Perché bisogna combattere il “politicamente corretto” - QdS

Perché bisogna combattere il “politicamente corretto”

Perché bisogna combattere il “politicamente corretto”

Salvo Fleres  |
giovedì 01 Agosto 2024

Il linguaggio “politicamente corretto”, va ben oltre un modo di esprimersi, poiché rappresenta una sorta di ideologia

Spesso mi avrete sentito dire che non sopporto il linguaggio “politicamente corretto” e che, anzi, lo considero ipocrita. Forse è un po’ poco, forse bisogna spiegare meglio la mia ostilità a questo modo di intendere la comunicazione, ma non solo la comunicazione.

Il linguaggio “politicamente corretto”, infatti, va ben oltre un modo di esprimersi, poiché rappresenta una sorta di ideologia, al di fuori della quale, a giudizio dei “politicamente corretti” c’è la ribellione, il brigantaggio intellettuale, il civismo dei non allineati. I fautori del linguaggio “politicamente corretto” potremmo definirli come dei veri e propri massificatori, il cui intento non è quello di favorire il progresso fondato sul confronto dialettico, bensì quello di affermare il pensiero unico, al di fuori del quale, a loro avviso, ci sarebbe spazio solo per il negazionismo.

Ovviamente non la penso così. Personalmente credo che dire “nero” o “negro” cambi poco, dato che il linguaggio è una convenzione, non altro. Credo, invece, che sia molto più corretto praticare, in concreto, la parità dei diritti e dei doveri per tutte le persone, a prescindere dal colore della pelle, della religione, dell’orientamento sessuale, ecc. Credo, però, che dire “culo” o “culattone” non sia “politicamente scorretto”, ma volgare, che è un’altra storia, che ha molto a che fare con il rispetto, l’educazione, la famiglia, la società, lo Stato e le sue inadempienze. Credo che auspicare l’amore tra i propri genitori, per un figlio o per una figlia, rappresenti un auspicio assolutamente legittimo, che non offende affatto le famiglie di divorziati e che non nega i malesseri e le violenze che si nascondono dietro certe necessarie separazioni.

Insomma, personalmente, credo che imporre il cosiddetto linguaggio “politicamente corretto” rappresenti un modo autoritario, anche se nascosto, di imporre un pensiero emarginando gli altri. Certo, negare il terrapiattismo o lo sbarco sulla Luna non vuol dire essere “politicamente corretti”, ma solo razionali, anche perché, come ho sottolineato più volte: sulla legge di gravità non si vota, non si vota su ciò che è dimostrato e non si vota neanche sul significato convenzionale delle parole. Dire sindaca, invece di sindaco, ministra invece di ministro, avvocata invece di avvocato, non significa rispettare di più quella funzione se è esercitata da una donna, né significa dotarla di maggiore contenuto etico, vuol dire insistere non sulla pienezza del contenuto di un’attività, ma sulle vacuità delle desinenze convenzionali. C’è chi si accontenta di combattere simili battaglie, c’è chi vi nasconde un’impostazione impositiva della vita e chi, invece, preferisce dedicarsi alla sostanza dei fatti e delle scelte.

Personalmente, pur rispettando le opinioni di tutti, preferisco badare alla sostanza dei fatti, dedicando a essi le energie che mi restano, poiché credo che, soprattutto in questo periodo, tutto è diventato troppo fluido e ciò che è fluido scorre facilmente ed altrettanto facilmente sparisce.

La drammatica prova di un simile modo di procedere è brillantemente spiegata dal filosofo Sigmund Bauman, il quale sostiene che l’aggettivo liquido definisca la società contemporanea e la vita dell’uomo nelle sue varie sfaccettature: amore, affetti, paure, ecc… e rende l’idea di quanto precario, instabile e senza punti di riferimento sia l’uomo contemporaneo immerso nel suo mondo.

Il soggetto che si rifugia nel “politicamente corretto” tende a mimetizzarsi dietro una sorta di conformismo travestito da modernismo, da progressismo, mentre rappresenta soltanto uno dei tanti modi per affermare subdolamente un pensiero unico, provando a presentarlo “perbenisticamente”, anzi, sostenendo che chi se ne dovesse dissociare, chi avesse la malaugurata idea di avere un differente punto di vista, potrebbe rischiare di essere espulso dal contesto sociale, dal contesto dei “giusti”, dei “saggi”, di chi “vuole il bene”. Insomma, è il solito modo utilizzato da chi si erge al di sopra delle ragioni motivate degli altri, tentando di schiacciarne il pensiero logico.

Chissà cosa penserebbero del metodo e del linguaggio “politicamente corretto” uomini come Galileo Galilei, Giordano Bruno, Erasmo da Rotterdam, Albert Einstein ed altri come loro.

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