Parla Gaetana D’Agostino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Sicilia - QdS

Parla Gaetana D’Agostino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Sicilia

redazione

Parla Gaetana D’Agostino, presidente dell’Ordine degli Psicologi della Sicilia

Roberto Greco  |
sabato 26 Agosto 2023

Gaetana D'Agostino: “L’educazione emotiva come costante di tutto il percorso formativo dei minori”

Il branco. Spesso questo termine è associato a un gruppo di umani, utilizzando il termine che si usa quando s’indica un gruppo di animali che si riuniscono spontaneamente e operano in modo omogeneo. L’utilizzo che ne è fatto, quando si riferisce agli umani, assume per definizione un’accezione negativa, indicando un gruppo di persone, per lo più facinorose o poco raccomandabili per il loro atteggiamento o le loro azioni. A proposito dello stupro di gruppo avvenuto lo scorso 7 luglio il QdS ha intervistato la dottoressa Gaetana D’Agostino, Presidente dell’Ordine Psicologi Sicilia, per capire non solo cosa sia un branco ma anche quali sono le logiche che lo governano.

Dottoressa D’Agostino, che cos’è un “branco”?
“Quando, come in questo caso, avvengono dei fatti di orrore, perché questo è il termine giusto da utilizzare, siamo in presenza di un fatto che scuote la nostra parte emotiva più profonda, si attivano meccanismi di repulsione o di rabbia che portano a dare le responsabilità a un indefinito branco, come se fosse un’entità indefinita. Mutuiamo il termine da quello in uso quando si parla di animali, proprio per la capacità di essere un contenitore in cui nessuno ha un proprio nome e cognome ma, proprio per poter stare all’interno del gruppo, ognuno perde la propria identità per stare nel contesto di individui che si uniscono. Agire in branco vuol dire eliminare la responsabilità individuale, con conseguente dispersione di responsabilità. È chiaro che l’essere parte di un branco può portare a mettere in atto meccanismi che, da soli, non si presenterebbero. Tali comportamenti si attuano perché, in quel contesto, il senso di paura e il senso di colpa vengono meno e quindi spesso si sfocia in comportamenti antisociali”.

Un “branco”, sempre se guardiamo il termine non negativo del termine, ha al suo interno il “capo branco”, la guida…
“Ci può essere qualcuno che guida ma non diventa più responsabile degli altri, proprio perché la responsabilità è condivisa, anche se dall’interno del branco stesso viene vissuta come deresponsabilizzazione individuale. A proposito dello stupro avvenuto a Palermo è chiaro che io non posso definire uno tra tutti come capo branco, ci sono le indagini in corso e sarà la magistratura a fare luce sul fatto e sulle dinamiche. A noi spetta un altro compito…”.

Cosa intende?
“Oltre a fermarci un attimo e discutere sull’orrido che sta accadendo, è necessario capire cosa non sta funzionando e lo dobbiamo fare come generazione, come adulti di riferimento, come genitori, come persone del sistema educante. Nel caso specifico, e per tornare alla sua domanda precedente, probabilmente c’è stato qualcuno che ha guidato ma, in questa sorta di identità indefinite, hanno agito come se fossero un’unica persona generando quella dispersione di responsabilità che ho indicato”.

In una situazione come questa è evidente che anche nelle famiglie di appartenenza di ogni singolo elemento del branco si scatenano dinamiche come “mio figlio è un bravo ragazzo”…
“In questo caso si entra in autodifesa, in una sorta di auto tutela della specie, diventando parte del problema stesso. Si assiste spesso, così come in questa triste vicenda, che il genitore tenti di scaricare la responsabilità sulla vittima, una sorta di meccanismo di ‘disimpegno morale’ che consente di evitare di mettere in discussione il comportamento e addirittura di giustificarlo, compiendo una vittimizzazione secondaria della persona abusata. La famiglia che non riesce a riconoscere le responsabilità proprie e del proprio figlio va aiutata in un processo di consapevolezza e di rielaborazione, oltreché di messa in discussione del sistema familiare”.

Cosa possiamo fare dal punto di vista educativo per migliorare la percezione di ciò che è giusto o sbagliato fare? Bisogna intervenire nelle scuole sin dagli ultimi anni delle scuole di primo grado?
“Penso che non ci sia un’età in cui cominciare. Penso che lo si debba fare sin da subito, dall’ingresso nel sistema scolastico e formativo. Ovviamente con le parole giuste, adeguate alla loro età ma quella che viene definita ‘educazione emotiva’ deve essere una costante di tutto il percorso educativo e formativo. La scuola ha sicuramente delle responsabilità in questo processo ma, ritengo, sia necessario partire da molto prima. L’educazione emotiva dovrebbe poter iniziare sin da quanto si porta il figlio nel grembo perché spesso ci troviamo in presenza di una fragilità adulta che non riesce più a soddisfare i reali bisogni dei ragazzi. Anche quando diamo genericamente la colpa agli smartphone o ai social vari, in realtà dimentichiamo che molti adulti li utilizzano tanto quanto i propri figli e ancora una volta ci troviamo di fronte al fenomeno della deresponsabilizzazione da parte degli adulti del proprio compito. È necessaria e fondamentale un’educazione emotiva in qualsiasi fascia d’età non solo ai bambini o ai ragazzi nelle scuole ma anche ai genitori perché devono abituarsi a sentire i bisogni reali dei propri figli anche per evitare derive come quella di cui stiamo parlando”.

Mi piace molto il termine educazione emotiva. Di che cosa si tratta?
“Si tratta di un metodo che consente di sintonizzarsi con i bisogni più profondi dei figli. In questo modo possono crescere più autonomi e sicuri. Significa introdurre un modello educativo che non riguarda solo bambini e ragazzi ma anche i genitori e, ancor più in generale, gli adulti di riferimento. Partiamo da qua, creiamo percorsi di educazione emotiva ai genitori, agli insegnanti, a quanti possono diventare l’adulto di riferimento e anche ai bambini e ai ragazzi di qualsiasi età. Questa cultura del sopruso, dell’oppressione e della violenza può essere affrontata solo in questo modo, non con l’utilizzo di ulteriore violenza o coercizione perché questo farebbe entrare il tutto in una spirale senza fine”.

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