Parla Roberto Sensi, policy advisor global inequality di ActionAid Italia - QdS

Parla Roberto Sensi, policy advisor global inequality di ActionAid Italia

Parla Roberto Sensi, policy advisor global inequality di ActionAid Italia

Roberto Greco  |
sabato 09 Settembre 2023

“Le mense scolastiche vanno considerate come un mezzo di contrasto alla povertà alimentare”

I dati ISTAT registrano un aumento di un milione di poveri assoluti. La povertà economica è un driver fondamentale che causa la mancanza di accesso a un cibo adeguato. Tuttavia, la povertà alimentare è una condizione di cui so re un numero ben superiore di persone rispetto a quelle che vivono in condizioni di grave deprivazione materiale. Si tratta infatti di una condizione non necessariamente determinata da una scarsità assoluta bensì relativa di cibo che riguarda la possibilità di scelta, la qualità del cibo, la rinuncia, la qualità delle relazioni sociali e le condizioni psico-emotive legate allo stigma, alla vergogna e alla paura.

Secondo quanto indicato nell’ultimo rapporto di ActionAid, “La fame non raccontata”, “il cibo è un diritto e le misure di contrasto alla povertà alimentare dovrebbero essere ad appannaggio delle Istituzioni che anziché concentrarsi esclusivamente sul potenziamento delle filiere di distribuzione alimentare (a partire dal recupero delle eccedenze), dovrebbero mirare a garantire un reddito sufficiente ad accedere ad una dieta sana e adeguata dal punto di vista sociale e culturale”. Interviene al QdS Roberto Sensi, Policy Advisor Global Inequality di ActionAid Italia.

Siamo nel bel mezzo di un’emergenza alimentare?
“Non penso sia giusto chiamarla emergenza… sicuramente siamo in un contesto generale d’impoverimento della popolazione e sicuramente la dimensione dell’acceso al cibo è significativamente colpita perché il cibo è un bisogno essenziale e, rispetto ad altri costi come ad esempio l’affitto, rappresenta una variabile del budget familiare più sacrificabile, riducibile, comprimibile perché l’affitto è un costo definito mentre nel caso del cibo riduco la sua qualità, non acquisto più carne o pesce oppure arrivo a sostituire la mia domanda alimentare dal mercato tradizionale a quello dell’aiuto alimentare, ossia quanto fornito dalle associazioni. In realtà noi oggi non misuriamo la povertà alimentare in Italia perché non abbiamo strumenti statistici adeguati. La povertà alimentare non è dovuta soltanto a mancanza di reddito ma produce conseguenze molto più ampie, essendo un concetto multidimensionale. Non siamo quindi in grado di misurare qualità e quantità del cibo che mangiamo, dati che peraltro dovrebbe essere connessi agli aspetti sociali, relazionali e psicologici. L’abbattimento del reddito porta inevitabilmente anche alla diminuzione delle occasioni sociali, proprio per la necessità di risparmiare”.

Quindi, non emergenza ma…
“Non userei il concetto di emergenza perché, al momento, abbiamo due tipologie di dati quantitativi che ci raccontano molto sul trend. La prima è quella delle statistiche Eurostat, che si basano prevalentemente sulla possibilità di consumare ogni due giorni carne, pesce o equivalenti vegetariani, possibilità che dipende direttamente dal reddito. Questo dato ci dice che tra pre-pandemia e post-pandemia il dato è simile, ossia intorno al 6,5% della popolazione italiana. Se questo dato non sembra peggiorato è necessario tenere conto che, seconda tipologia di dati, è aumentata la domanda di aiuti alimentari che, dal 2019 al 2022, è passata da circa 2 milioni a più di 3 milioni. Questo significa che, in quattro anni, la platea di quanti hanno bisogno di aiuti alimentari è cresciuta di 1 milione di persone. Questo significa che è peggiorata la condizione di molte famiglie che già vivevano al limite, i cosiddetti ‘acrobati della povertà’, come li definì il rapporto Censis del 2021. Quindi molto meglio definirla per quello che è, ossia povertà alimentare”.

Qual è la situazione oggi?
“Oggi siamo nella condizione in cui sicuramente la povertà alimentare è un fenomeno sottostimato e le politiche di contrasto alla povertà incidono sui trend, anche se la risposta che oggi è data al problema è limitata perché il cibo è multidimensionale mentre noi lo osserviamo solo nella sua dimensione alimentare, trascurando la sua funzione sociale”.

In realtà mi sembra di notare che si trascurino i cosiddetti cuscinetti sociali, come ad esempio le mense scolastiche che potrebbero garantire qualità e quantità adeguata alla fascia più giovane della popolazione…
“È necessario fare un passo indietro. Il cibo è un diritto umano fondamentale ma in Italia non abbiamo una normativa che recepisca questo diritto. Questo ci porta a definire il cibo come un bisogno, quindi l’intervento adottato è di aiuto e non di accesso. Se fosse definito come un diritto dovrebbe essere garantito e questa visione distorta ha implicazioni sia sulle forme di aiuto sia sugli interventi strutturali. Le mense scolastiche sono da considerare uno strumento strutturale di contrasto alla povertà alimentare minorile e infantile. Perchè oggi non c’è un accesso universale alla mensa scolastica o non si recepiscono una serie di raccomandazioni arrivate dal Garante all’infanzia a questo proposito? Perché il servizio mensa, negli anni, è stato esternalizzato facendolo diventare un servizio a domanda individuale, non un servizio essenziale come le cure mediche. Pertanto gli enti locali sono tenuti a garantirlo là dove esiste un orario scolastico pomeridiano ma i livelli di accesso economico vengono decisi sulla base dei propri vincoli di bilancio. Un esempio? Per accedere a un ‘pacco’ di un ente alimentare serve un ISEE al disotto dei 6.000 euro/anni. Le fasce di accesso al servizio di mensa scolastica sono invece tali che, con un ISEE di 6.000, non si ha un accesso gratuito ma con un costo leggermente più basso della tariffa piena. Questo dimostra come la mensa scolastica non è considerata un valido servizio di contrasto alla povertà alimentare quale dovrebbe essere ma uno strumento che strumento di contrasto alla dispersione scolastica. A questo si aggiunge il dato che si riferisce alla mancanza di copertura complessiva del servizio nei plessi scolastici. In quanto elemento di contrasto strutturale dovrebbe poter contare su coperture economiche nazionali, non locali. Non c’è una politica alimentare concreta nel nostro paese in cui, mi ripeto, manca il diritto al cibo. Dal 2014 a oggi sono state presentate alcune proposte di legge, il PNRR mette a disposizione risorse finalizzate alla costruzione di mense scolastiche e il FEAD 2014-20 (Fondo di aiuti europei agli indigenti, ndr) aveva due misure di intervento che riguardavano la scuola, sia in termini di materiale scolastico sia di servizi mensa ma entrambe, per motivi burocratici, non sono mai state attivate”.

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