggiori sono legate al numero spropositato di cinghiali e daini, che stanno provocando seri problemi naturalistici ed economici. Il Paco, per legge, è erogatore degli indennizzi dei danni causati dalla fauna selvatica. Con i cinghiali avevamo già un piano di gestione approvato e operativo, ma non attuato. Dopo un anno siamo arrivati all’approvazione e al finanziamento con la prima quota di duecentomila euro che ci permetterà di partire con le attività. Per i cinghiali abbiamo interdetto le aree con 114 capi abbattuti. Durante il fermo amministrativo abbiamo formato cento selecontrollori. Anche i daini sono in numero spropositato, poiché manca il predatore naturale, il lupo. Nella prima fase stiamo cercando di monitorare con la cattura e sterilizzazione, ma potremmo essere costretti ad abbattere”.
Il vostro bilancio rende agevole la gestione?
“Quest’anno la Regione ha incrementato le risorse, ma non siamo ancora a livelli ottimali. Per la gestione ci sono 230 mila euro oltre gli stipendi per i 68 dipendenti. Ho difficoltà con la progettazione, per intercettare risorse extrabilancio. Anch’io mi cimento per portare avanti dei risultati, visto che negli uffici ho poco personale con le giuste competenze, ma servono aggiornamenti. Non possiamo neppure dare incarichi esterni, perché mancano le risorse. Siamo comunque in una fase nuova in cui i Parchi devono essere visti non come Enti che impongono vincoli, ma che possano creare sviluppo. Ci sono altri cinque Comuni che a breve saranno inseriti e questo dimostra un’inversione di tendenza rispetto al passato. Prima facevano le barricate per non fare parte del Parco”.
Come si fa a creare sviluppo?
“Sto lavorando per incrementare le attività di merchandising, anche istituendo dei sentieri a pagamento per avere così risorse da investire nei servizi e quindi creare circoli virtuosi di sviluppo e fare lavorare persone del luogo. Abbiamo tanti attrattori. Siamo Geopark internazionale riconosciuto dall’Unesco, abbiamo una storia geologica lunga 220 milioni di anni. Abbiamo coralli fossili e tante altre testimonianze di quando le Madonie erano fondale marino, testimonianze a cui sono interessate anche le Università straniere, dalla Corea agli Stati Uniti. Qui ci sono gli ultimi trenta esemplari di un abete siciliano (abies nebrodensis, nda) che è un relitto dell’era glaciale e si trova soltanto nel vallone Madonna degli angeli e Polizzi Generosa”.
Quali strategie di promozione state pianificando?
“Puntiamo alle collaborazioni con realtà nazionali e internazionali per fare conoscere il nostro Parco. Siamo capofila di un progetto del Programma Erasmus in una rete che comprende scuole geopark di Portogallo, Turchia, Croazia, Polonia, Ungheria e Università della Calabria, che ci permetterà di fare fruire i geositi in maniera virtuale, premessa alle visite reali che speriamo di incrementare. Lavoriamo con l’Orto botanico di Palermo e la Facoltà di Geologia e abbiamo intese anche con il Parco nazionale della Sila e l’Adamello Brenta del Trentino. L’anno prima del Covid ci sono state centomila presenze, quest’anno intorno a sessantamila, ma tutti gli hotel questa estate erano sold out . Vogliamo aumentare le attività, ma vogliamo un turismo non di massa ma di qualità”.
Etna, un sistema complesso tra abusivismo e rifiuti
Il presidente Caputo invoca il supporto dei Comuni per fermare chi getta immondizia nell’area protetta
Il Parco dell’Etna, nato nel 1987 intorno al più grande vulcano d’Europa, è costituito da venti Comuni. Dal 2013 l’area sommitale dell’Etna è stata dichiarata patrimonio Unesco e le presenze nel Parco, secondo uno studio del 2015, sono aumentate del 110%. Da maggio 2020, alla presidenza c’è Carlo Caputo.
Quali sono le criticità maggiori che riscontra?
“L’Etna è diventato un sistema complesso. Abbiamo tanti operatori economici e tante attività, anche sportive, che vengono praticate e creano impatto. Non possiamo spingere troppo l’acceleratore, perché l’Etna è importante per la sua grande biodiversità e se la perdiamo, perdiamo naturalità e anche valore economico. Mi ritrovo con i quod sull’Etna, che non sono in sintonia con il contesto del Parco. Meglio gli asini. Credo che un turista preferisca più la carovana di asinelli con un percorso dove gli si fa assaggiare il formaggio e poi il vino piuttosto che il rumore e la polvere dei quod. Ma ci sono e tutti senza autorizzazione. Se avessi avuto un mio corpo di vigilanza avrei posto fine a questa attività. Ma quello è un discorso che può fare il Parco dei Nebrodi, unico ad avere un suo corpo di vigilanza”.
Altri Enti pubblici hanno competenze nella gestione? Che ruolo ha l’Ente Parco?
“Il Parco si occupa di pianificazione e rilascio di autorizzazioni. La gestione dell’area naturale in larghissima misura è dell’ex Azienda Foreste, che fa i lavori di manutenzione sui sentieri. Poi c’è il Corpo forestale che fa la vigilanza e il controllo. Prospettive di sviluppo e criticità sono difficili da affrontare, perché troppi Enti fanno qualcosa. Se io scindessi la pianificazione dal controllo, così come dalla gestione, è ovvio che perderei in efficienza ed efficacia. Altra nota dolente sono i rifiuti, lasciati ovunque. La competenza in questo caso è dei Comuni, ma non tutti lo sanno e se la prendono con me. Il mio sogno sarebbe poter chiudere alcune macro aree con sbarre e controllo elettronico, l’unico modo per monitorare. Il legislatore regionale deve ragionare sull’istituzione di una sorta di Autority, un ente pubblico che racchiuda in sé tutti i poteri. Immaginiamo, per esempio, un super Comune sull’Etna”.
Con i Comuni che rapporto ha il Parco?
“I più interessati per vocazione storica sono quelli che vivono del turismo legato al vulcano. Da qualche anno, però, con il brand Etna sempre più forte, quasi tutti vogliono dire la propria e c’è una grande partecipazione all’interno del Consiglio del Parco. Dopo sei anni sono partite le escursioni sul versante Nord Castiglione-Linguaglossa. Abbiamo fatto questo lavoro insieme alle comunità superando il disaccordo iniziale dei Comuni. Due settimane fa abbiamo autorizzato un progetto per un servizio sul versante Ovest, proposto da Bronte e Maletto”.
Com’è vostro Bilancio?
“I Parchi regionali in tutta Italia stanno male, al contrario dei Parchi nazionali che sono super ricchi. I trasferimenti sono per progetti: abbiamo avuto finanziati seicentomila euro di lavori sulla rete dei sentieri con fondi strutturali. Il problema è sulle spese di gestione: gli stipendi per i 28 dipendenti sono assicurati e le uniche entrate sono quelle per richieste di autorizzazione a costruire o ristrutturare, per spot o eventi pubblicitari. Ma parliamo di circa trentamila euro l’anno”.
Quali sono le strategie di promozione?
“Stiamo lavorando all’istituzione di un marchio di qualità ambientale Parco dell’Etna e dare così la possibilità a tutti gli operatori economici e le aziende che operano nell’erogazione di beni e servizi, di potersi fregiare di quel logo. Un marchio che possa essere un valore aggiunto. Ci stiamo lavorando con il Dipartimento di Giurisprudenza ed Economia dell’Università di Catania”.
Alcantara, rivoluzione in vista per il nuovo anno, si pensa a un calendario unico di manifestazioni
In programma l’istituzione di tariffe per l’accesso alla aree fluviali. Ma bisogna tutelare flora e fauna
Il Parco fluviale dell’Alcantara, istituito nel 2001 al posto della preesistente riserva, si estende attorno al fiume, lungo circa cinquanta km. Eventi geologici e geotermici di notevole intensità hanno determinato la struttura degli attuali basalti. Comprende 12 Comuni delle province di Messina e Catania. Da aprile 2021 alla presidenza c’è Renato Fichera
Si è insediato da poco, qual situazione ha trovato?
“La mancanza d’acqua per un Parco fluviale è un grosso problema. Colpa della siccità e dei prelievi incontrollati. La criticità maggiore è nella zona di Moio Alcantara fino a Francavilla, da lì in poi l’acqua c’è. Certo non è più il metro di una volta, neppure i sessanta cm, ma ci saranno trenta cm nella parte bassa, mentre in alto è secco con dei luoghi spettrali. Nella zona alta l’acqua si infila sotto le rocce e fuoriesce a Francavilla in gallerie sotterranee, quando il flusso è abbondante resiste anche in alto. Stiamo vedendo di realizzare delle vasche in quella zona per potere tenere in vita i pesci. Senza acqua la flora e la fauna sono a rischio”.
Su quali risorse potete contare?
“Abbiamo sessantamila euro per la gestione, quindi bollette, sede, mezzi più gli stipendi del personale. Non essendo proprietari del sito non possiamo mettere alcuna tassa, solo diritti di segreteria per le concessioni. Con i commissariamenti si è vissuto alla giornata, da trenta dipendenti adesso ce ne sono solo otto. Non abbiamo tecnici per progettare, né guide turistiche. Stiamo cercando, tramite degli accordi, di avere personale e abbiamo fatto un bando per un corso di sessanta ore per guardie ambientali volontarie, abilitate dalla Prefettura. Con il nuovo anno verrà tutto rivoluzionato, intanto chiederemo una convenzione per avere il comodato e poter mettere così tariffe per l’accesso, per esempio al fiume. Oggi abbiamo solo il controllo di quante persone possono scendere e di quanto possono stare sotto. C’è un’azienda turistica privata che gestisce un accesso e il Comune di Motta che controlla la seconda entrata, ma non danno nulla al Parco. Abbiamo ricevuto cinque finanziamenti da ottocentomila euro per sistemare l’asta fluviale, pulirla, renderla accogliente”.
Ci sono attività nel Parco?
“Le attività legate alle Gole dell’Alcantara vengono gestite da privati. La zona è proprietà privata e si sfrutta la situazione per fare scendere giù dal proprio terreno le persone. Ci sono altre aree più agevoli da visitare e che vogliamo fare conoscere”.
A quali strategie di promozione sta pensando?
“Stiamo avviando una campagna promozionale che partirà a fine ottobre, partecipiamo alle borse del turismo e dopo Capo d’Orlando pensiamo di andare a Verona. Nel Parco insistono parecchie strutture ricettive extralberghiere, il 95% sono b&b e case in affitto. Il Parco è del Demanio nazionale, noi abbiamo solo la tutela e la valorizzazione dei luoghi, siamo in attesa della riperimetrazione che ci porterà dai 1.970 ettari attuali a circa 26 mila ettari e a quel punto avremo trecentomila euro per la gestione e più possibilità d’azione. Abbiamo anche pensato a un calendario unico delle manifestazioni di tutti i Comuni del Parco. C’è anche un progetto con le scuole, un concorso fotografico e un’estemporanea di pittura sull’asta fluviale del Parco”.